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Brexit, slitta di nuovo l’ultima scadenza per l’accordo

EUROPA di

Il 13 dicembre 2020 era la data prevista dall’Unione europea e dal Regno Unito per definire un accordo commerciale fra le parti in vista dell’uscita definitiva del Regno Unito dall’UE. Come prevedibile, anche quest’ultima scadenza è stata rimandata, le trattative per l’accordo commerciale proseguiranno ancora e sembra difficile che possa entrare in vigore il 1° gennaio 2021. A prendere questa decisione sono state le principali figure coinvolte: la presidente della Commissione europea Von der Leyen e il primo ministro britannico Johnson. La Commissione europea farà il possibile per negoziare un accordo nei tempi ma, vista la situazione, sono state presentate una serie di misure di emergenza per prepararsi ad un eventuale scenario di no deal.

Gli ultimi tentativi di negoziazione

Il Regno Unito è uscito dall’UE il 31 gennaio 2020 e, in quel periodo, entrambe le parti hanno concordato un periodo di transizione fino al 31 dicembre 2020, durante il quale il diritto dell’UE avrebbe continuato ad applicarsi in UK. Il periodo di transizione era particolarmente importante per negoziare i termini del futuro partenariato tra le parti ma, ad oggi, l’esito è ancora incerto. Le divergenze di fondo tra le parti e la pandemia di Covid-19 non hanno di certo reso la strada più facile.

Dai primi giorni di dicembre, sono diverse le occasioni che Ursula Von der Leyen e Boris Johnson hanno avuto per incontrarsi o svolgere telefonate in vista dell’ultimo tentativo di negoziare l’accordo per la Brexit. Dopo aver sospeso i negoziati per le divergenze tra le due parti, Londra e Bruxelles si sono accordati per provare a riavviare le trattative un’ultima volta. La scadenza è ufficialmente il 31 dicembre 2020, ma in realtà c’è bisogno di avere un accordo commerciale già dai prossimi giorni se si considerano gli aspetti tecnici di approvazione del testo. In caso di mancato accordo commerciale, sarà il no deal a prevalere: nessun accordo. Uscire dall’UE senza accordo sarebbe un disastro per l’economia britannica, a partire dai dazi che saranno imposti sui prodotti, fino a danneggiare anche i paesi europei che hanno particolari rapporti con il Regno Unito, come ad esempio l’Irlanda, nonché l’intero settore bancario inglese.

Il piano di emergenza della Commissione europea

La Commissione europea riconosce la complessità della situazione Brexit e, per quanto si impegni a raggiungere un accordo reciprocamente vantaggioso con il Regno Unito, ammette l’incertezza sulla possibilità che il 1° gennaio 2021 ci sarà un accordo in vigore. Per questo motivo, il 10 dicembre sono state presentate una serie di misure di emergenza mirate, con lo scopo di garantire una reciprocità di base dei collegamenti aerei e stradali tra l’UE e il Regno Unito, nonché per l’accesso delle navi europee e inglesi. Queste misure non sostituiranno di certo l’accordo commerciale, che continua ad essere auspicato dalla Commissione, bensì avranno lo scopo di gestire il periodo in cui vi sarà un no deal.

In particolare, sono quattro le misure di emergenza che la Commissione europea ha presentato per attenuare le gravi perturbazioni che si verificheranno dal 1° gennaio. In primo luogo, è stata fatta una proposta di regolamento che garantisca la fornitura di determinati servizi aerei tra il Regno Unito e l’Unione europea per sei mesi, a condizione che anche il Regno Unito attui le stesse garanzie. Di seguito, nell’ambito della sicurezza aerea, è stato presentata una proposta al fine di garantire l’utilizzo ininterrotto dei certificati di sicurezza sugli aeromobili, evitando il fermo operativo degli aeromobili europei. Poi, si vuole garantire per sei mesi la connettività di base del trasporto stradale di merci e passeggeri europei e inglesi. Infine, è stata presentata una proposta di regolamento volta a definire il quadro giuridico appropriato fino al 31 dicembre 2021 o fino alla conclusione di un accordo di pesca con il Regno Unito, che garantisca l’accesso reciproco delle navi dell’UE e del Regno Unito nelle acque delle due parti.

L’incontro del 13 dicembre e la posizione del Parlamento europeo

Il 13 dicembre, Ursula Von der Leyen e Boris Johnson hanno avuto una telefonata ufficiale a seguito della quale è stata rilasciata una dichiarazione congiunta. Ancora una volta e sempre più a ridosso del termine, anche l’ultima scadenza è stata rinviata. Si è deciso di concedere una ulteriore proroga ai negoziatori europei e inglesi e, al momento, non si può dire con certezza di essere vicini ad un accordo. Un primo elemento di difficoltà è senz’altro il level playing field, le regole sulla concorrenza equa tra imprese: i negoziatori europei hanno richiesto una clausola per il mantenimento di elevati standard ambientali e lavorativi, i negoziatori inglesi ritengono tale clausola troppo allineata agli standard europei. Anche la questione della pesca è particolarmente importante, mentre la terza questione aperta è quella del meccanismo di risoluzione delle controversie legali.

Ad abbreviare ancora di più i tempi della scadenza, come noto, sono gli aspetti tecnici di approvazione dell’accordo commerciale: una volta raggiunto, l’accordo dovrà essere esaminato dai consulenti legali delle parti e approvato dal Parlamento europeo in seduta plenaria. A tal proposito, la conferenza dei presidenti di delegazione del Parlamento ha affermato che esaminerà un accordo su Brexit, in tempo utile per il 1° gennaio 2021, solo se questo arriverà entro la mezzanotte del 20 dicembre. La questione rimane, dunque, ancora una volta, del tutto aperta.

“We will meet again”: il quarto discorso nella storia del regno della Regina Elisabetta

EUROPA di

Domenica 5 aprile, la Regina d’Inghilterra ha rotto il suo tradizionale silenzio per parlare alla nazione: è il quarto discorso in 68 anni di regno. Alle 19, la sovrana inglese ha ringraziato il governo e la popolazione per gli sforzi fatti finora per contenere la diffusione del coronavirus ed ha richiamato gli inglesi all’autodisciplina: nessun pericolo solo se tutti rispettano le regole date dal Governo.

Un discorso storico

Ancora prima dei contenuti, il discorso della Regina Elisabetta è di per sé un fatto storico. Nei suoi 68 anni di regno -il più lungo della monarchia inglese- la sovrana ha parlato ai suoi cittadini soltanto quattro volte. Tradizionalmente la Regina parla agli inglesi solo il giorno di Natale: in ossequio alla regola aurea della monarchia, fin dalla Gloriosa Rivoluzione del 1688, la monarchia inglese non interferisce mai nelle vicende politiche del Paese. L’ultima volta che la sovrana si era rivolta ai sudditi risale a 18 anni fa: nel 2002, in occasione della morte della mamma, la Regina Madre, Elizabeth Bowes-Lyon, moglie del Re Giorgio VI, vissuta 102 anni. La volta precedente, Elisabetta intervenne per un discorso anch’esso storico, per un’altra morte, quella di Lady Diana, nel 1997. Prima di allora, la Regina Elisabetta aveva parlato nel 1991, per la prima Guerra del Golfo contro Saddam Hussein.

Il discorso della Regina del 5 aprile ha ricordato quello che suo padre, il Re Giorgio VI, pronunciò nel 1939 alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale contro la Germania. Dopo 70 anni, dalla stessa località, ma stavolta con la presenza di una pandemia globale, la sovrana si rivolge alla Gran Bretagna- ed indirettamente ai governi mondiali- con il record personale di Capo di stato in carica da più tempo tra tutti i paesi del mondo.

Le parole della Regina

Elizabeth Windsor, alle ore 19 di Domenica 5 aprile, si è presentata sullo schermo dei sudditi vestita di verde, come per evocare la speranza. Ha parlato da una stanza del Castello di Windsor, fuori da Londra, dove la sovrana è stata trasferita per precauzione, assieme al marito, il Principe Filippo. Non era un discorso in diretta: è stato registrato giovedì scorso e mandato poi in onda domenica dalla BBC, a reti unificate, nell’ora di punta in cui inglesi sono a casa davanti alla televisione.

Nel suo discorso, durato cinque minuti, la sovrana ha descritto l’epidemia come “un momento di turbamento nella vita del nostro paese: un turbamento che ha causato dolore ad alcuni, difficoltà finanziarie a molti ed enormi cambiamenti alla vita quotidiana di tutti noi”.

Poi è stato il momento del ringraziamento speciale ai medici ed al personale del NHS-National Health System (l’equivalente del Servizio Sanitario Nazionale italiano): gli ospedali pubblici stanno, infatti, compiendo un lavoro notevole, oberati di casi positivi, con pochissimi posti letto per la terapia intensiva (5mila in tutto il paese, per una popolazione di 60 milioni).

In quello che ha definito un “messaggio profondamente personale” – sebbene nessun messaggio pubblico di un sovrano lo possa essere davvero- Sua Maestà ha fatto leva sull’orgoglio britannico, parlando di una nazione fondata sulla “autodisciplina”, i cui cittadini potranno in futuro raccontare di aver sconfitto il virus e superato la crisi con quel valore che ne ha decretato il successo nelle epoche passate: il rispetto delle regole. La Regina ha dichiarato di avere la speranza che negli anni a venire tutti siano orgogliosi di come gli inglesi hanno risposto a questa sfida. “L’orgoglio per ciò che siamo non è parte del nostro passato, ma definisce il nostro il presente e il nostro futuro” ha affermato.

La sovrana ha poi ricordato quando, durante la Seconda guerra mondiale, nel 1940, lei e sua sorella, la Principessa Margaret, che all’epoca avevano rispettivamente 14 e 10 anni, inviarono un messaggio via radio alla nazione rivolgendosi ai bambini che erano stati evacuati dalle proprie abitazioni: “Oggi, ancora una volta, molti sono addolorati dalla separazione dai propri affetti. Ma oggi, come allora, sappiamo nel profondo che questa è la cosa giusta da fare”.

Infine, Sua Maestà ha concluso il suo discorso con l’augurio che possano arrivare in futuro giorni migliori, e con una citazione di una famosa canzone del 1939 di Vera Lynn, diventata un simbolo di speranza per i soldati al fronte durante la Seconda guerra mondiale. “Dobbiamo consolarci che mentre potremmo avere ancora molto da sopportare, torneranno giorni migliori: saremo di nuovo con i nostri amici; saremo di nuovo con le nostre famiglie”- ha concluso la Regina- “We will meet again”.

Indisciplina dilagante e lo stato di salute di Boris Johnson

Dietro al discorso della Regina si cela un problema concreto: l’indisciplina dilagante dinanzi alle misure restrittive imposte dal governo inglese. Nella capitale Londra, la città con il picco di contagi e morti, le persone sembrano far fatica a seguire l’invito del Governo di rimanere a casa-“Stay at home”- tanto che il Ministro della Salute, Matt Hancok- risultato anche lui positivo al Covid-19- ha minacciato di vietare lo sport e le attività all’aperto se le persone continueranno a uscire.

Lo stesso Primo Ministro, è stato contagiato ed è stato in terapia intensiva all’ospedale St Thomas di Londra dal 6 al 9 aprile, dove gli è stato somministrato ossigeno per facilitare la respirazione, senza però ricorrere a ventilatori o a supporti respiratori invasivi. Un portavoce del governo ha dichiarato che Johnson si trova attualmente in un reparto dove “sarà attentamente seguito durante la prima fase di guarigione. È di ottimo umore”. Tutto è nelle mani del team di medici del Premier britannico, guidato dal dottor Richard Leach, la massima autorità medica specializzata in malattie polmonari in Regno Unito. Tra questi vi è il professore italiano Luigi Camporota, uno dei luminari oltremanica di problemi ai polmoni e ventilazione polmonare, proprio quello che serve in questo momento a Boris Johnson per uscire dalla terapia intensiva.

Il ricovero di Boris Johnson ha avuto come conseguenza anche il passaggio di consegne formale tra il Primo Ministro e Dominic Raab, suo vice e Segretario di stato. Raab si è fatto spesso portavoce delle decisioni del governo partecipando a programmi televisivi, campagne elettorali e dibattiti: a livello mediatico è considerato come la figura adatta per poter andare avanti nella gestione dell’emergenza e promuovere le decisioni dell’esecutivo inglese.

Brexit, si decide sul futuro partenariato UE – UK

EUROPA di

L’inizio del mese di marzo coincide con l’inizio dei negoziati sulle future relazioni tra Regno Unito e UE, sulla base di quanto raccomandato dalla Commissione europea il 28 febbraio. Il 18 marzo la Commissione europea ha pubblicato un progetto di accordo sul futuro partenariato tra Unione europea e Regno Unito. Il testo si può considerare la base giuridica delle direttive di negoziato già approvate dagli Stati membri lo scorso 25 febbraio, che prevedono cicli di negoziati completi da tenersi ogni due o tre settimane.

Avvio dei negoziati

Il 31 gennaio 2020 il Regno Unito è formalmente uscito dall’Unione Europea, dopo tre anni e mezzo dal referendum che ha dato inizio all’iter della Brexit. L’uscita dall’UE ha dato, a sua volta, inizio al cosiddetto periodo di transizione, che avrà luogo fino al 31 dicembre 2020 e servirà a Londra e Bruxelles per mettere a punto il loro futuro partenariato. Durante il periodo di transizione, il Regno Unito è considerato paese terzo: non parteciperà più ai processi decisionali dell’UE e non sarà più rappresentato nelle istituzioni dell’UE, nelle agenzie e così via.

Su iniziativa della Commissione, il 25 febbraio scorso il Consiglio ha adottato il mandato negoziale per il partenariato con il Regno Unito, ha nominato la Commissione come negoziatore dell’UE e ha adottato le direttive di negoziato che stabiliscono l’ambito del futuro partenariato. I settori compresi sono molteplici, dal commercio alla pesca, dalla politica estera, di sicurezza e difesa alla cooperazione delle autorità giudiziarie.

Secondo quanto previsto, ogni due o tre settimane, alternandosi tra Londra e Bruxelles, le due parti si sarebbero dovute incontrare per portare avanti cicli di negoziato, in vista della riunione di alto livello prevista per il giugno 2020. Il primo ciclo si è tenuto in occasione dell’apertura generale, quindi dal 2 al 5 marzo, a Bruxelles. Il secondo negoziato era previsto proprio in questi giorni, dal 18 al 20 marzo, a Londra: vista l’emergenza Covid-19 che coinvolge tanto il Regno Unito quanto l’Unione Europea, lo stesso governo inglese ha annullato l’incontro previsto. In particolare, si sarebbero dovuti vedere il negoziatore del governo britannico David Frost e il capo dei negoziatori dell’UE, Michel Barnier. Il governo inglese ha comunque tenuto a specificare che entrambe le parti sono a stretto contatto per continuare i negoziati, e che nelle prossime settimane verrà considerato se svolgerli in videoconferenza o in conferenza telefonica. La Commissione europea si è mostrata d’accordo con tale decisione, anche perché lo stesso Michel Barnier è risultato positivo al Coronavirus, e con un tweet ha dichiarato “Sto bene, e il morale è alto. Seguo naturalmente tutte le istruzioni come anche la mia squadra. Il mio messaggio a tutti coloro che sono colpiti o attualmente isolati: insieme ce la faremo! Uno per tutti”.

Il progetto di accordo

Sul tavolo negoziale è presente senz’altro la volontà dell’UE di stabilire la più stretta relazione di partenariato possibile: sulla base della dichiarazione politica congiunta del 17 ottobre 2019 e delle direttive di negoziato del 25 febbraio, la Commissione ha pubblicato il progetto di accordo sul futuro partenariato. Il testo fa seguito alle consultazioni con il Parlamento europeo e il Consiglio, ed è uno strumento per avanzare nei negoziati con il Regno Unito, nonostante la pandemia da Coronavirus. Proprio il capo negoziatore UE Barnier ha dichiarato “Questo testo dimostra che è possibile arrivare a un accordo ambizioso e globale sulla nostra relazione futura, basato sul mandato dell’Unione e sull’ambizione politica concordata con il Regno Unito cinque mesi fa.”

Il progetto di testo pubblicato dalla Commissione tocca tutti i settori dei negoziati: la cooperazione commerciale ed economica, la cooperazione delle autorità di contrasto e giudiziarie in materia penale, la partecipazione ai programmi dell’Unione e l’importante settore della sicurezza.

Il presidente del gruppo di coordinamento britannico del Parlamento europeo McAllister, in merito alla pubblicazione del progetto di accordo, ha affermato “Accolgo con favore il fatto che la Commissione europea abbia trasmesso al Regno Unito un progetto di accordo su un nuovo partenariato con l’Unione europea che è strettamente allineato con le raccomandazioni del Parlamento europeo nella sua risoluzione adottata a febbraio e le direttive di negoziato approvate dagli Stati membri dell’UE il 25 febbraio”. Ha aggiunto poi che “entrambe le parti condividono il forte desiderio di concordare un nuovo partenariato basato su un buon equilibrio di diritti e doveri e nel rispetto della sovranità di entrambe le parti”.

Step successivi

In merito all’accordo di partenariato, Il Regno Unito ha indicato che presenterà dei testi riguardanti alcuni elementi della relazione futura tra l’UE e il Regno Unito delineati nella dichiarazione politica. Per quanto riguarda la situazione coronavirus, i negoziatori sono consapevoli di dover sospendere gli incontri fino a quando la situazione non tornerà alla normalità. Ciò però non impedirà loro di continuare con i negoziati: “Dati gli sviluppi relativi alla diffusione del Covid-19, i negoziatori di Ue e Regno Unito stanno attualmente esplorando modalità alternative per proseguire le discussioni”, ha affermato un portavoce di Bruxelles alla delegazione UE di Londra. Ad ogni modo, entrambe le parti continueranno a lavorare sui testi giuridici, così da garantire il termine del periodo di transizione del 31 dicembre prossimo.

Migranti a Calais – “Le parole sono importanti”, Cameron!

EUROPA/POLITICA/Varie di

Se fosse stato un personaggio surreale nel film “Palombella rossa”, avendo come interlocutore il Nanni Moretti impietoso di allora, David Cameron, il premier britannico, si sarebbe preso un ceffone memorabile sulle guanciotte rosee (molto british) e si sarebbe memorizzato a vita un “le parole sono importanti!!!” a seguito di quanto dichiarò ieri in tema di migranti.

“È molto complicato, lo capisco, perché c’è uno sciame di persone che arrivano attraverso il Mediterraneo, cercando una vita migliore; che vogliono venire in Gran Bretagna perché la Gran Bretagna ha posti di lavoro, è un’economia in crescita…”. Lo dice nel corso di un’intervista televisiva durante il suo tour in Vietnam, usando parole inopportune, perché no, sbagliate, per riferirsi ai migranti che da giorni tentano di attraversare l’Eurotunnel partendo da Calais.
La Gran Bretagna “non è un rifugio” per migranti e “sarà fatto tutto il necessario per garantire che i nostri confini siano sicuri”, ripete senza sosta Cameron in questi giorni. Ma in quell’intervista rilasciata a ITV News dal Vietnam, il premier si è lasciato andare usando una terminologia inaccettabile.

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Un commento “irresponsabile” e “disumanizzante” lo ha definito il Consiglio per i rifugiati britannico: “Questo tipo di retorica – aggiunge l’organizzazione – è molto irritante e arriva in un momento in cui il governo dovrebbe concentrarsi e lavorare con le controparti europee per rispondere con calma e compassionevolmente a questa terribile crisi umanitaria”. Cameron si dovrebbe ricordare che sta parlando di “persone non di insetti”, ha attaccato nel corso di un’intervista alla Bbc la leader ad interim dei Labour , Harriet Harman: “Credo che sia molto preoccupante – ha detto – che Cameron sembri voler aizzare la gente contro i migranti a Calais”. Anche Andy Burnham, altro contendente nella competizione per la leadership laburista, su Twitter condanna: “Cameron che chiama i migranti ‘sciame’ è a dir poco vergognoso”.
“Cameron rischia di disumanizzare alcune delle persone più disperate del mondo. Stiamo parlando di esseri umani, non insetti”, critica anche il leader dei liberal-democratici britannici, Tim Farron. “Usando il linguaggio del primo ministro” ha aggiunto “ perdiamo di vista quanto disperato deve essere qualcuno che si aggrappa al fondo di un camion o in treno per la possibilità di una vita migliore”.
Quando a distanziarsi da tale linguaggio è pefinoNigel Farage,il leader di UKIP, celebre per la sua posizione anti-migratoria, suggerendo che il linguaggio del premier era “parte di un suo sforzo per apparire forte sull’immigrazione” e che lui non avrebbe usato un linguaggio simile.

Il rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per le migrazioni, Peter Sutherland ha ricordato che il dibattito nato sui migranti in arrivo da Calais “è decisamente eccessivo”: “Stiamo parlando – ha detto alla Bbc – di un numero di persone relativamente piccolo rispetto a quello che altri Paesi si stanno trovando a fare e che devono essere aiutati da Francia e Gran Bretagna”. In numeri: la Germania l’anno scorso ha ricevuto 175 mila domande di asilo e Londra 24 mila. “Qui stiamo parlando a Calais di un numero di persone tra le 5 mila e le 10 mila che vivono in condizioni terribili. La prima cosa che dobbiamo fare collettivamente è occuparci delle loro condizioni invece di parlare di costruire muri”.

Intanto, il dibattito sul “che fare” si infuoca ogni giorno tra i sudditi si Sua Maestà. “Gli importanti flussi migratori provenienti da Siria e Africa subsahariana sono una realtà. Non sono il risultato di trattati o di direttive dell’UE. Certi rifugiati tenteranno con tutti i mezzi di giungere in Gran Bretagna passando dalla Francia. Soltanto i Paesi che cooperano malgrado tutte le difficoltà potranno gestire, o diminuire, un movimento migratorio tanto forte … Il problema non è puramente britannico o puramente francese, è una questione comunitaria. Deve essere risolto in comune, in un modo tanto umano quanto risolutivo”, riporta The Guardian il 29 luglio.

Il ministro dell’Interno britannico Theresa May ha annunciato lo stanziamento di altri 7 milioni di sterline (10 milioni di euro) per rafforzare la sicurezza nei terminal di imbarco dell’Eurotunnel a Coquelles, nel Nord della Francia, al termine del suo incontro con l’omologo francese Bernard Cazeneuve. L’annuncio arriva dopo che Eurotunnel ha riferito dell’incursione lanciata in queste notti da parte di circa 2.000 migranti che tentano il tutto e per tutto per attraversare la Manica e raggiungere la Gran Bretagna.

Si rischia la vita ogni notte e, a volte, la si perde, come è accaduto la sera del 27 luglio quando, a perdere la vita, è stato un ragazzo sudanese di 20 anni rimasto schiacciato da un camion. A Parigi, un altro, di nazionalità egiziana, è rimasto fulminato mentre cercava di salire su un treno Eurostar.

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“Con la Francia lavoriamo a stretto contatto su una situazione che interessa  entrambi i Paesi. La Francia ha gia’ rafforzato il proprio dispositivo di polizia. Il governo del Regno Unito stanziera’ altri 7 milioni di sterline per la sicurezza a Coquelles”, ha detto May. Questi ulteriori 7 milioni si aggiungono agli oltre 15 stanziati in precedenza. Stando all’ultimo conteggio ufficiale, di inizio luglio, sono circa 3.000 i migranti presenti a Calais, per la maggior parte eritrei, etiopi, somali ed afgani.

Queste sono le misure alle quali si affidano le autorità per sedare ogni tentativo di passaggio dei migranti nel tratto della frontiera sottomarina più celebre del mondo. A sentire loro, però, nulla potrà fermare i tentativi di raggiungere l’obiettivo finale. Di certo, pensare a viaggi e odissee che durano anni per arrivare fin lì, nulla lascia pensare che l’ostacolo ultimo potrà mai farli desistere.

Il Tunnel della Manica, che collega la Gran Bretagna all’Europa continentale, divenne operativo, dando la possibilità di transitare via terra a persone e merci per ben 39 km sottomarini, dal 1994 dopo ben 8500 anni, ovvero dalla fine dell’ultima glaciazione. Una conquista dell’umanità, un’unificazione materiale che, per il suo stesso funzionamento particolare, fa da passaggio e barriera.

Elezioni UK: vincitori, vinti e affari futuri

ECONOMIA/EUROPA/POLITICA/Varie di

“Hanging on in quite desperation is the english way – Sopravvivere in una quieta disperazione è il modo all’inglese”, così cantavano i mitici Pink Floyd nel lontano 1972, versi che descrivono alla lettera l’attuale situazione emotiva dei laburisti inglesi nel post voto popolare del 7 maggio scorso. Il Regno Unito rimane decisamente conservatore e spiazza ogni previsione di “sfida all’ultimo voto”. Hanno vinto i Tories.

Circa 11 milioni e 300 mila voti per 331 seggi su 650, ovvero 24 in più rispetto al 2010, sono una conferma piena al mandato di Cameron. Quelli che hanno determinato la vittoria dei Tories e la disfatta dei Lab sono stati i cosiddetti swing voters, ovvero coloro che cambiano schieramento politico e che decidono per temi, argomenti o vantaggi volta per volta. Nel sistema elettorale inglese uninominale questo atteggiamento è decisivo alla conta finale. In definitiva, i conservatori sono cresciuti del 0,7% e i laburisti del 1,5% rispetto al 2010, quindi chi ha deciso vincitori e sconfitti sono stati i voti raccolti dalle altre formazioni politiche “secondarie” quali UKIP con il 12,6% e soprattutto l’ SNP di Nicola Sturgeon con il loro 4,6%. I scozzessi hanno spazzato via i laburisti guadagnando 56 seggi su 59 previsti per loro in Parlamento. Il linguaggio empatico, indipendentista e molto più di sinistra dei laburisti ha premiato. Non pervenuti i lib-dem di Nick Clegg fermi a soli 8 seggi, 49 in meno rispetto al 2010, crollo clamoroso.

Come funziona il sistema elettorale inglese del “first-past-the post”?

I parlamentari britannici vengono eletti attraverso il sistema dell’uninominale maggioritario secco. I partiti si contendono 650 collegi su tutto il territorio ed in ognuno di essi a vincere, ovvero a guadagnarsi un seggio in Parlamento è il candidato che prende più voti. Gli elettori possono esprimere una sola preferenza e a governare è il partito che si è aggiudicato il maggior numero di parlamentari. Sistema imperfetto : Il candidato deve assicurarsi solo la maggioranza semplice ed è possibile quindi che la maggioranza di persone in quel collegio abbia in realtà votato anche per altri candidati. Succede che un partito che in molti collegi non arrivi primo, possa aggiudicarsi, sì un gran numero di voti, ma conquistare pochi seggi. E’ successo a UKIP proprio in questa tornata elettorale. Allo stesso modo, il partito che alla fine forma il governo potrebbe in realtà aver ricevuto meno voti del suo rivale. Ogni collegio, inoltre, è diverso, a cominciare dal numero di elettori che lo compongono: un candidato che vince in un piccolo collegio può quindi aver ottenuto molti meno voti di uno che ha invece perso in un collegio molto imponente, ad esempio i grandi centri urbani, le città. Esattamente quello che è successo ai laburisti, vincenti nelle città più importanti, ma perdendo nei centri non urbani.

I britannici votano la promessa dell’economia e il ridimensionamento del tasso di disoccupazione, mentre penalizzano la “speranza”, l’equità e l’attenzione alle classe lavoratrici, tanto proclamata dai candidati del Partito Laburista in campagna elettorale. Votano un Cameron pragmatico e penalizzano un timido Miliband, troppo impacciato, troppo serioso, troppo “senza polso”, almeno nell’immaginario mediatico rappresentato.

Votano anche un probabile futuro fuori dall’Europa?

David Cameron ha dichiarato all’indomani del voto, “Possiamo fare della Gran Bretagna un luogo dove il buon vivere è alla portata di chiunque abbia voglia di lavorare e fare le cose in modo giusto”,- e ha aggiunto, “ però, si, ci sarà un referendum sul nostro futuro in Europa”. Il Brexit, questa volontà degli inglesi di ufficializzare le distanze dal continente politico, potrebbe prendere forma nel 2017, probabile anno del referendum. Jean-Claude Juncker ha definito “non negoziabili i fondamenti dell’Unione, come la libera circolazione di persone”, punto debole fisso dei rapporti con Londra. Centro nevralgico della finanza europea, la City significa troppo per l’UE e di certo non sarà una passeggiata affrontare un eventuale ricorso per separazione. I negoziati in corso per il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partenership) che vedono il Regno Unito protagonista saranno decisivi in questo di mediazioni tra USA e UE.

Sabiena Stefanaj
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