GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Donbass; interviene Alexander Hug, vice capo della missione OSCE

EUROPA/SICUREZZA di

 

lo scorso 6 ottobre 2017 è intervenuto in una conferenza a Kiev il vice capo della missione speciale di monitoraggio dell’OSCE, Alexander Hug. L’OSCE è un’organizzazione regionale per la promozione della pace, del dialogo politico e della cooperazione in Europa.

In particolare Alexander Hug si è espresso in merito alla situazione nella regione del Donbass, al confine tra Russia e Ucraina. La missione dell’OSCE consiste nel monitoraggio della situazione di tregua, con l’invio di circa 500 civili non armati nella zona interessata. Il cessate il fuoco è stato pattuito tra le parti il 5 settembre scorso.

La decisione era arrivata in seguito alla situazione di violentissimi scontri, con l’utilizzo di armi pesanti, che si era creata ed intensificata nei mesi precedenti, con il numero dei civili coinvolti in costante crescita. Il patto è stato, però, ripetutamente interrotto nei giorni seguenti , con bombardamenti pesanti che si sono registrati nella periferia di Mariupol, una città nell’Ucraina sudorientale, nella notte del 7 settembre. Inoltre sono stati avvistati dei carrarmati nella zona che intercorre tra il confine ed i 15 km di distanza da rispettare.

Alexander Hug nel suo intervento  ha continuato a fornire dati sugli ultimi attacchi. In particolare ha parlato degli eventi più vicini in ordini di tempo, riferendosi soprattutto alla giornata del 2 ottobre, quando le forze militari ibrido-Russe hanno attaccato le posizioni dell’esercito Ucraino 14 volte in 24 ore. Queste ultime hanno infatti aderito al cessate il fuoco nella zona di Donetsk, riversandosi però, con l’utilizzo di granate nei pressi del villaggio di Zaitseve, mettendo in grave pericolo numerosi civili.

In merito alla questione civili si è poi espresso riportando dati, “positivi”, se comparati con quelli degli ultimi mesi. Attraverso i monitoraggi, è stato possibile sapere che nell’ultimo mese il numero dei civili coinvolti nel conflitto è pari a 15, tra morti e feriti, ma rappresentano addirittura il 62% in meno rispetto ai mesi precedenti.

Alexander Hug, ha concluso il suo intervento citando chi realmente si trova nelle posizioni di potere in questo conflitto, chi potrebbe decidere di farlo cessare. “ Le persone che si trovano da entrambi i lati della linea di confine non aspettano altro che le figure in posizioni di potere facciano cessare il fuoco”, e continua “ Le persone armate, ma soprattutto chi li comanda, si stanno forse dimenticando di una cosa; i civili coinvolti, ed i 500, non armati, inviati dall’OSCE, vengono da 44 paesi differenti, ed hanno un solo obiettivo; la pace” .

Ucraina-Russia: tra gas, blocco e recessione

EUROPA di

Tornano roventi i rapporti tra Ucraina e Russia. Non tanto sul piano della guerra civile, quanto sul piano diplomatico. La questione del gas, in cui Kiev sembra avere adesso il coltello dalla parte del manico. L’embargo commerciale e alimentare inflitto al Paese ex sovietico da parte di Mosca. Il Cremlino, attanagliato dalla recessione, in cerca di un riavvicinamento con l’Europa.

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Il mese di gennaio ha segnato il riacutizzarsi della guerra diplomatica tra Ucraina e Russia. Guerra che sta mettendo a dura prova gli accordi di Minsk del febbraio 2015. L’ingresso dell’inverno, come prevedibile, ha fatto sì che il tema della fornitura di gas tornasse il perno di questa crisi geopolitica.

E proprio su questo fronte, come riportato da Bloomberg, il piano si è rovesciato. Con la Russia pronta ad abbassare il prezzo della fornitura all’Ucraina (l’accordo è in vigore fino al 2019), pur di non perdere Kiev come suo cliente e punto strategico per la distribuzione in Europa.

Ma proprio la non sempre meno dipendenza del Vecchio Continente da Mosca, con l’aumento della fornitura dalla Norvegia e dall’Algeria, rendono Putin meno determinante sul fronte energetico. E Poroshenko meno frettoloso nel cercare un compromesso sull’energia e a concedere l’autonomia costituzionale al Donbass. Nemmeno le dichiarazioni del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov sull’opportunità di sfruttare il progetto South Stream, bypassando l’Ucraina per ragioni di instabilità politica, sembrano preoccupare Kiev e fare breccia a Bruxelles.

L’altro punto dello scontro è l’embargo per i generi alimentari e l’introduzione delle tariffe doganali per l’Ucraina, messa sullo stesso piano di tutti quei Paesi UE e non che hanno introdotto le sanzioni contro l’economia russa. Un provvedimento che di fatto allontana Kiev dalla galassia CSI e rende ancora più rigida sul fronte autonomista interno.

Infine, l’economia russa. I dati relativi al 2015 parlano di recessione. Il PIL sceso del 3,7% e il crollo del Rublo hanno costretto il premier Dimitri Medvedev ad annunciare un piano entro la prossima settimana. Due le cause che hanno contribuito a questo tracollo, visibile anche nei rapporti di interscambio con l’area UE: la discesa del prezzo del petrolio e, in piccola parte, le sanzioni economiche imposte dall’Occidente.

L’irrigidimento ucraino e la difficoltà russe stanno, a sorpresa, portando ad un cambiamento nell’atteggiamento dei Paesi europei e degli Stati Uniti nei confronti di Kiev e Mosca. Nel corso dell’incontro in Russia con Lavrov, il ministro degli Esteri francese Emmanuel Macron ha detto di confidare “nel rispetto degli accordi di Minsk da parte di tutti per arrivare alla cancellazione delle sanzioni l’estate prossima”. Mentre il segretario di Stato John Kerry confida “nella buona fede di tutti gli schieramenti”.

Frasi sibilline, dunque, ma rivelatrici del monito nei confronti di Kiev, invitata a retrocedere dal suo oltranzismo, vista anche la generale tregua delle truppe separatiste nel Donbass. Complice anche e sopratutto lo scenario siriano, i rapporti con la Russia sono tornati più caldi nell’ultimo scorcio del 2015. La Francia, anch’essa impegnata in Siria contro lo Stato Islamico, così come l’Occidente, hanno tutto l’interesse, dal punto di vista geopolitico, a chiudere lo scenario ucraino, per concentrare l’attenzione sul contesto mediorientale e quello libico, l’altro teatro di un sempre più probabile intervento militare internazionale.
Giacomo Pratali

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Crisi Ucraina: “La Norvegia non deve distruggere il suo solido rapporto con la Russia”

Varie di

La Norvegia ha condannato l´annessione russa della Crimea e la destabilizzazione dell’Ucraina e ha aderito alle sanzioni europee. Il ministro della difesa ha, inoltre, affermato che il conflitto in Ucraina ha cambiato in maniera duratura il panorama politico e di sicurezza.

Questa in sintesi la reazione norvegese agli avvenimenti in Crimea, che hanno visto il loro inizio con il rinvio della firma dell’Accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione Europea alla fine del 2013. Un cambiamento significativo rispetto alla linea diplomatica seguita fino ad ora dal paese scandinavo. La politica che la Norvegia ha portato avanti nei confronti della Russia attraverso diversi governi è stata una politica ragionevole, caratterizzata da un dialogo costruttivo e basata sulla situazione geopolitica nella quale si trova il paese: quello di vicino di una superpotenza.

Le istituzioni norvegesi, ora governate da una coalizione di centro-destra, favorevole ad una sempre maggiore vicinanza all’Europa, hanno portato avanti, dal 2014, una politica nuova nei confronti del vicino russo, critica e vicina alla posizione europea. Una politica che non piace al vecchio establishment, in primis il corpo diplomatico che ha lavorato con la Russia negli scorsi decenni. L’ex ambasciatrice norvegese in Russia, Mette Kongshem, invita, in un articolo inviato al giornale nazionale Aftenposten, a non “lasciare che il conflitto in Ucraina distrugga il solido rapporto che la Norvegia ha avuto con la Russia” e a guardare la situazione con gli occhi dei Russi.

Secondo l’ambasciatrice sarebbe un beneficio per la Norvegia posizionarsi meglio nella storia russa degli ultimi due, tre secoli e provare a vedere il mondo attraverso gli occhi dei vicini russi.

“Dobbiamo poter collocare gli eventi in un ulteriore contesto e provare a capire perche la Russia e´intervenuto con l´utilizzo di strumenti di potere come abbiamo visto in seguito. O forse dobbiamo riconoscere che si e´trattata di una reazione della Russia a quello che il paese ha percepito come una instrusione negli interessi sensibili della Russia” spiega Kongshem “La Russia e´una superpotenza con una economia compromessa e cerca di salvaguardare il suo status. L´occidente non ha la capacità di trattare in maniera equa la Russia, e l´indebolimento che e´avvenuto da parte russa fa si che la cooperazione non funzioni come dovrebbe. Ma la conoscenza della Russia e purtroppo molto scarsa in occidente. La politica estera russia e´fortemente caratterizzata dall´esperienza che il paese ha avuto con l´occidente nel corso del tempo. Pietro il grande aprì una finestra verso l´occidente e vedeva come benvenuti gli input provenienti da ovest. Ma di volta in volta nel corso della storia le ondate di invasioni provenienti da occidente sono arrivate in Russia. La necessità di procurarsi una sfera di interesse nei paesi vicini si e´venuta a creare, non meno dopo che l´Unione Sovietica è scomparsa e la Russia si e´vista come un paese indipendente circondato da quelle che erano state prima le repubbliche sovietiche e dove vivevano grandi popolazioni russe. Perche´e´cosi difficile da capire che la Russia ha gli stessi interessi strategici nel suo circondario che l´altra superpotenza, gli Stati Uniti? Perche´ abbiamo avuto tante difficolta´a capire i segnali che arrivavano da Mosca sul fatto che l´Europa e la NATO si stavano avvicinando troppo nel momento in cui invitavano l´Ucraina e la Georgia a diventare membri EU e NATO?”.

Nella sua lettera all’Aftenposten la Kongshem avverte anche che la politica intrapresa in occasione della crisi in Crimea, con 40 milioni di aiuti all’Ucraina annunciati dall’attuale ministro degli esteri Børge Brende a maggio 2015, non è nell’interesse della Norvegia. Il rapporto costruito in decenni potrebbe complicarsi e la Russia potrebbe vedersi spinta a rivolgersi verso Est, verso la Cina e l’India. La Norvegia infatti, oltre agli aiuti all’Ucraina, si è resa partecipe di una serie di gaffe diplomatiche nei confronti della Russia, in primis respingendo la richiesta russa di aiuto per il recupero di un aereo precipitato con 4 morti russi in mare al largo di Berlevåg, e in seguito rifiutando un invito a prendere parte alla cerimonia commemorativa per soldati della marina della flotta russa che sono morti nella seconda guerra mondiale.

“E´cosi´che mostriamo il nostro riconoscimento ai russi che nel 1944/45 ci hanno difeso dai tedeschi in Finnmark e liberato?” conclude Kongshem.

Carla Melis

La lezione realista sulla crisi ucraina

EUROPA di

I negoziati di Minsk del 12 febbraio scorso, accolti dalla diplomazia europea e statunitense come un primo passo indispensabile verso l’auspicata soluzione della crisi ucraina, hanno messo a nudo il fragile accordo sul quale dovrebbero reggersi le sorti delle future relazioni est-ovest. Difficilmente la lunga linea di “faglia” che attraversa l’Europa e divide l’Ucraina in due fronti contrapposti, uno occidentale e uno ortodosso, avrebbe potuto essere più evidente. E non solo perché, ancora oggi, continua a grondare di sangue, ma perché è la storia stessa del paese a rimarcare le divisioni e i conflitti che lo hanno a lungo forgiato. Se da un lato secoli di difficile integrazione tra cultura occidentale e cultura slava hanno rappresentato, in seguito all’indipendenza dall’Unione Sovietica, un ostacolo insormontabile alla costruzione della nazione, dall’altro va rilevato come oggi, purtroppo, in Ucraina non esista più nemmeno lo Stato.

Per questi motivi, una corretta interpretazione degli accordi di Minsk, alla luce dei possibili scenari che si aprono per il paese e per i rapporti tra Usa, Ue e Russia, non può che passare per la constatazione del consumato fallimento della nazione e della attuale difficoltà della leadership ucraina a mantenere l’integrità dello Stato. L’esito del lungo e laborioso negoziato, che di fatto ha ripreso le coordinate generali dell’accordo già stilato a settembre, limitandosi ad entrare più in dettaglio su alcuni punti nevralgici, è stato quello di limitare temporaneamente la violenza e non di eliminarla, come confermano le ultime notizie dal fronte orientale di Donetsk e Mariupol. Nonostante gli accordi contemplassero almeno la fissazione del cessate-il-fuoco, la liberazione dei prigionieri, il ritiro delle armi pesanti e di tutte le truppe straniere e mercenarie dal suolo ucraino, allo stato attuale l’Osce, che secondo il punto 2 del documento avrebbe dovuto supervisionare con il sostegno delle parti interessate il processo di ritiro delle armi pesanti, non ha ancora avuto accesso alla zona dell’aeroporto di Donetsk, controllata dai separatisti filo-russi.

Sul piano strategico, le lacune, o se vogliamo le ambiguità più rilevanti, riguardano soprattutto i punti 9 e 11 dell’accordo, dove si parla rispettivamente di «ripristino del pieno controllo sui confini statali da parte del governo dell’Ucraina in tutta la zona del conflitto» e dell’entrata in vigore, entro il 2015, di «una nuova costituzione che abbia come elemento chiave una decentralizzazione», nonché l’approvazione di «una legislazione permanente sul futuro status di singole zone delle regioni di Donetsk e Lugansk».

Al momento, sul ripristino del pieno controllo dei confini statali da parte del governo ucraino è quanto mai lecito dubitare: come è noto, l’accordo tace diplomaticamente sulla pregressa annessione della Crimea da parte di Putin. Ed è proprio su questo silenzio che l’Occidente e la Russia, più o meno consapevolmente, dovranno ridisegnare la nuova mappa geopolitica dell’Europa. Mosca, infatti, ha per ora fornito un’efficace azione preventiva dinanzi allo spettro di un’Ucraina democratica e integrata nell’Ue e nella NATO, salvaguardando i propri interessi strategici nell’area e mantenendo il controllo delle basi militari dislocate sul Mar Nero. La fiacca risposta occidentale, come ha giustamente sottolineato Angelo Panebianco sulle pagine de Il Corriere della Sera, non solo ha aperto una crepa pericolosissima sulle prospettive di stabilizzazione dell’area, ma rischia addirittura di costituire il propellente ideale per tutte le rivendicazioni separatiste delle minoranze filo-russe dalla Bielorussia al Baltico.

Ne consegue che la ricostruzione del futuro assetto territoriale e politico dell’Ucraina non potrà assolutamente prescindere da un accordo preventivo tra Bruxelles, Washington e Mosca sulla collocazione strategica del paese. Se l’ipotesi di una divisione dell’Ucraina in due entità distinte, una filo-occidentale e una filo-russa, pur rappresentando una gravissima sconfitta per Kiev e i suoi alleati, potrebbe consentire ad entrambe le parti di seguire il proprio destino, è evidente che la soluzione federale, timidamente abbozzata a Minsk, necessiti di sforzi ulteriori per essere davvero praticabile. Anche chiudendo un occhio sulla Crimea e presupponendo, ottimisticamente, che si riesca a trovare un compromesso sullo status delle regioni orientali nell’ambito di un assetto federale, resta ancora da sciogliere il nodo dell’allineamento internazionale dell’Ucraina. Qualora dovesse eleggere democraticamente i propri rappresentanti, potrà entrare nell’Unione Europea e nella NATO? Sarà in grado di far fronte alla sua dipendenza economica ed energetica da Mosca?

Qualsiasi tentativo di eludere queste domande rischia di porre un altro mattone sul muro che già separa gli Stati Uniti e l’Europa dalla Russia. Il fatto che Putin continui a percepire questo muro come qualcosa di estremamente reale è confermato dai ripetuti avvertimenti lanciati contro l’allargamento della NATO e il sostegno occidentale ai movimenti democratici ucraini a partire dalla Rivoluzione arancione. Alla fine, la risposta russa è giunta. Il paradosso, se davvero può definirsi tale, sta nelle divisioni e nelle incertezze europee, nel discontinuo impegno americano, nella scarsa lungimiranza delle élites occidentali, le quali, parafrasando John Mearsheimer, nel XXI secolo ritengono di poter soppiantare la logica realista con i principi liberali dello stato di diritto, dell’interdipendenza economica e della democrazia per espandere la libertà e la sicurezza in Europa. Tuttavia, la logica realista non implica necessariamente il ricorso alla forza. Al contrario, presuppone sempre un’adeguata ponderazione degli interessi e delle risorse in campo per evitarla. Esattamente quello che, finora, è mancato.

 

Barbara Pisciotta è professore associato di Scienza politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre, dove insegna Relazioni internazionali e Politica internazionale. E’ autrice di tre volumi e numerosi saggi sugli aspetti interni e internazionali della democratizzazione dei paesi dell’Europa dell’Est.

Ucraina, rapporto di Msf: è emergenza umanitaria

Varie di

L’Ucraina è uno delle questioni calde del dibattito internazionale. Oltre 15mila pazienti feriti, 1600 donne incinte seguite da apposite strutture sanitarie, circa 4000 persone malate croniche. Questi i dati riportati da Gabriele Eminente, Direttore Generale di Msf Italia, intervistato da European Affairs.

Dove operate in Ucraina? Quali attività portate avanti nelle regioni dell’est?

“La tipologia di conflitto sviluppatasi nell’ultimo anno in Ucraina ha imposto a Medici senza Frontiere di programmare il proprio intervento umanitario in maniera differente. Normalmente, all’indomani di un’emergenza, interveniamo con le nostre strutture e i nostri campi. In questo caso, invece, abbiamo adottato una strategia operativa basata su cinque squadre che con maggiore sensibilità e mobilità possano muoversi sul territorio. Quando parlo di territorio, intendo la linea del fronte e la fascia, da entrambe le parti, immediatamente a ridosso. Alcuni dei nostri gruppi sono dislocati a Donetsk e Lugansk, ma siamo mobili sul territorio per due ragioni. La prima, prendendo ad esempio il bombardamento su Kramatorsk che è molto più ad occidente della linea del fronte, è perché supportiamo ospedali e strutture sanitarie locali: purtroppo, sin dall’inizio, questa guerra ha tutelato davvero poco gli obiettivi civili e spesso i bombardamenti hanno interessato gli ospedali stessi. Questo ha comportato il grave danneggiamento di tali strutture e molte delle vittime sono stati gli operatori sanitari. La seconda, parlando appunto della regione del Donbass, riguarda la carenza di acqua, cibo, forniture elettriche e, soprattutto, farmaci, che noi forniamo laddove mancano: tra grandi e piccoli centri urbani, noi supportiamo un centinaio di strutture sanitarie. E, sempre a proposito di mobilità, la nostra missione è quella di cercare di raggiungere quei centri che risultano isolati.

Un altro ambito nel quale ci muoviamo è quello dell’assistenza psicologica ad una popolazione stremata da questo conflitto. Abbiamo avviato già un centinaio di consultazioni con singole persone e circa duemila di gruppo.

Un ultimo capitolo dell’attività di Msf ha a che fare con la ragione per cui noi eravamo già presenti in Ucraina, in particolare nell’est: in quella zona esiste un’alta percentuale di persone affette da Hiv e da Tubercolosi multiresistente, ovvero quella malcurata che ha sviluppato una resistenza ai farmaci tradizionali.

Ospedali e presidi sanitari sono costantemente sotto attacco dall’inizio dell’anno: esiste la prospettiva di un corridoio umanitario, previsto nel secondo accordo di Minsk?

Innanzitutto, voglio rimarcare quelle che sono le due richieste avanzate da Medici senza Frontiere alle due parti in conflitto: la prima è l’immediata cessazione di attacchi ad obiettivi civili, in particolar modo a strutture sanitarie; la seconda è avere la possibilità di fare uscire la popolazione civile da quelle zone che rischiano di diventare delle enclave da cui sarebbe difficile fuggire a causa dei bombardamenti. Venendo al tema del corridoio umanitario, Debaltseve è uno dei contesti più critici perché è più o meno a metà tra Donetsk e Lugansk e un centro d’intersezione di nodi stradali e ferroviari: pertanto, è un importante obiettivo militare per le parti in conflitto. Ad inizio febbraio era stata annunciata l’apertura di un corridoio per favorire la fuoriuscita dei civili rimasti in loco, ma nella pratica è stato molto difficile farla rispettare. Quello che in queste situazioni fa la differenza è verificare che le parti militari coinvolte recepiranno le direttive a livello politico e diplomatico. Purtroppo il precedente dell’estate scorsa non è incoraggiante.

Come si è evoluto il conflitto nell’ultimo anno?

Ci sono state molte tappe. L’estate scorsa è stata particolarmente cruenta: vedi la tragedia dell’aereo malese. Tutto questo aveva portato al cessate il fuoco di settembre, il quale, però, non ha portato ai risultati sperati per tutta una serie di ragioni politiche in essere tra Russia ed Ucraina. Inoltre, tra fine 2014 e inizio 2015, abbiamo registrato il riacutizzarsi di una fase molto violenta. Le differenze tra queste fasi sono due. La prima è che siamo in pieno inverno in una regione in cui esso ha forti ripercussioni sulla popolazione. La seconda è che la lunga durata di queste tensioni hanno accentuato gli effetti secondari: ricordiamoci che il governo ucraino ha interrotto il pagamento degli stipendi e, più in generale, i flussi finanziari verso i dipendenti statali che vivono nelle regioni orientali. Questo di fatto ha portato una mancanza di liquidità e, al tempo stesso, ad una mancanza di generi alimentari e farmaci. Noi abbiamo ad esempio raccolto la testimonianza di civili, in particolar modo donne e bambini, che sono stati costretti a rifugiarsi in un centro che era stato pensato ancora prima della guerra come rifugio per i senzatetto e che non era stato ancora completato. I nostri psicologi, che operano in questa struttura, parlano di un profondo stress a cui è sottoposta questa gente.

Visti i numerosi traumi che colpiscono la popolazione, in special modo i bambini, quanto sono profonde le ferite, a livello sociale, tra ucraini e russofoni? Quanto questo fattore inciderà nel processo di pace in futuro?

Nel medio-lungo termine, come in altri contesti simili, ci sono ferite psicologiche profonde che vanno curate. Chiaramente, il nostro attuale lavoro di assistenza psicologica di concentra più sull’immediato: quindi, è un supporto di base verso i traumi subiti dalla popolazione. Popolazione divisa in due parti con lingue e culture differenti: ecco, questo sarà poi un intervento incisivo da fare. Prima di questo, c’è bisogno di porre fine al conflitto e mettere al riparo i cittadini.

Le Nazioni Unite parlano di oltre 5000 vittime dall’inizio della crisi ucraina.

Credo che questo numero ormai sia stato superato. Lo stiamo osservando noi stessi in Ucraina. L’intervento che stiamo portando nelle regioni di Donetsk e Lugansk ha cifre molto chiare: oltre 15mila pazienti feriti, 1600 donne incinte seguite dai nostri ospedali, circa 4000 malati cronici gravi. Sono dati importanti che parlano di una guerra vera, a due passi da casa nostra. Forse Europa ed Italia non hanno ancora la piena percezione di quanto sia acuto questo problema.

L’Occidente e l’Europa hanno quindi sottovalutato questo conflitto? Manca la percezione che in Ucraina sia in corso una guerra civile in tutto e per tutto?

In relazione all’opinione pubblica italiana, mi sento di confermare questo. Questa crisi non ha ancora raggiunto quel livello di attenzione dimostrato verso altri conflitti. In questi ultimi giorni, i media hanno coperto il tema della ricerca di una soluzione diplomatica alla guerra. Ma probabilmente questo è dovuto al fatto che questa guerra ha subito un’evoluzione con alti e bassi dal punto di vista della virulenza. Tuttavia, parliamo di un conflitto in Europa ed è difficile capire come non ci possa essere un’attenzione costante verso di esso.

Giacomo Pratali
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