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Siria: Bombardate le scuole supportate da Save the Children

MEDIO ORIENTE di

Il conflitto armato siriano dura da sette anni e tutte le parti coinvolte nel conflitto hanno commesso impunemente crimini di guerra, altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e violazioni dei diritti umani. Per esempio, le forze governative e le forze loro alleate, comprese quelle russe, han­no compiuto attacchi indiscriminati e attacchi diretti contro la popolazione civile e obiettivi civili, effettuando bombardamenti aerei e lanci di artiglieria, anche con armi chimiche e di altro genere vietate dal diritto internazionale, provocando centinaia di morti e feriti. Inoltre, hanno mantenuto lunghi assedi su aree densamente popolate, limitando l’accesso di migliaia di civili agli aiuti umanitari e ai soccorsi medici. Secondo l’Ngo Physicians for Human Rights le forze governative hanno lanciato raid aerei contro tre ospedali nel governatorato di Idleb, attacchi aerei nelle ore diurne contro un grande mercato ad Atareb e raid aerei e attacchi d’artiglieria contro i civili stretti d’assedio a Ghouta Est. A ciò si aggiunge che il 30 giugno, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha concluso che in questo attacco la popolazione di Khan Sheikhoun era stata esposta al sarin, un agente nervino vietato. Però la Russia ha continuato a bloccare i tentativi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di perseguire la giustizia e l’accertamento delle responsabilità. Il 12 aprile, la Russia ha posto il veto a una risoluzione che condannava l’uso di armi chimiche in Siria e chiedeva il perseguimento giudiziario dei responsabili. Il 17 novembre, ha posto il veto a una risoluzione che estendeva il mandato dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche-Meccanismo investigativo congiunto delle Nazioni Unite, creato sotto l’egida del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel 2015, con l’incarico d’indagare sugli attacchi con armi chimiche e di accertare la responsabilità per l’uso di queste armi in Siria. Poi le forze governative e i governi esteri hanno negoziato accordi su base locale che hanno determinato lo sfollamento forzato di migliaia di civili, in seguito ai prolungati assedi e gli attacchi illegali. Le forze di sicurezza hanno arrestato e continuato a detenere decine di migliaia di persone, compresi attivisti pacifici, operatori umanitari, avvocati e giornalisti, molti dei quali sono stati sottoposti a sparizione forzata, tortura e altro maltrattamento, talvolta con esiti letali. I gruppi armati d’opposizione hanno bom­bardato indiscriminatamente e stretto in lunghi assedi aree abitate prevalentemente da civili, limitando l’accesso delle agenzie umanitarie e dei soccorsi medici. Il gruppo armato Stato islamico (Is) si è reso responsabile di uccisioni illegali e lanci d’artiglieria pesante contro i civili, utilizzandoli anche come scudi umani. Le forze della coalizione a guida statunitense hanno lanciato attacchi contro l’Is nei quali sono rimasti uccisi o feriti civili e che in alcuni casi si sono configurati come violazione del diritto internazionale umanitario. A fine 2017, il conflitto aveva causato almeno 400.000 morti; le persone sfollate internamente alla Siria o che avevano cercato rifugio in altri paesi erano complessivamente più di 11 milioni.

     In questo contesto una scuola supportata da Save the Children a Dara’a e frequentata da circa 536 studenti è stata gravemente danneggiata in un attacco aereo avvenuto poche ore dopo che le lezioni erano state sospese per motivi di sicurezza a seguito di una escalation della violenza. A questa si aggiunge anche un’altra scuola e, nella settimana, un’aula allestita in una tenda gestita da Olive Branch. La tenda è stata distrutta durante un bombardamento che ha colpito un campo di sfollati. Tutte le 52 strutture educative gestite dai partner di Save the Children nel sud della Siria sono state costrette a chiudere temporaneamente a causa di attacchi aerei diffusi e della crescente instabilità. Nella scorsa settimana un attacco aveva distrutto varie parti di un “Centro di apprendimento alternativo”, che forniva l’istruzione a bambini tra i 3 e i 15 anni. Il centro era un servizio di vitale importanza per la comunità locale essendo di fatto una scuola per l’infanzia e per i corsi di recupero per i bambini che non hanno più la possibilità di frequentare le normali scuole e che spesso hanno perso anni di istruzione a causa del conflitto. Secondo le Nazioni Unite almeno 50.000 persone, molte delle quali donne e bambini, sono dovute fuggire dalle loro case e molte altre saranno costrette a farlo nei prossimi giorni.

Sonia Khush, Direttore per la Siria di Save the Children, riguardo alla situazione ha dichiarato: “Le scuole sono pensate per essere un rifugio sicuro per i bambini, anche in zone di guerra. Questi centri hanno fornito istruzione essenziale a centinaia di bambini vulnerabili, molti dei quali sono già stati costretti a perdere mesi o anni di scuola a causa del conflitto e ora sono ridotti a un cumulo di macerie. I bambini della Siria meridionale stanno affrontando il terrore e l’incertezza a causa dei pesanti bombardamenti in alcune aree e decine di migliaia di persone sono state costrette a fuggire. È essenziale che i civili siano protetti e che le armi esplosive non vengano utilizzate nelle aree popolate, dove i bambini e le strutture su cui fanno affidamento sono più vulnerabili agli attacchi. Se le violenze continueranno, saremo costretti a sospendere i nostri programmi e ad assistere ad altre scuole distrutte dagli attacchi”.

     Save the Children chiede un immediato cessate il fuoco, in linea con l’accordo negoziato per il sud della Siria da Russia, Giordania e Stati Uniti proprio l’anno scorso. Tutte le parti devono rispettare il diritto internazionale umanitario e proteggere dagli attacchi le scuole, gli ospedali e le altre infrastrutture civili di vitale importanza. I bambini sono particolarmente vulnerabili quando si tratta di armi esplosive e tutte le parti in conflitto dovrebbero fare un particolare sforzo per proteggerli. Occorre ricordare che questi episodi segnano una mancanza di rispetto per quelle che sono le convenzioni internazionali che hanno fondato il vivere civile delle nazioni e che hanno posto delle regole alla guerra. Se questo non viene più considerato prioritario, se il rispetto della vita umana viene in secondo luogo rispetto a tutto il resto, vi è un ulteriore disumanizzazione della guerra, un ulteriore aumento non solo di morti ma anche di persone che perdono la casa e di persone le cui famiglie vengono separate a forza. In questi anni abbiamo assistito a guerre che colpiscono di proposito la popolazione civile che non partecipa alle operazioni di guerra. Viene sempre più a mancare il rispetto alla vita umana e la possibilità che i giovani possano avere un futuro nel proprio paese poiché li si traumatizza e gli si preclude ogni possibilità di educazione e infanzia. Save the Children lavora nel Paese dal 2013 fornendo aiuti salvavita, cibo, acqua pulita, ripari temporanei e fa tutto il possibile per proteggere i bambini. Inoltre, portano avanti programmi sanitari attraverso la gestione di cliniche mobili, centri di cure primarie, un reparto maternità e la realizzazione di campagne di vaccinazione contro la poliomielite e il morbillo. A ciò si aggiunge l’aiuto ai più piccoli per affrontare i traumi quotidiani in Spazi a Misura di Bambino attraverso il sostegno psicologico e le attività ludico-ricreative.

Le tante facce dell’esclusione: il rapporto di Save the Children sull’infanzia

EUROPA di

Save the Children ha recentemente lanciato il rapporto “Le tante facce dell’esclusionepoiché povertà, conflitti e discriminazioni di genere minacciano l’infanzia di oltre la metà dei minori al mondo. Più di 1,2 miliardi di bambini rischiano di morire prima di aver compiuto 5 anni, di soffrire le conseguenze della malnutrizione, di non andare a scuola e ricevere un’istruzione o di essere costretti a lavorare o a sposarsi troppo presto. Senza sufficienti azioni urgenti il mondo non riuscirà a raggiungere l’obiettivo di garantire, entro il 2030, salute, educazione e protezione a tutti i minori, come previsto dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile approvati dall’Onu nel 2015. In questo senso anche il nostro paese deve compiere moltissimi passi poiché povertà economica ed educativa continuano a privare bambini e adolescenti delle opportunità necessarie per vivere l’infanzia che meritano e costruirsi il futuro che sognano. Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children ha dichiarato: “Non possiamo più permettere che così tanti bambini corrano il rischio di perdere la propria infanzia già dal momento in cui vengono al mondo e che siano costretti sin da subito a fare i conti con condizioni di forte svantaggio e ostacoli difficilissimi da superare. Ciò avviene perché semplicemente sono delle bambine, oppure perché nascono e crescono in contesti caratterizzati dalla povertà o dalla guerra, dove per loro altissimo è il rischio di essere costretti al lavoro minorile, di subire sulla propria pelle le conseguenze della malnutrizione oppure, per quanto riguarda le ragazze, di essere costrette a sposare uomini spesso molto più grandi di loro quando sono ancora soltanto delle bambine”. Nel rapporto viene stilato il secondo End of Childhood Index di Save the Children che confronta i dati più recenti per 175 paesi e valuta dove il maggior numero di bambini sta perdendo la propria infanzia. Singapore e Slovenia si classificano al primo posto nella classifica punteggio di 987 e altri sette paesi dell’Europa occidentale si classificano tra i primi 10 poiché raggiungono punteggi molto alti per la salute, l’educazione e lo stato di protezione dei bambini. Il Niger è l’ultimo tra i paesi intervistati, con 388 punti.

Classifica End of Childhood index

I contesti di povertà e le gravi conseguenze sul futuro dei bambini

Nei paesi in via di sviluppo un minore su cinque vive in povertà estrema ma questo problema riguarda anche le aree economicamente più avanzate, con ben 30 milioni di bambini e ragazzi che nei Paesi OCSE vivono in povertà relativa grave. Vivere in un contesto di povertà crea forti ostacoli alla sopravvivenza, allo sviluppo e alla protezione dei bambini, alla loro possibilità di partecipare attivamente alle decisioni che li riguardano da vicino e incide fortemente sulla possibilità di andare a scuola e ricevere un’educazione.  I bambini sperimentano in modo differente la povertà rispetto agli adulti: essere cresciuto in povertà ha un impatto negativo sullo sviluppo e l’apprendimento, oltre ad aumentare l’esposizione al rischio. Questi effetti durano una vita e vengono trasmessi da una generazione all’altra in quanto questi bambini non perdono l’infanzia perché poveri ma perché gli viene negato un buon inizio nella vita. Ciò avviene perché sperimentano una salute peggiore e tassi di malnutrizione e morte più alti, hanno una probabilità più alta di essere coinvolti nel lavoro minorile, di sposarsi precocemente o di essere precocemente in gravidanza. Non importa dove vivono, i bambini che vivono in povertà sono esposti a minacce di ogni tipo. Possono subire lo sfruttamento e l’abuso. Subiscono frequentemente bullismo e discriminazione, soprattutto a scuola, che causa ansia, frustrazione e rabbia. I bambini di tutto il mondo esprimono sentimenti di vergogna, insicurezza e disperazione. Nei paesi più ricchi, i bambini poveri riportano lo stigma e l’esclusione sociale nella ricezione di pasti scolastici gratuiti, di vestiti sporchi o non “alla moda”, o per non avere gli ultimi gadget, o perché non hanno i soldi per partecipare a eventi scolastici e altre attività di gruppo dei pari o perché non riescono a invitare gli amici a casa in quanto vivono in alloggi sovraffollati o sub-standard. Non mancano poi i bambini che lavorano per sostenere le proprie famiglie e così perdono il riposo, il gioco, la ricreazione e perdono l’opportunità di partecipare alla loro comunità, alla loro religione, allo sport e alle attività culturali. Dal rapporto di Save the Children emerge la stretta correlazione tra povertà e lavoro minorile, tra povertà e matrimoni precoci e tra povertà e gravidanze precoci.

I diritti negati dei minori nelle zone di guerra

Nelle aree segnate da guerre e crisi umanitarie è molto complicato, oltre che pericoloso, poter raccogliere dati aggiornati e avere una fotografia esatta che rappresenti realmente le difficilissime condizioni che sono costretti ad affrontare i bambini, perché si tratta di Paesi al collasso, dove le persone fuggono in massa per mettere in salvo le proprie vite e dove in molti casi nemmeno gli aiuti umanitari riescono a raggiungere la popolazione. Pensiamo, per esempio, a Paesi come la Siria o lo Yemen, dove i bambini, nelle loro giovanissime vite, finora non hanno conosciuto altro che bombe, violenza e disperazione; oppure alle gravi crisi umanitarie di cui sono vittime i bambini Rohingya, i bambini in fuga dalla Repubblica Democratica del Congo o i tanti minori gravemente malnutriti che lottano per sopravvivere in Somalia, uno dei Paesi più poveri al mondo, sconvolto negli ultimi mesi da una gravissima siccità e da decenni dilaniato da instabilità e violenze. Contesti in cui i bambini vengono derubati della propria infanzia e in cui nessun di loro, in nessuna parte del mondo, dovrebbe mai trovarsi”, ha affermato Valerio Neri. Nelle aree di crisi, soffrire la violenza, assistere alla violenza o temere la violenza può causare disabilità permanenti e traumi emotivi profondi. Inoltre, la separazione dai familiari e le difficoltà economiche possono esporre ragazze e ragazzi allo sfruttamento sotto forma di lavoro minorile, matrimonio infantile, violenza sessuale e reclutamento da parte di gruppi armati. A questi si aggiungono i pericoli meno visibili per i bambini in conflitto, ovvero la mancanza di cibo e il crollo dei servizi essenziali come assistenza sanitaria, igiene e istruzione. Sebbene l’istruzione sia disponibile in alcuni campi profughi, questa è spesso disorganizzata, temporanea, con risorse insufficienti, sovraffollata e limitata all’istruzione elementare. I bambini spesso non possono accedere alle scuole nei campi esterni per motivi di sicurezza, mancanza di documentazione, restrizioni alla circolazione di determinati gruppi di popolazione, per il costo relativo all’istruzione (ad es. per uniformi, tasse scolastiche, scuola pranzi, libri, trasporti) o la mancanza di competenze linguistiche necessarie per partecipare. Per esempio, circa i due terzi dei rifugiati vivono in aree dove nessuna delle lingue ufficiali è la lingua ufficiale nel loro paese di origine. Anche la xenofobia e la stigmatizzazione sono sfide per molti bambini rifugiati che hanno perso l’istruzione. Senza istruzione, i bambini sfollati affrontano un triste futuro e, soprattutto in tempi di crisi, l’educazione può offrire stabilità al bambino, protezione e la possibilità di acquisire conoscenze critiche e abilità. Le scuole possono anche servire come spazi sociali che uniscono famiglia e membri della comunità creando legami di fiducia, guarigione e supporto. Non fornire istruzione per i bambini sfollati può essere estremamente dannoso, non solo per bambini, ma anche per le loro famiglie e le società poiché perpetuano i cicli di povertà e conflitto. Nei Paesi in conflitto, malnutrizione, malattie e mancanza di accesso alle cure sanitarie uccidono molto più delle bombe.  A causa dei conflitti, sono ben 27 i milioni di minori che sono attualmente tagliati fuori dall’educazione, perché le loro scuole sono prese di mira dagli attacchi, occupate dai gruppi armati o perché i genitori hanno paura di mandare i figli a scuola. La perdita delle necessità di base richieste per l’infanzia, minaccia sia la sopravvivenza immediata che il futuro a lungo termine dei bambini. Inoltre, il conflitto tende a deprimere l’economia e ad aumentare il genere di disuguaglianze nei paesi poveri, rendendo una brutta situazione peggio per i bambini più vulnerabili.

Cholera patients isolated in a tent due to lack of rooms in the isolation ward. Hospital in Sana’a governorate Yemen.

Le discriminazioni contro le bambine e le ragazze 

Oggi le bambine e le ragazze hanno certamente molte più opportunità che in passato, tuttavia ancora troppe di loro, specialmente quelle che vivono nei contesti più poveri, sono costrette ad affrontare quotidianamente discriminazioni ed esclusione in svariati ambiti, dall’accesso all’educazione alle violenze sessuali, dai matrimoni alle gravidanze precoci. Nei contesti di povertà, rispetto ai loro coetanei maschi, le ragazze hanno maggiori probabilità di non mettere mai piede in classe nella loro vita. Stime recenti rivelano che circa 15 milioni di bambine in età scolare (scuola primaria) non avranno mai la possibilità di imparare a leggere e scrivere rispetto a 10 milioni di coetanei maschi. Spesso le famiglie più svantaggiate credono che dare in sposa le proprie figlie sia l’unica via possibile per assicurare il loro sostentamento, ciò comporta che i matrimoni precoci siano tra i fattori trainanti della negazione dell’opportunità di apprendere e ricevere un’educazione. Oggi, nel mondo, 12 milioni di ragazze si sposano ogni anno prima dei 18 anni e ai ritmi attuali si stima che entro il 2030 tale cifra supererà i 150 milioni. Le ragioni del matrimonio infantile variano di molto a seconda del contesto ma la maggior parte di essi si basa su situazioni che peggiorano durante i conflitti. Paura di stupro e violenza sessuale, la paura di gravidanze prematrimoniali indesiderate, la vergogna o il disonore famigliare, la paura di rimanere senza un tetto o la fame sono le ragioni riportate dai genitori e dai bambini per il matrimonio precoce. In alcuni casi, il matrimonio è stato utilizzato per facilitare la migrazione da paesi colpiti dal conflitto e campi profughi.  Quindi il fenomeno delle spose bambine è particolarmente rilevante anche nelle aree colpite dai conflitti, dove in molti casi le famiglie organizzano i matrimoni per proteggere le figlie da abusi e violenze sessuali. Tra i rifugiati siriani in Giordania, ad esempio, la percentuale di ragazze sposate prima di aver compiuto i 18 anni è cresciuta dal 12% nel 2011 al 32% nel 2014. In Libano, attualmente, risulta sposata prima dei 18 anni più di 1 ragazza profuga siriana su 4, mentre in Yemen la percentuale di spose bambine supera i 2/3 del totale delle giovani nel Paese, rispetto alla metà prima dell’escalation del conflitto. Il problema consiste nel fatto che si stima che 1 donna su 3 a livello mondiale abbia avuto esperienza di violenza fisica o sessuale nella propria vita e per lo più per mano dei loro partner. I tipi di violenza sperimentati possono includere selezione del sesso prenatale (feticidio – rimozione del feto femminile), infanticidio femminile, abbandono, mutilazione genitale femminile, stupro, matrimonio infantile, prostituzione forzata e delitto d’onore. Spesso la violenza sessuale e la prostituzione forzata vengono camuffate dal “matrimonio”. Queste sono gravi violazioni di diritti umani e sono state usate come armi da guerra in tutti i continenti e a questo si aggiunge che i bambini che sfuggono alla guerra e alla persecuzione sono particolarmente vulnerabili a diventare vittime della tratta. Le Ragazze e i ragazzi sono entrambi colpiti, ma il doppio delle ragazze lo sono segnalato come vittime della tratta: mentre le ragazze tendono ad essere trafficate per matrimoni forzati e la schiavitù sessuale, i ragazzi sono tipicamente sfruttati nei lavori forzati o come soldati.

A tale fenomeno è poi strettamente collegato quello delle gravidanze precoci: una questione particolarmente preoccupante considerando che le complicazioni durante la gravidanza e il parto rappresentano la prima causa di morte al mondo per le giovani tra i 15 e i 19 anni. La gravidanza da teenager è una sfida globale che colpisce sia i paesi ricchi che i paesi poveri allo stesso modo, ma i tassi di natalità sono più alti nei paesi dove ci sono meno risorse. In tutto il mondo, questo fenomeno ha più possibilità di manifestarsi nelle comunità emarginate, in cui vi è mancanza di istruzione e di lavoro, dove vi è disuguaglianza di genere, dove vi è mancanza di servizi di salute sessuale e riproduttiva e dove le donne e le ragazze hanno un basso status. È stato stimate che il 10-30% delle ragazze che abbandonano la scuola lo fanno a causa della gravidanza anticipata o del matrimonio; a causa del loro livello di istruzione inferiore, sono molte le madri adolescenti che hanno meno capacità e opportunità per occupazione e ciò alimenta i cicli di povertà. Save the Children ha sottolineato che mettere fine ai matrimoni e alle gravidanze precoci porterebbe a benefici economici entro il 2030 rispettivamente pari a 500 e 700 miliardi di dollari all’anno. La fine dei matrimoni precoci potrebbe risparmiare nei paesi in via di sviluppo trilioni di dollari poiché ridurrebbe la fertilità e la crescita della popolazione per migliorare i guadagni e la salute dei bambini. Il matrimonio minorile non colpisce solo la vita di milioni di ragazze ma ha anche un enorme impatto sull’economia. L’analisi di Save the Children mette, infine, in evidenza la piaga delle violenze fisiche e sessuali (dalle mutilazioni genitali femminili agli stupri alla prostituzione forzata) di cui troppo spesso le bambine e le ragazze sono vittime nel mondo.

Neri ha concluso dicendo che “Sono ancora troppi, come sottolinea il nostro rapporto, gli ostacoli che impediscono a tantissimi bambini e bambine al mondo di vivere a pieno la propria infanzia. Dalla lotta alla malnutrizione e a ogni forma di violenza, dall’accesso alla salute e all’educazione, chiediamo pertanto ai governi di impegnarsi concretamente ed efficacemente perché nessun bambino venga più lasciato indietro e a nessuno di loro venga più sottratto il proprio futuro”.

Women from a displaced community in a remote isolated location called ‘Found a Well’ in Western Sanaag under Somaliland rule. These pastoralist communities have congregated together at a known water source as their livestock herds have been depleted by the drought. Families report losing 80-90% of their livestock due to the drought. The only humanitarian assistance they have received to date has been a visit by Save the Children’s mobile Health Clinic.
Rainer Maria Baratti
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