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La Francia al bivio, tra Il tecnocrate europeista e La “pasionaria” sovranista

EUROPA di

Dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi, che si è svolto domenica 23 aprile, è sembrato emergere un temporaneo rallentamento dell’ascesa di Marine Le Pen, da molti temuta e da altri – ma molti di meno – auspicata.     Si è attestata tra il 21 e il 22% e, considerando la mancanza di alleati e la chiusura, nei suoi confronti, dei concorrenti “caduti” al primo turno, un incremento di consensi tale da portarla alla vittoria al secondo sembra un obiettivo di difficile realizzazione.

Benché i sondaggi di queste ultime due settimane abbiano, in certe fasi, registrato una crescita di consenso più rapida di quella di Macron, la forbice a favore di quest’ultimo sembra tuttora piuttosto ampia.     Ma le diffuse preoccupazioni in ordine alla sicurezza, alle migrazioni, al terrorismo internazionale, la delusione verso la governance europea rivestono un peso che non deve essere sottovalutato.

E occorre inoltre considerare le incognite legate al disimpegno sulla candidatura Macron da parte di Mélenchon, candidato al primo turno del movimento di sinistra “La France Insoumise”.     A chi andranno quei voti, circa il 20 % ?   La stessa astensione, secondo autorevoli osservatori, giova soprattutto all’appassionata Marine.

La corsa di Macron all’Eliseo ha colto, comunque, una congiuntura favorevole, segnata dal declino dei maggiori partiti e dalla tendenza della classe politica tradizionale a fare quadrato, a tutti i costi, per impedire la vittoria della destra “sovranista” di Marine Le Pen, arrivata, come era prevedibile, al ballottaggio.   L’aspettativa per la vittoria di Macron si è così consolidata, dopo il primo turno.   Già in ambito internazionale, gli ambienti politici cominciano ad interrogarsi sulla possibile reiterazione, negli altri contesti nazionali, di un modello analogo a quello realizzato in Francia dal giovane tecnocrate e outsider e dal suo nuovo movimento denominato “En Marche !”.     Soprattutto in Italia, in cui le incognite su equilibri, alleanze e identità stentano a trovare soluzione, sembra si sia scatenata la caccia per individuare, nel confuso scenario contingente, il possibile “nuovo Macron” !

Il fondatore e leader di “En Marche !” è un tecnocrate, un manager che è stato chiamato, in virtù delle sue competenze e delle qualificate esperienze professionali, a rivestire l’incarico di Ministro dell’Economia nel secondo governo Valls e che ha lasciato il Partito Socialista, ancora maggioritario nel Parlamento uscente, ma in condizioni di rapido declino, come ha dimostrato il risultato di Hamon – e la stessa rinuncia a ricandidarsi del Presidente Hollande, inconsueta nella storia della Quinta Repubblica, dopo un solo mandato – e ha fondato lo scorso anno un nuovo movimento, dall’identità ancora un po’ vaga e incerta, ma in grado di suscitare interesse e fiducia in una parte crescente di elettorato, ormai stanco dello schema di contrapposizione tradizionale socialisti-gollisti, ma spaventato dalla possibile alternativa lepenista.

En Marche! ha assunto una connotazione di centro, centrosinistra, che non disdegna tuttavia il dialogo con il centrodestra, tanto che Fillon, candidato appunto del centrodestra (“Les Républicains”, di matrice gollista) al primo turno, subito dopo si è affrettato ad invitare i suoi elettori a sostenere Macron nel ballottaggio.   E altrettanto ha fatto Hamon, candidato socialista.   Ma i sondaggi registrano anche possibili defezioni, tra gli elettori di Fillon e Hamon, rispetto ai richiami dei due leaders in favore di Macron.   Defezioni tendenti all’astensione, o addirittura all’opzione Le Pen (questo, in misura maggiore, è stato riscontrato nell’area di centrodestra).

La convergenza di Fillon e Hamon su Macron è dovuta soprattutto all’esigenza di arginare le possibilità di vittoria di Marine Le Pen, ma forse si può ritenere agevolata proprio da quella sorta di equidistanza che l’identità non ancora ben delineata, o comunque fuori dagli schemi, del nuovo movimento, fondato dall’ex ministro dell’Economia, sembra evidenziare rispetto alle due forze che fino ad ora si sono contese la guida della Quinta Repubblica.

Macron è un convinto europeista e ritiene che la globalizzazione possa costituire un’opportunità, non una minaccia per l’economia francese.     Intende innovare e moralizzare il confronto politico nel suo paese e superare lo schema destra-sinistra, secondo nuove interpretazioni delle sfide che investono il nostro tempo.     Si pone nell’alveo progressista, ma non appare neppure troppo lontano dalle posizioni neogolliste, tanto che Fillon non ha manifestato un particolare imbarazzo, assicurandogli il proprio sostegno.

Che possa essere questo, forte proprio di tale pragmatismo post ideologico, il segreto del successo conseguito dall’ex banchiere ed ex ispettore delle finanze, già consigliere di Hollande e ministro socialista e rappresentare quindi la ricetta per affrontare la crisi dei partiti tradizionali di governo anche in altri paesi d’Europa, arginando, con realismo e concretezza, scevra di tentazioni demagogiche, la crescita dei cosiddetti populismi antieuropei e sovranisti ?   Fenomeni questi, efficaci quando assecondano e stimolano paure e diffidenze diffuse nell’opinione pubblica, ma più carenti nella progettualità e nell’individuazione di soluzioni alternative alle politiche che contestano.

La ricetta Macron, considerando l’appoggio incassato dal repubblicano Fillon e dal socialista Hamon, dovrebbe ritenersi orientata, in caso di vittoria nelle presidenziali, a privilegiare comunque il dialogo con quelli che sono stati finora i due maggiori partiti, o comunque con uno dei due.   Questo dialogo si renderà necessario, perché difficilmente il “giovane” movimento di Macron, anche a seguito dell’eventuale elezione alla Presidenza del suo leader, potrà ottenere, nelle successive elezioni legislative di giugno, una maggioranza autosufficiente nell’Assemblea Nazionale.

Il sistema semipresidenziale vigente nella Quinta Repubblica francese richiede la creazione di un rapporto fiduciario tra l’Assemblea Nazionale e il Governo, costituito da un Primo Ministro e dai ministri che saranno nominati dal nuovo Presidente.   Sempre nell’ipotesi di elezione di Macron alla Presidenza, il suo movimento, pur traendo certamente un sensibile beneficio da questa vittoria nelle elezioni dell’Assemblea Nazionale, potrebbe scontare, in quell’occasione, lo scarso radicamento territoriale dovuto al suo recentissimo esordio sulla scena politica.

Parlamentari uscenti e dirigenti di lungo corso dei due partiti che si sono, per oltre mezzo secolo, contesi il governo della Quinta Repubblica potrebbero dare filo da torcere, nei singoli collegi, ai neofiti seguaci di Macron e riscattare, in quella fase, l’insuccesso dei rispettivi candidati – Fillon e Hamon – alla Presidenza.

Dunque, in questa prospettiva, Macron, per evitare il rischio di una sostanziale ingovernabilità, dovrebbe sviluppare affinità e convergenze con i partiti tradizionali, finalizzate non soltanto all’esigenza di contrastare l’estrema destra lepenista, ma anche ad una condivisione programmatica, senza la quale non si può realizzare una coalizione di governo. Difficile poi prevedere, al momento, se le convergenze dovranno ricercarsi con i repubblicani o con i socialisti, o forse con entrambi, nell’eventuale prospettiva di Grande Coalizione che potrebbe costituire, peraltro, la direttrice della politica europea dei prossimi anni, spostandosi gradualmente il confronto, dallo schema popolari-socialisti a quello sovranisti-europeisti (potrebbe essere il caso della Germania, dopo le prossime elezioni politiche, forse anche dell’Italia,… chissà !?…ipotesi “futuribili”, indotte tuttavia da una evidente crisi di rappresentatività delle “categorie” politiche cui da tempo ci eravamo assuefatti).

Ancor più critico apparirebbe il quadro, in caso di vittoria, nel ballottaggio, di Marine Le Pen, perché poi, nelle elezioni legislative, potrebbe ottenere ancor meno seggi parlamentari.   Un partito isolato, come il Front National, non è molto competitivo, con il sistema a doppio turno e avrebbe ancor meno possibilità di quelle di Macron di ottenere una maggioranza nell’Assemblea Nazionale, anzi, in genere stenta ad ottenere una sia pur minima rappresentanza.   Con l’elezione della sua leader alla Presidenza della Repubblica si verificherebbe forse un effetto trascinamento, ma difficilmente potrebbe conseguire una forza parlamentare, in grado di reggere da sola le sorti del governo.   Ne potrebbe derivare il ricorso alla “coabitazione” tra la nuova Presidente e un Primo Ministro del tutto eterogeneo e politicamente ostile, con riflessi assai problematici, per la navigazione governativa.

Un quadro, dunque, incerto, per il futuro istituzionale di questa grande potenza europea, un futuro che ora è affidato alla scelta del popolo sovrano che si pronuncerà domenica 7 maggio.

Alessandro Forlani

Ciclone Le Pen: verso la fine dell’Europa Unita?

EUROPA/POLITICA di

La Francia tira un sospiro di sollievo. Il ballottaggio per le amministrative ha, infatti, messo fuori gioco il Front National (FN) di Marine Le Pen, che si era affermato vincitore al primo turno. L’estrema destra francese non riesce ad ottenere nessuna regione, sette invece vanno ai repubblicani e cinque ai socialisti. Ma c’è un rovescio della medaglia: al primo turno il FN ottiene 6 milioni di voti; in occasione del ballottaggio il numero sale a 6,7 milioni, circa l’11,6% in più. Questi dati mettono, dunque, in evidenza come qualcosa stia cambiando nell’elettorato francese e repubblicani e socialisti abbiano un reale avversario da combattere. Come già reso noto dalla leader dell’estrema destra, Marine Le Pen, questa sconfitta non arresterà la loro corsa e le presidenziali del 2017 sono tutto fuorché un sogno irrealizzabile.

Su cosa punta il FN e perché è così tanto temuto?

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Prima i Francesi e la Francia. In una società multietnica e multiculturale come quella francese, l’estrema destra vuole difendere in primis gli interessi della Nazione e dei suoi cittadini. Ciò inevitabilmente si scontra con le tematiche legate all’immigrazione, nei confronti della quale la Francia ha solitamente assunto posizioni meno rigide rispetto ad altri paesi europei. La signora Le Pen propone cambiamenti. Rivedere Schengen e aumentare i controlli, ridurre l’immigrazione clandestina, ma anche diminuire l’immigrazione legale e i servizi di assistenza gratuita anche per coloro non provvisti di permesso di soggiorno.

Una maggiore chiusura verso l’esterno, da un lato; dall’altro, rivalorizzare la posizione della Nazione nel mondo. Dichiaratamente euroscettica, Marine Le Pen evidenza i difetti e i limiti di istituzioni come l’Unione Europea, che con la loro tecnocrazia “tarpano le ali” alle nazioni. Una forza centrifuga che vorrebbe portare la Francia fuori dall’UE, così come dalla NATO, liberandosi dai vincoli che queste unioni comportano e ripristinando l’indipendenza politica e diplomatica della Nazione.

Immune alle accuse di fascismo e di un populismo xenofobo e anti-europeo, la Le Pen ha tutta la grinta e la determinazione per poter essere un avversario scomodo. Non solo. Ha anche quei sei milioni e passa di voti. Quei Francesi che hanno scelto un partito d’estrema destra che parla meno di comunità e altruismo, e più di cosa serva ora e praticamente per ripristinare la sicurezza e la stabilità che gli attentati degli ultimi mesi hanno portato via.

Posizioni categoriche, dunque, che spaventano l’attuale classe politica francese ma mettono in allarme anche altri paesi europei, dove negli ultimi anni partiti di stampo estremista ed euro-scettico hanno trovato maggior consenso. Parliamo dell’UKIP in Gran Bretagna, forte sostenitore della Brexit, o della Lega Nord in Italia, incline all’uscita dall’Euro e ad una modifica dell’Unione. Persino la Polonia, uno dei paesi più coinvolti nelle politiche comunitarie vede la vittoria degli euro-scettici di Diritto e Giustizia, privando l’Unione di uno dei suoi più forti sostenitori.

E’ evidente, dunque, come quella francese non sia una voce singola nello scenario europeo, ma faccia parte di quelle forze che dell’Europa Unita non vogliono neanche sentire il nome. E di certo gli avvenimenti recenti non hanno aiutato a cambiare questa idea, anzi. Hanno rafforzato le posizioni di chi si sente disilluso dall’Unione, un’Unione che c’è sulla carta ma pecca di efficienza e razionalità. Un’Unione sempre più legata alle decisioni (e agli interessi) della Germania. Un’Unione che non riesce a garantire la sicurezza dei propri membri e le cui politiche rigorose hanno di fatto inasprito la crisi economica rendendo sempre meno appetibile l’UE.

Ecco, dunque, perché si teme la Le Pen. Perché ha la forza e la volontà per assumere quel ruolo trainante ed innescare un effetto a catena tra le forze anti-europee, creando un fronte comune che possa spingere ad una modifica radicale dell’Unione. I primi passi sono già stati mossi. Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, annuncia un piano comune con Marine Le Pen per la revisione dei trattati europei, da quello di Maastricht a Schengen. In attesa del vertice di Milano a gennaio, che vedrà uniti tutti i partiti euroscettici dei vari paesi per formulare insieme una proposta alternativa all’Europa attuale.

Sembra, dunque, che lo scetticismo nei confronti dell’Unione continui ad aumentare, seppure manchi ancora un’unità d’azione. La Francia di Le Pen potrebbe assumere questa leadership e portare i partiti anti-europeisti a giocare un ruolo di primo piano sullo scenario nazionale ed internazionale. Il contesto geopolitico sta cambiando: le minacce e la paura crescono, l’insoddisfazione e la volontà di fare di più pure. L’Unione Europea deve trovare una risposta a questi cambiamenti, adattarsi al nuovo ambiente e alle esigenze della sua popolazione. Le alleanze occasionali ai ballottaggi non sono la soluzione. Come insegna Clausewitz, “la tattica senza strategia è il rumore che precede la sconfitta”.

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Paola Fratantoni
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