GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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elena saroni @it

Messico: le proteste degli insegnanti continuano

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In Messico continuano le proteste degli insegnanti contro la riforma educativa approvata dal governo all’inizio del 2013. Nell’ultimo mese lo scontro tra il governo ed il CNTE (Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación) si è intensificato, sfociando nel “massacro di Nochixtlán” del 19 giugno, in cui sono rimasti uccisi 8 civili in uno scontro con armi da fuoco.

La riforma educativa decisa dal governo di Enrique Peña Nieto è stata pensata per migliorare la qualità del sistema educativo messicano. In particolare, il governo vuole eliminare le relazioni clientelari che si sono create in alcune zone del Paese per quanto riguarda l’accesso alla professione di insegnante. Una delle misure previste dalla riforma è la selezione degli insegnanti tramite concorso pubblico, oltre ad un sistema di valutazione della preparazione degli insegnanti già in servizio e l’organizzazione di corsi di aggiornamento per i docenti. Questa misura è il principale motivo che ha mobilitato moltissimi insegnanti che lavorano nelle zone del Sud del Messico: in particolare gli Stati di Oaxaca, Guerrero e Chiapas. Si tratta soprattutto di professori che operano nelle zone rurali a maggioranza indigena, dove parte della popolazione parla ancora solo la lingua locale e non conosce lo spagnolo. Questi professori ritengono che i criteri di valutazione a cui verranno sottoposti non tengano conto delle specificità locali e delle esigenze delle comunità in cui lavorano. In tal modo, è probabile che questi insegnanti verranno esclusi dalla professione poiché ritenuti non in linea con i criteri richiesti, mentre loro affermano di essere essenziali soprattutto per il loro bilinguismo. In tali comunità agricole molto isolate dal resto del Paese, infatti, gli insegnanti del luogo svolgono una funzione molto importante: da un lato insegnano ai ragazzi lo spagnolo, dall’altro comunicano efficacemente con i loro genitori, i quali a volte parlano solo la lingua indigena. Inoltre, trattandosi di località molto isolate, dove a volte manca addirittura la copertura telefonica, difficilmente degli insegnanti provenienti da altre zone del Paese sarebbero disposti a trasferirvisi.

Per queste ragioni, gli insegnanti riuniti nel CNTE hanno organizzato scioperi prolungati e blocchi alla circolazione nelle strade strategiche per il trasporto di generi di prima necessità. La popolazione delle aree coinvolte, se a detta del governo sembra aver appoggiato la riforma educativa, ha talvolta offerto il suo sostegno alle rivendicazioni degli insegnanti.

L’episodio del 19 giugno nella cittadina di Nochixtlán dello Stato di Oaxaca, merita di essere menzionato per la gravità dei fatti accaduti. La polizia è intervenuta per sgomberare il blocco di una strada che gli insegnanti del CNTE occupavano da una settimana. La versione ufficiale del governo è che le forze di polizia abbiano aperto il fuoco in risposta a qualche manifestante che aveva estratto armi da fuoco. La versione degli abitanti del villaggio è invece diversa: affermano che sia stata la polizia ad aprire il fuoco e che loro si siano difesi con armi rudimentali come pietre ed altri oggetti. Resta il fatto che il bilancio dello scontro a fuoco è stato di 8 civili morti (ma gli abitanti del villaggio affermano che siano 11) e 3 agenti feriti. L’ONU ha chiesto al governo del Messico di fare chiarezza sull’episodio.

Dopo l’incidente del 19 giugno il governo ha deciso di cambiare strategia e di offrire al CNTE la ripresa dei negoziati in cambio della cessazione dei blocchi alle principali vie di comunicazione della regione. Il 5 luglio i rappresentanti del governo e del CNTE si sono incontrati a Città del Messico per scambiarsi le reciproche proposte di soluzione del conflitto. Hanno poi fissato un nuovo incontro per l’11 luglio, data che precede di pochi giorni l’inizio delle vacanze scolastiche, previsto per il 15 luglio.

Gli insegnanti sono aperti al dialogo, ma chiedono con fermezza il ritiro della riforma educativa e si dicono disposti a rispondere con tutte le armi in loro possesso in caso di un nuovo uso della forza da parte del governo centrale. Ricordiamo che nel Sud del Messico sono presenti gruppi armati legati alla popolazione indigena tra cui l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

La svolta a destra dell’Argentina

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I primi sei mesi di presidenza Macri hanno segnato una svolta nella storia dell’Argentina. Dopo 12 anni di governo dei coniugi Kirchner di ispirazione peronista, l’Argentina ha effettuato una netta inversione di rotta sia sotto il profilo della politica interna, che della sua posizione a livello internazionale. Dopo aver vinto le elezioni il 22 novembre 2015, Mauricio Macri ha intrapreso una serie di riforme in netto contrasto con le politiche adottate dai suoi predecessori.

In primo luogo, il governo Macri ha adottato una serie di misure volte ad alleggerire le spese sostenute dallo Stato in campo sociale. Le misure in questione, tra cui l’eliminazione dei sussidi sul prezzo dei trasporti pubblici, sull’energia e la benzina ed il licenziamento di parte dei dipendenti pubblici, hanno sollevato malcontento in buona parte della popolazione. D’altro canto, va sottolineato come il governo abbia ridotto le imposte per le imprese, incentivando le esportazioni dei principali prodotti del Paese: grano, mais, carne, prodotti minerari. Una delle ultime proposte di legge avanzate dal governo riguarda la modifica del sistema elettorale, che andrebbe ad includere la sostituzione del voto cartaceo con quello elettronico. L’intento dichiarato del Presidente è quello di promuovere la modernizzazione e la ripresa economica del Paese. Un’altra misura di importanza storica per il Paese è stato il raggiungimento di un accordo con i creditori esteri per il pagamento dei debiti contratti ed in cambio ottenere nuovamente fiducia sul mercato internazionale in modo da poter ricominciare a finanziarsi emettendo titoli di Stato. A ciò si aggiunge una politica di forte attrazione degli investimenti esteri.

Non vi è dubbio che le misure di riconciliazione con i creditori esteri abbiano avuto un immediato impatto sulle relazioni del Paese sudamericano con Stati Uniti ed Europa. Si è infatti verificato un significativo riavvicinamento con questi Paesi, coronato da una visita ufficiale del Presidente Obama dopo 20 anni di allontanamento tra i due Paesi, ma anche del presidente del consiglio Matteo Renzi, e François Hollande. La nuova collocazione dell’Argentina sul piano internazionale ha incluso un allontanamento dai suoi precedenti alleati: il Venezuela e la Russia. Una delle sfide che si propone di realizzare Macri dal punto di vista della politica estera è quella di rilanciare il Mercosur ed il libero scambio in America Latina, nonché aprire nuove opportunità commerciali verso l’area del Pacifico.

Occorre, tuttavia, menzionare il rapporto di freddezza che si è sviluppato tra il nuovo governo argentino ed il Vaticano, anche se non si tratta di una completa novità rispetto ai precedenti rapporti che Bergoglio intratteneva con i Kirchner. Il 9 giugno l’associazione Scholas Ocurrentes, una fondazione pontificia che ha aperto scuole in Argentina e nel Mondo, ha rifiutato su ordine del Papa di ricevere la donazione di 16 milioni di pesos fatta dal presidente Macri. Il Papa ha motivato il suo rifiuto dicendo che l’associazione deve stare attenta a non cadere nella corruzione. Il gesto compiuto dal Presidente è stato, infatti, interpretato dal Papa come un escamotage per migliorare le relazioni con la Santa Sede. La risposta pubblica di Bergoglio è stata che “Il governo argentino deve far fronte a tante necessità del popolo, così che i dirigenti della fondazione non sono in diritto di chiedergli nemmeno un centesimo”. La Casa Rosada è rimasta stupita visto che la cifra era stata richiesta dalla stessa fondazione per far fronte a delle spese amministrative. Macri ha inoltre evidenziato come il sostegno a Scholas Ocurrentes sia stata una linea comune al precedente governo di Cristina Fernández de Kirchner. Il Papa sembra piuttosto aver voluto lanciare un messaggio al Presidente sul fatto che le loro relazioni potranno migliorare se questi adotterà un altro tipo di approccio fondato sul dialogo e sull’attenzione alle necessità delle classi più deboli del Paese.

La svolta dell’Argentina si inserisce in un più ampio contesto latinoamericano che sembra preannunciare la fine della stagione dei governi socialisti che hanno avuto largo sostegno dall’inizio degli anni 2000. Il governo argentino non potrà in ogni caso rinnegare totalmente il lascito del Kirchnerismo e la volontà del popolo di non rinunciare alle importanti conquiste sociali ottenute nell’ultimo decennio.

 

di Elena Saroni

Redazione
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