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Norvegia, rifugiati: accoglienza e battaglia sui numeri

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Mentre milioni di siriani di spingono verso il nord Europa (destinazione ideale, la cui immagine di meta da raggiungere è stata creata nel tempo da reportage e trasmissioni media che ne hanno lodato il welfare e le politiche di accoglienza) con i mezzi più vari, spesso a piedi, varcando i confini delle nazioni centro-europee, la popolazione norvegese sembra voler confermare la sua reputazione alle urne delle ultime elezioni amministrative.

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Il voto ha portato, infatti, il partito anti-immigrazione, membro dell’attuale coalizione di governo, al peggior risultato elettorale a livello locale degli ultimi ventidue anni. Il suo maggiore oppositore, il partito laburista (Arbeidsparti), il quale ha preso una chiara e esplicita posizione a favore dell’accoglienza dei rifugiati siriani, è il grande vincitore delle elezioni amministrative del 13 settembre scorso.

Il risultato delle elezioni, che sono coincise con l’esplodere della crisi migratoria del popolo siriano (e non solo), non ha trovato, però, un riscontro pratico (apertura delle frontiere ai richiedenti asilo), quando l’Europa, geograficamente intesa, si è trovata a dover decidere sul numero degli immigrati da accogliere. In base alla grandezza del territorio, delle risorse disponibili a livello statale e al numero degli abitanti, la Norvegia ha aperto le frontiere a un numero estremamente ridotto di richiedenti asilo, mentre avrebbe potuto accogliere 100.000 rifugiati. Un numero stimato anche da Victor D. Norman, professore di economia sociale presso l’Alta Scuola del Commercio di Oslo, come riporta il giornale Dagens Næringsliv. Norman sottolinea le conseguenze economiche positive che l’afflusso dei migranti siriani porterebbe: “I migranti che arrivano sono preparati, innovatori e hanno voglia di lavorare, nonché di spendere”. Certo, non manca il timore della ghettizzazione anche da parte dei più favorevoli all’accoglienza, ma Norman prosegue “se i comuni e le istituzioni locali riceveranno risorse e libertà di gestione del fenomeno migratorio all’interno dei loro territori, si potrebbe ottenere il risultato di ridurre al minimo il problema della ghettizzazione”.

Il numero degli accolti in Norvegia, invece, non supera i duemila. Una cifra che appare decisamente ridotta se si pensa che il Libano, paese con una popolazione di poco inferiore alla norvegia, ha accolto al suo interno 1,5 milioni di rifugiati dalla Siria. Il primo ministro libanese Tamman Salam ha dichiarato, il 26 settembre scorso, ai microfoni dell’emittente norvegese NRK che “il Libano apprezzerà un eventuale sforzo della Norvegia ad accogliere al suo interno un maggior numero di rifugiati”.

Un esempio di diversa attitudine verso il fenomeno lo da la confinante Svezia, che con una popolazione che conta poco meno del doppio degli abitanti della Norvegia, ha accolto quest’anno 90.000 rifugiati. Anders Danielsson, a capo dell’Istituto nazionale per l’Immigrazione, dichiara al giornale svedese Aftonbladet che “la situazione dei migranti è indubbiamente una crisi, ma non per la Svezia. E’ una crisi soprattutto per coloro che scappano”. La istituzioni svedesi fanno sapere che il numero dei richiedenti asilo oggi è superiore a quello che venne accolto in occasione della guerra dei Balcani negli anni novanta, ma non maggiore delle richieste di asilo ricevute già lo scorso anno.

Il governo norvegese, rappresentato da Erna Solberg, ha dato, per il momento, la disponibilità a ospitare una conferenza internazionale sul tema, nonché l’utilizzo di mezzi navali adeguati, in accordo con i paesi che si affacciano nel mediterraneo, al fine di evitare il problema delle morti in mare.

La discussione sul numero delle accoglienze all’interno del proprio territorio nazionale rimane, però, ancora aperta.
Carla Melis

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Redazione
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