Pippo Fava: Un giornalista contro Cosa Nostra
Il 5 gennaio del 1984 nella città di Catania si verificò un omicidio; al di fuori del Teatro Stabile venne ucciso il giornalista Giuseppe Fava, meglio conosciuto negli ambienti giornalistici con il nome di “Pippo”. Originario della città di Palazzolo Acreide (provincia di Siracusa), decise di intraprendere la carriera giornalistica subito dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Catania; la sua attività giornalistica lo portò a collaborare con molti dei quotidiani più importanti d’Italia; occupandosi di tematiche riguardanti lo sport e il cinema; all’attività giornalistica Fava alternò anche quella teatrale e cinematografica, nelle quali riuscì ad ottenere molti importanti successi a livello nazionale ed internazionale.
Ma tornando all’attività giornalistica, Giuseppe Fava fin dai suoi primi anni di carriera si occupò anche di uno dei temi più discussi in Italia nel dopoguerra, ovvero il fenomeno mafioso in Sicilia. Proprio su questo tema Fava fu uno dei primi giornalisti in Italia a riuscire ad intervistare due dei più importanti boss della mafia siciliana, Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo, capimafia attivi nella provincia di Caltanissetta, che si suppone abbiano avuto un ruolo nell’Operazione Husky, la quale portò allo sbarco delle truppe degli Alleati in Italia.
Durante gli anni’80 a Fava gli venne assegnato il ruolo di direttore di uno dei più importanti quotidiani siciliani, il Giornale del Sud. Per portare avanti questo giornale decise di reclutare dei giovani talenti del giornalismo. Sotto la direzione di Fava il giornale cominciò ad occuparsi di una tematica che fino a quel momento sembrava estranea al capoluogo etneo, ossia la presenza di Cosa Nostra, fenomeno che secondo molti era circoscritto solo alla provincia di Palermo.
A Catania, al contrario di quello che pensavano in tanti, Cosa Nostra era già attiva da molti anni e proprio verso la fine degli anni’80 in città era in corso una guerra di mafia per stabilire la nuova leadership. Nel 1978 venne assassinato colui che era considerato il capomafia della città, Giuseppe Calderone detto “cannarozzu d’argento”, ucciso per volontà dei Corleonesi di Riina e Provenzano, che in quel periodo avevano dato il via ad una guerra di mafia in giro per la Sicilia, con l’obbiettivo di eliminare i vecchi boss o coloro che non volevano sottomettersi al loro potere, per poi rimpiazzarli con uomini a loro fedeli.
Morto Calderone a contendersi la leadership della città rimasero i suoi due luogotenenti, Alfio Ferlito e Benedetto Santapaola; il primo godeva dell’appoggio delle famiglie palermitane Bontate e Inzerillo (in precedenza alleate con Calderone), mentre il secondo godeva dell’appoggio dei Corleonesi, fu proprio Santapaola ad organizzare l’omicidio Calderone su ordine di Riina.
Dopo qualche anno di omicidi e atti intimidatori a prevalere fu Santapaola, che nell’estate del 1982 eliminò il suo rivale durante il suo trasferimento dal carcere di Enna a quello di Trapani. Fava e i suoi ragazzi misero alla luce i fatti. le due figure dei due boss in conflitto e in particolare quella di Benedetto Santapaola, del quale cominciarono a mettere in evidenza i suoi legami col mondo imprenditoriale e politico di Catania. Ovviamente Cosa Nostra decise di reagire mettendo a segno un attentato contro la redazione; oltre a Cosa Nostra questi articoli non fecero piacere a coloro che finanziavano il giornale, i quali non potendolo più controllare, decisero di licenziare Fava.
Pur di non fermare la sua lotta in favore della verità Fava e i suoi ragazzi, con non poche difficoltà, decisero di fondare un proprio giornale. Fava cominciò a pubblicare una rivista mensile conosciuta col nome i “Siciliani”. Uno degli articoli che fece parlare di più fu quello intitolato “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, nel quale denuncio quattro dei più importanti imprenditori del capoluogo etneo, accusandoli pubblicamente di essere collusi col boss Benedetto Santapaola.
La sera del 5 gennaio di trentotto anni fa, Cosa Nostra decise che era giunto il momento di mettere a tacere quello scomodo giornalista. Inizialmente sulla sua morte vennero fatte numerose ipotesi che variavano da motivi passionali fino a quelli economici. Solo al termine del processo “Orsa Maggiore 3” si riuscì a scoprire e condannare i veri mandanti ed esecutori del giornalista; nel 2003 vennero definitivamente condannati: Benedetto Santapaola in qualità di mandante, Aldo Ercolano (nipote di Santapaola) e Maurizio Avola come esecutori materiali del delitto.