GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Flaminia Maturilli - page 9

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EuropeAid, partnership per città sostenibili 2020

EUROPA di

EuropeAid – direzione generale della Commissione europea – ha dato il via ad un nuovo bando: promuovere lo sviluppo urbano integrato attraverso partenariati tra Autorità locali di Stati membri dell’UE e di Paesi partner. Il tema generale è l’Agenda 2030 sullo Sviluppo Sostenibile.

Il bando

Pubblicato l’11 febbraio 2020 e con scadenza il 27 marzo prossimo, il bando è volto ad istituire un partenariato tra Autorità locali di Paesi partner, così da promuovere lo sviluppo urbano sostenibile attraverso un’attività di capacity building e con la fornitura di servizi. Alla base vi è dunque un rapporto di scambio tra le Autorità locali dei Paesi – membri e terzi – in rispetto degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile: le attività possono portare alla creazione di nuovi partenariati oppure contribuire a migliorare i rapporti tra i soggetti che già cooperavano tra loro. Il tutto deve essere portato avanti tenendo sempre a mente le nuove priorità dell’Unione Europea in materia di sviluppo sostenibile: il nuovo Green Deal europeo ha un peso particolare e dunque dovrà essere senz’altro considerato nel rafforzamento della sostenibilità nelle città.

Il bando è sostenuto dallo strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo DCI II – organizzazioni della società civile e Autorità locali – ed è articolato in sei lotti, quattro geografici e due orizzontali. Per quanto riguarda l’entità del contributo, la dotazione finanziaria totale ammonta a 111,550,000 euro, suddivisi in base ai lotti. I lotti geografici sono l’Africa Sub-sahariana (40.000.000 euro), Asia e Pacifico (20.000.000 euro), America latina e Caraibi (20.000.000 euro) e Paesi della politica di vicinato (Sud ed Est – 18.000.000 euro). I lotti orizzontali sono invece città sostenibili di dimensioni più ridotte (150.000 abitanti per le città europee, 300.000 per e città extraeuropee) e paesi estremamente fragili (Afghanistan, Burundi, Repubblica centrafricana, Chad, Repubblica democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Haiti, Iraq, Mali, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Siria, Yemen – 5.500.000 euro).

Gli obiettivi

Gli obiettivi previsti nel bando sono molteplici. Si vuole rafforzare la governance urbana promuovendo una buona amministrazione e la diffusione di un quadro politico e normativo a livello nazionale-statale, così da permettere alle autorità locali in via di sviluppo di attuare politiche urbane efficaci. In questo ambito è importante anche la promozione di un sistema di governance multilivello, locale regionale e nazionale, basato su Autorità locali autonome dal punto di vista della responsabilità politica. Il secondo obiettivo del bando è assicurare che le città siano inclusive: essendo il più stretto nodo di congiunzione del governo con i cittadini, possono contribuire a mettere in atto azioni umanitarie e di sviluppo in contrasto alla povertà e all’emarginazione urbana. I processi di pianificazione urbana dovrebbero tener conto delle esigenze di bambini e giovani, dei bisogni delle donne, di chi è più vulnerabile e così via, agendo concretamente sul campo. In terzo luogo, si mira a rendere le città più verdi ed a migliorarne la resilienza: la diffusione di un modello di sviluppo urbano sostenibile e verde nella città aumenterebbe senz’altro la qualità della vita, rendendo le città più efficienti e garantendo anche maggiori soluzioni energetiche sostenibili. Inoltre, si vuole migliorare la prosperità e l’innovazione nelle città: elementi fondamentali nel Green deal europeo sono proprio le città, attori dell’innovazione. È importante attivare le interazioni tra persone e organizzazioni, al fine di attuare azioni politiche integrate per le aree urbane. La cooperazione allo sviluppo dell’UE riconosce l’importanza sia delle aree metropolitane e delle grandi città, che delle città piccole e regionali, dunque è necessario fornire le condizioni per le iniziative dell’economia circolare e per gli appalti pubblici verdi. Infine, si vuole rafforzare la resilienza istituzionale in contesti di fragilità, proprio dal punto di vista della governance: le autorità locali potrebbero svolgere un ruolo chiave per costruire le basi per una società stabile e pacifica, per una crescita inclusiva e uno sviluppo sostenibile.

I progetti

Ogni proposta progettuale deve riguardare un solo lotto e avere ad oggetto la creazione di nuove partnership (o il miglioramento di quelle esistenti) finalizzate a promuovere lo sviluppo urbano sostenibile attraverso lo sviluppo di capacità e la fornitura di servizi alle Autorità Locali dei Paesi terzi del lotto prescelto. I progetti devono portare al raggiungimento di almeno una delle seguenti priorità: raggiungimento dell’SDG 11, integrazione nelle attività la promozione dell’apprendimento di scambi o dislocazioni a breve termine di funzionari di livello sub-nazionale attraverso attività di gemellaggio, promozioni di approcci multi-stakeholder e multisettoriali, promozione dell’approccio basato sui diritti che comprende tutti i diritti umani. I progetti devono essere scritti in inglese, francese, spagnolo o portoghese e devono avere una durata compresa fra 24 e 48 mesi; inoltre, devono prevedere un partenariato di almeno 2 soggetti ammissibili, in particolare: almeno un partner UE, almeno un partner dello Stato beneficiario (uno degli stati ammissibili del lotto selezionato). La presentazione delle proposte di progetto avviene in due fasi: la prima consiste nell’invio delle proposte di progetto attraverso la compilazione del concept note, un formulario attraverso il quale presentare una sintesi di progetto; solo i progetti valutati positivamente saranno inseriti in una short list e i loro proponenti saranno invitati a presentare le proposte complete di progetto.

 

UE – Vietnam, approvato l’accordo di libero scambio

EUROPA di

Il parlamento europeo ha approvato l’accordo di libero scambio UE-Vietnam: questo eliminerà quasi tutti i dazi doganali, include norme vincolanti su clima, lavoro e diritti umani ed è un vero e proprio passo avanti verso il commercio interregionale con il Sud-Est asiatico.

L’approvazione in Parlamento

“L’accordo più moderno e ambizioso mai concluso tra l’UE e un paese in via di sviluppo” ha ottenuto l’approvazione del Parlamento mercoledì 13 febbraio 2020. Con 401 voti a favore, 192 contrari e 40 astensioni, è stato adottato l’accordo con il Vietnam, accompagnato da una seconda risoluzione – di accompagnamento – anch’essa adottata con 416 voti favorevoli, 187 contrari e 44 astensioni. L’obiettivo è di contribuire a fissare gli standard commerciali nella regione ASEAN e di portare ad un probabile futuro accordo multilaterale di commercio e investimenti. Il Parlamento europeo considera l’accordo “un forte messaggio a favore di un commercio libero, equo e reciproco, in un periodo segnato da crescenti tendenze protezionistiche e da importanti sfide per il commercio multilaterale basato su norme”.

Anche la Commissione europea si ritiene soddisfatta per questi accordi: “L’accordo UE-Vietnam ha un enorme potenziale economico di cui beneficeranno i consumatori, i lavoratori, gli agricoltori e le imprese e non si tratta di meri vantaggi economici. Dimostra che la politica commerciale può fungere da catalizzatore di progresso”, ha osservato Hogan, il Commissario per il Commercio.

Il contesto

L’Unione europea e il Vietnam hanno firmato un accordo commerciale e un accordo sulla protezione degli investimenti il 30 giugno 2019. Gli accordi sono stati presentati dalla parte vietnamita all’Assemblea nazionale per la ratifica, e dalla parte dell’UE al Parlamento europeo per il suo consenso, nonché ai rispettivi parlamenti nazionali degli Stati membri dell’UE nel caso dell’accordo sulla protezione degli investimenti. Il Vietnam è il sedicesimo partner commerciale dell’UE per le merci e il secondo partner commerciale dell’UE nell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN). Le principali esportazioni dell’UE verso il Vietnam sono prodotti ad alta tecnologia, compresi macchinari e attrezzature elettrici, aeromobili, veicoli e prodotti farmaceutici. Le principali esportazioni del Vietnam verso l’UE sono apparecchi telefonici, prodotti elettronici, calzature, tessuti e abbigliamento, caffè, riso, frutti di mare e mobili. Con uno stock totale di investimenti esteri diretti pari a 6,1 miliardi di euro (2017), l’UE è uno dei maggiori investitori stranieri in Vietnam. Il più grande settore di investimento da parte dell’UE è la lavorazione e la produzione industriale.

L’accordo

I negoziati commerciali e di investimento bilaterali con il Vietnam sono stati avviati nel 2012 e completati nel 2018. Gli accordi con il Vietnam sono i secondi (a seguito di quelli con Singapore) conclusi tra l’UE e un paese del sud-est asiatico e rappresentano un punto d’inizio per un maggiore impegno tra l’UE e la regione. Gli accordi commerciali e di investimento sviluppano la dimensione commerciale delle relazioni bilaterali tra l’UE e il Vietnam che trovano le loro basi e sono regolate dall’accordo quadro UE-Vietnam su partenariato e cooperazione (APC) entrato in vigore nell’ottobre 2016. L’accordo approvato dal Parlamento europeo eliminerà quasi la totalità dei dazi doganali tra le parti nei prossimi dieci anni, tempo che il Vietnam ha a disposizione, anche per ciò che riguarda i prodotti europei di esportazione verso il Paese. I servizi quali banche, trasporto marittimo e le poste sono compresi nell’estensione dell’accordo, e inoltre le imprese europee potranno partecipare a gare di appalto pubbliche del governo vietnamita.

Elementi innovativi e positivi dell’accordo sono la tutela ambientale, agendo per la conservazione e gestione sostenibile della fauna selvatica, della biodiversità, della silvicoltura e della pesca; il sostegno del progresso sociale in Vietnam e la tutela dei diritti dei lavoratori. L’accordo prevede inoltre il rispetto e l’applicazione dell’accordo di Parigi e l’approvazione dei progetti di legge sull’abolizione del lavoro forzato e sulla libertà di associazione, entro il 2020 e 2023, con la ratifica delle otto convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro, per rispettare, promuovere ed attuare in modo efficace i principi dell’ILO in materia di diritti fondamentali. Fondamentale è anche la clausola di sospensione dell’accordo in caso di violazione dei diritti umani.

Il testo dell’accordo commerciale entrerà in vigore una volta che il Consiglio concluderà l’accordo commerciale e le parti chiuderanno le procedure, mentre per l’accordo sulla protezione degli investimenti si dovrà aspettare la ratifica di parlamenti degli Stati membri dell’UE: Una volta ratificato, andrà a sostituire gli accordi bilaterali in materia di investimenti attualmente in vigore tra 21 Stati membri dell’UE e il Vietnam.

Consiglio d’Europa, la Repubblica Ceca e le misure per la tratta di esseri umani

EST EUROPA di

Il Consiglio d’Europa ha affermato che la Repubblica ceca ha adottato importanti misure per combattere la tratta di esseri umani, ma sono necessari miglioramenti attraverso misure legislative, politiche e pratiche, in particolare per quanto riguarda l’identificazione, la protezione e il risarcimento delle vittime, nonché l’efficacia delle indagini e delle azioni penali. Leggi Tutto

Patto di Stabilità, al via la revisione in Commissione europea

EUROPA di

La Commissione europea ha dato il via alla revisione del Patto di Stabilità e Crescita attraverso un riesame della governance economica, presentando un documento per aprire il dibattito con gli Stati membri: “Rivedere le regole UE che fissano i vincoli per i conti pubblici dei Paesi dell’Eurozona” è uno degli obiettivi principali, mantenendo un equilibrio tra stabilità e investimenti.

L’analisi della Commissione

A seguito delle misure adottate dall’Unione Europea per far fronte alla crisi 2007-2008, si è resa necessaria la periodica revisione e la sorveglianza del bilancio nell’ambito del patto di stabilità e crescita. Il Six-pack e il Two-pack prevedono che la Commissione riveda e riferisca sull’applicazione della legislazione ogni cinque anni. Da quando sono state introdotte le regole principali dell’economia europea il mondo è cambiato, così come il contesto economico: c’è dunque bisogno di una semplificazione per Bruxelles, anche in vista della comprensione dei cittadini; allo stesso tempo, anche l’inizio di un nuovo ciclo politico a livello europeo è un momento opportuno per valutare l’efficacia delle norme attuali.

Il 5 febbraio 2020 La Commissione ha presentato una comunicazione che esamina il quadro di governance economica dell’UE, basandosi su tre obiettivi: “garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche e della crescita economica evitando squilibri macroeconomici; consentire un maggiore coordinamento delle politiche economiche e promuovere la convergenza dei risultati economici degli Stati membri”. La comunicazione stabilisce inoltre come la Commissione intende consultare le parti interessate per ricevere le loro opinioni sul funzionamento del quadro economico finora e sui possibili modi per migliorarne l’efficacia. In realtà, la commissione europea non dà indicazioni sul futuro ma si limita ad analizzare gli ultimi anni: ciò che è emerso è che alcuni Paesi hanno un debito elevato e vi sono bassi livelli di investimenti. Allo stesso tempo, vi è stata una convergenza duratura dei risultati economici degli Stati membri e un coordinamento più stretto delle politiche di bilancio nella zona euro.

Senz’altro, si può affermare che il quadro di bilancio è diventato eccessivamente complesso a causa della necessità di tener conto di un’ampia gamma di circostanze in continua evoluzione; questa complessità ha reso il quadro meno trasparente e prevedibile.

Il dibattito

Un momento fondamentale è stato senz’altro il riconoscimento dell’importanza del dibattito inclusivo tra gli attori coinvolti, poiché per la Commissione europea “è fondamentale che tra tutti i principali portatori d’interessi vi sia un grado di consenso e di fiducia ampio, perché la sorveglianza economica nell’UE sia efficace”. Tutti i portatori di interesse – le altre istituzioni europee, le autorità nazionali, le parti sociali e il mondo accademico – sono stati invitati a partecipare ad un dibattito per esprimere il loro parere sul quadro di governance economica, se questo abbia funzionato o meno e su come rafforzarne l’efficacia.

Data la molteplicità degli attori, il dibattito si articolerà in diverse forme, quali riunioni dedicate, seminari, una piattaforma di consultazione online. Entro la fine del 2020, la Commissione concluderà il processo considerando i pareri di ogni gruppo interessato, e basandosi sulle conclusioni di ognuno di questi.

Argomento delicato sarà l’obiettivo di Ursula von der Leyen, il piano decennale da 1,000 miliardi di euro per raggiungere la neutralità climatica: questo si dovrà conciliare con la promozione degli investimenti e con il sostegno all’economia. Il dibattito servirà anche a comprendere come far quadrare tutti questi aspetti fondamentali da portare avanti.

Le dichiarazioni

Valdis Dombrovskis, Vicepresidente esecutivo per Un’economia al servizio delle persone, ha dichiarato: “Le nostre regole di bilancio condivise sono fondamentali per la stabilità delle nostre economie e della zona euro. Garantire la stabilità finanziaria è un requisito essenziale per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro.” Tuttavia, riconoscendo la complessità delle regole e la difficoltà nel comunicarle, Dombrovskis aggiunge che “auspichiamo una discussione aperta su ciò che ha funzionato e ciò che non ha funzionato, e sul modo di creare consenso per razionalizzare le regole e renderle ancora più efficaci”.

Paolo Gentiloni, Commissario per l’Economia, ha aggiunto che “le politiche economiche in Europa devono affrontare le sfide odierne, che sono palesemente diverse da quelle di un decennio fa. La stabilità resta un obiettivo essenziale, ma vi è l’altrettanto urgente necessità di sostenere la crescita e in particolare di mobilitare gli enormi investimenti che servono per affrontare i cambiamenti climatici. Dobbiamo inoltre elaborare politiche di bilancio più anticicliche, tenuto conto dei vincoli crescenti con cui deve confrontarsi la BCE”.

Brexit day, il Parlamento europeo approva l’uscita del Regno Unito

EUROPA di

La sera del 29 gennaio 2020, il Parlamento europeo riunito a Bruxelles ha approvato l’Accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione Europea. Dopo tre anni e mezzo dal referendum del 2016 e da numerosi negoziati, il Regno Unito lascerà l’UE alla mezzanotte del 1° febbraio 2020: si apre la fase della transizione.

L’approvazione del Parlamento

Con 629 voti favorevoli, 49 contrari e 13 astensioni, il Parlamento europeo ha approvato l’Accordo di recesso per portare a compimento la Brexit, l’ultimo passaggio necessario per l’uscita dall’UE, secondo quanto concordato dal governo britannico e dalla Commissione europea.

Il referendum del 23 giugno 2016 – quando 17.4 milioni di persone hanno votato per l’uscita – ha dato inizio al processo; i tre anni di negoziato sono stati tutt’altro che facili, vi sono stati diversi rinvii e molteplici negoziazioni. Proprio per questo motivo, il voto del 29 gennaio è ritenuto di storica importanza. La votazione in Plenaria si è svolta dopo il completamento del processo di ratifica nel Regno Unito, con la raccomandazione positiva della commissione per gli affari costituzionali. I numerosi interventi che si sono susseguiti durante l’assemblea hanno ricordato l’importanza delle relazioni con il Regno Unito, e non sono mancati momenti emozionanti di saluti.

Dopo il voto, gli eurodeputati si sono presi per mano ed hanno cantato una canzone scozzese – Auld Lang Syne – conosciuta anche in Francia con il titolo “Ce n’es qu’un au revoir”, non è che un arrivederci. È stato proprio questo lo spirito che ha accompagnato gli eurodeputati nell’arco della serata: la tristezza dei saluti e la certezza di un futuro ancora insieme, seppur non da Stato membro. Non sono mancati i festeggiamenti però, soprattutto da chi negli ultimi tre anni ha spinto per l’uscita del Regno Unito: Nigel Farage ha affermato di adorare l’Europa e di odiare l’Unione Europea, aggiungendo “Niente più contributi finanziari, niente più Corte di Giustizia Europea, niente più Politica Comune della Pesca, niente più discussioni, niente più bullismo”.

Il Presidente dell’eurocamera è stato invece di tutt’altro avviso: “Mi rattrista profondamente pensare di essere arrivati a questo punto. Cinquant’anni di integrazione non possono dissolversi facilmente” ha affermato Sassoli, aggiungendo che “Dovremo impegnarci, tutti, per costruire nuove relazioni mettendo sempre al centro gli interessi e la protezione dei diritti dei cittadini. Niente sarà semplice. Ci saranno situazioni difficili che metteranno anche alla prova i nostri rapporti futuri. Ma questo lo sapevamo sin dall’inizio della Brexit”. Il Presidente rimane certo del fatto che, in ogni caso, le divergenze verranno sempre superate. Anche il capo negoziatore europeo Michel Barnier si è detto molto toccato dopo il dibattito, che è stato “emozionante e ha avuto toni gravi”.

Il periodo di transizione

Il Regno Unito lascerà l’Unione Europea a partire dal 1° febbraio 2020. Tuttavia, la fase che inizia può essere definita un vero e proprio periodo di transizione, in quanto ci vorrà ancora del tempo prima che i rapporti tra Regno Unito ed Unione Europea si definiscano, precisamente circa un anno. Scadrà a dicembre 2020 tale periodo, dunque qualsiasi accordo sulle relazioni future UE – Regno Unito dovrà essere concluso prima di tale data, così da entrare in vigore il 1° gennaio 2021. Anche questo periodo può essere sottoposto a una proroga, per uno o due anni, ma si dovrà decidere entro il 1° luglio dalla commissione congiunta UE – Regno Unito. Il Parlamento dovrà approvare qualsiasi accordo sulle relazioni future e, se tale accordo fa riferimento a competenze che l’UE condivide con gli Stati membri, anche i parlamenti nazionali dovranno ratificarlo.

Il ruolo del parlamento europeo risulta importante nelle relazioni future, poiché dovrà approvare anche l’accordo finale. Il gruppo di coordinamento del Regno Unito coopererà con la task force dell’UE per le relazioni con il Regno Unito e con le commissioni parlamentari per gli affari esteri e per il commercio internazionale e con tutte le altre commissioni competenti.

Durante questo periodo di 11 mesi, il Regno Unito continuerà a seguire tutte le norme dell’UE e le sue relazioni commerciali rimarranno le stesse, ma non potrà prendere parte ai suoi organi decisionali.

Il futuro accordo di libero scambio

Il periodo di transizione dovrebbe dare luogo ad un nuovo accordo di libero scambio, necessario perché il Regno Unito lascerà il mercato unico e l’unione doganale alla fine della transizione. Tale accordo consentirà alle merci di circolare nell’UE senza controlli o costi aggiuntivi. In mancanza dell’accordo invece, vi sarebbero maggiori tariffe da pagare e altri tipi di barriere commerciali. Commercio e sicurezza sono i due temi principali dei futuri accordi: dal sistema dei dazi al rapporto di concorrenza tra aziende britanniche ed europee, alla tutela dei diritti dei cittadini e alla salvaguardia di importanti progetti come l’Erasmus. Il Parlamento europeo è riuscito ad includere tutti i benefici e i diritti di sicurezza sociale nell’ attuale accordo, così come i diritti per le generazioni future e il controllo giudiziario della Corte di giustizia europea.

Il coordinatore del Parlamento per la Brexit Guy Verhofstadt ha affermato: “Idealmente, dovremmo essere in grado di andare oltre un accordo di libero scambio con il Regno Unito. Non soltanto “no tariffe” e “no quote” ma anche “no abbandono” – questo significa che le nostre norme sociali e ambientali europee saranno pienamente rispettate nelle nostre future relazioni commerciali”.

Repubblica ceca, l’impegno militare nel Sahel e in Iraq

EUROPA di

Lunedì 27 gennaio, il governo ha approvato un piano per dispiegare 60 truppe in Africa, per una missione antiterrorista.

Allo stesso tempo, il Primo ministro ha affermato che non ci sono piani immediati per il ritiro dei soldati cechi dall’Iraq.

Le truppe in Africa

Il piano del Ministero della Difesa per dispiegare fino a 60 truppe nell’ambito della missione antiterroristica francese in Africa è stato approvato dal governo ceco lunedì 27 gennaio. Il piano di schieramento delle forze ceche nella missione – previsto fino alla fine del 2022 – necessita ancora dell’approvazione parlamentare. Tuttavia, il governo ha affermato che il Mali, il Niger e il Ciad hanno approvato lo spiegamento di forze ceche, aggiungendo poi che i cechi aiuteranno le truppe locali a combattere i militanti islamici. Tale missione infatti, lavora nella regione del Sahel proprio per sradicare i militanti islamici presenti, nella quale il governo di Babis ha già circa 120 truppe, come parte di una missione di addestramento dell’Unione europea. Le forze ceche che andranno dispiegate stazioneranno principalmente in Mali, poiché le operazioni in Niger comporterebbero operazioni logistiche e transfrontaliere, secondo quanto ha affermato il Ministero della Difesa. Tuttavia, dato che il quartier generale dell’Operazione si trova in Ciad, le truppe ceche si collocheranno in parte anche lì. Secondo le stime del ministero della Difesa, il dispiegamento avrà un costo minimo di 598 milioni di corone ceche (ovvero 26,38 milioni di dollari USA).

L’operazione Barkhane e l’EUTM Mali

Le forze ceche amplieranno la cosiddetta operazione Barkhane, un’operazione d’oltremare francese in corso nella regione africana del Sahel, contribuendo alla creazione di una task force di paesi europei per assistere le forze francesi già presenti nella regione. L’operazione Barkhane è un’operazione anti-insurrezione iniziata il 1° agosto 2014 e costituita da una squadra francese di 4500 forze; la sede permanente è nella capitale del Ciad, N’Djamena, ma l’operazione coinvolge ben cinque paesi, quali Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger – i cosiddetti G5 Sahel. L’obiettivo è quello di aiutare i governi dei paesi a mantenere il controllo del loro territorio, impedendo alla regione di diventare un rifugio per i gruppi terroristici.

Le truppe del governo ceco presenti in Mali assumeranno nel corso di quest’anno la guida della missione di addestramento dell’Unione europea. L’European Union Training Mission in Mali è una basata strategia dell’Unione Europea e riguarda il settore militare così come quello politico e umanitario. L’EUTM Mali è composta da quasi 600 soldati provenienti da 25 paesi europei, tra cui 21 membri dell’UE e 4 Stati non membri. Tale missione nasce nel 2013 per rispondere all’esigenza di rafforzare le capacità delle forze armate maliani, con il risultato finale di essere forze armate autosufficienti in grado di contribuire alla difesa della loro popolazione e territorio.

I soldati cechi in Iraq

A seguito degli ultimi fatti accaduti in Iraq, il primo ministro Andrej Babiš e i funzionari del ministero della Difesa si sono attivati per calmare le preoccupazioni sulla sicurezza dei soldati cechi e degli ufficiali di polizia in servizio nel paese. Il capo dello staff generale ha affermato che sono state prese le giuste precauzioni affinché sia garantita la sicurezza della squadra ceca, composta da 40 membri, per poi aggiungere che, in caso di necessità, è in atto un piano di emergenza di evacuazione. La Repubblica Ceca dispone di 13 specialisti della guerra contro le armi chimiche, che aiutano i soldati iracheni nell’addestramento, rendendoli pronti affrontare le conseguenze di un attacco chimico alla base militare di Al-Taji in Iraq. Altri 24 agenti di polizia militare stanno aiutando polizia irachena nelle fasi di addestramento, e altri due gruppi di soldati della forza di schieramento del paese stanno sorvegliando l’ambasciata ceca a Baghdad e il consolato ceco a Irbil.

Il primo ministro Babiš ha dichiarato in una conferenza stampa a Praga che il contingente ceco in Iraq è al sicuro e per questo motivo, al momento non ci sono piani per il suo ritiro.

“I soldati e gli ufficiali di polizia che abbiamo in Iraq sono al sicuro. Il ministero della Difesa ceco e l’esercito stanno consultando questioni di sicurezza e futuri passi da vicino con la leadership della NATO e nelle circostanze attuali non stiamo prendendo in considerazione un ritiro”. Il capo delle operazioni delle forze armate ceche, Josef Kopecký, ha confermato che i soldati cechi che erano proprio accanto all’ambasciata americana a Baghdad sono stati trasferiti in un altro sito in Iraq per motivi di sicurezza, ed ha poi aggiunto che “date le misure di sicurezza adottate, non è possibile chiedere un ritiro o una ricollocazione immediati”. Infine, il Ministero degli Esteri ceco ha ribadito l’avvertimento ai cittadini cechi in merito ai viaggi in Iraq e ha esteso il suo avvertimento anche all’Iran.

European Space Conference: allo spazio nuovi investimenti per 200 milioni di €

EUROPA di

Il 21 e 22 gennaio si è tenuta a Bruxelles l’European Space Conference. Giunta alla dodicesima edizione, tale conferenza è una piattaforma per le analisi e gli approfondimenti della politica spaziale europea, i suoi programmi, le sue missioni e le questioni chiave del futuro.

Vi prendono parte i rappresentanti delle istituzioni europee ma anche i CEO delle società e i rappresentanti del mondo scientifico e della società civile. Al centro dei dibattiti vi sono stati argomenti quali il futuro dello spazio europeo, il rafforzamento dell’industria spaziale europeo, il rispetto dell’European Green Deal in questo ambito, le numerose nuove sfide di spazio e difesa, le cooperazioni internazionali, le future partnership e così via.

200 milioni di € dall’UE

L’Unione Europea è un attore molto importante nell’industria spaziale globale, tuttavia non è di certo il principale: gli Stati Uniti mantengono il ruolo di leader per spese e per la presenza; la Cina spende quanto l’UE, ovvero la metà rispetto agli USA. Le istituzioni europee hanno dunque deciso di potenziare l’industria spaziale europea. La Commissione europea, in collaborazione con la Banca Europea per gli Investimenti, a seguito dell’European Space Conference, ha proposto investimenti per 200 milioni di € nel settore spaziale. In particolare, un investimento di 100 milioni di € per il nuovo programma Ariane 6 – un programma dell’Agenzia spaziale europea – e 100 milioni di € nell’ambito di InnovFin, per sostenere l’innovazione e la crescita delle società europee di tecnologia spaziale. Gli investimenti sono sostenuti dal Fondo europeo per gli investimenti strategici, il pilastro finanziario del piano di investimenti per l’Europa. Inoltre, la Commissione e la BEI stanno annunciando il primo InnovFin Space Equity Pilot impegnandosi in fondi di investimento, sia interamente focalizzati sulle attività spaziali, sia su fondi che perseguono opportunità nel settore.

Il commissario per il mercato interno, Thierry Breton, ha dichiarato: “I due annunci di oggi rappresentano un punto di svolta per l’Europa a sostegno dell’industria spaziale europea. In primo luogo, accolgo con grande favore il prestito concesso dalla BEI per il progetto Ariane 6, che è al centro dell’obiettivo di garantire un accesso autonomo europeo allo spazio. In secondo luogo, con InnovFin Space, stiamo inviando un chiaro segnale che il business spaziale in Europa è un’opportunità interessante”.

Ariane 6

Ariane 6 è un lanciatore sviluppato da ArianeGroup con la collaborazione dell’ESA, nell’ambito del programma pluriennale dell’agenzia per una nuova famiglia europea di lanciatori, con l’obiettivo di rispondere alle ultime tendenze del mercato dei satelliti. Ariane 6 continuerà a consentire all’Europa di offrire le sue attività di lancio per le missioni a tutte le orbite, dai satelliti geostazionari alle missioni in orbita terrestre media e bassa e affrontare le dinamiche di mercato per i grandi satelliti e le costellazioni satellitari. Il finanziamento da 100 milioni di euro sosterrà parzialmente la quota di ArianeGroup dei costi di sviluppo attraverso una struttura di finanziamento innovativa che dipenderà dal successo commerciale di Ariane 6, una volta operativo.

André Hubert Roussel, CEO di ArianeGroup, ha dichiarato: “Attraverso questo finanziamento innovativo, la BEI, con il sostegno dell’Unione Europea attraverso il Fondo europeo per gli investimenti strategici e la condivisione del rischio InnovFin per la ricerca aziendale, promuove la competenza tecnologica consentendo all’industria europea dei lanciatori di rimanere sempre all’avanguardia, diventando ancora più innovativa e responsabile per l’ambiente”.

InnovFin Space Equity Pilot 

Il secondo investimento è indirizzato a InnovFin Space Equity Pilot: tale programma è sviluppato nell’ambito di InnovFin, dedicato a sostenere l’innovazione e la crescita delle PMI europee che operano nel settore delle tecnologie spaziali. Il programma investirà in fondi di capitale a sostegno delle società che commercializzano nuovi prodotti e servizi nel settore spaziale. L’economia spaziale europea ha già un valore di 50 miliardi di euro (a partire dal 2019) e la ricerca nelle tecnologie aerospaziali è una delle aree prioritarie coperte dalla leadership industriale e dalle sfide della società di Horizon 2020.

Unire le forze – l’appello ai governi

L’Agenzia spaziale europea ha senz’altro un ruolo fondamentale in questo ambito. Il segretario generale, Johann-Dietrich Woerner, ha voluto mandare un appello ai governi: “Lavoriamo insieme affinché siano confermati almeno i 16 miliardi di euro per il settore spaziale nel bilancio pluriennale dell’Ue 2021-2027, proposti dalla Commissione”. È necessario unire le forze per il segretario, e dello stesso avviso è Josep Borrel, l’Alto rappresentante dell’UE: “lo spazio è la nuova frontiera della politica globale. L’aumento delle tensioni geopolitiche sulla terra viene esteso e proiettato nello spazio” ha affermato in un tweet. Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva della Commissione UE, a margine della conferenza ha affermato che “avere i fondi da investire, nel programma InvestEU e nel nostro programma spaziale è molto importante non solo per ciò che succede nello spazio, ma anche per quello che succede a terra”

Nell’Unione Europea – con l’Agenzia Spaziale Europea – si hanno basi solide per agire insieme ed è dunque importante continuare ad investire nei programmi e nei sistemi europei.

Repubblica Ceca, respinta la richiesta di accogliere 40 migranti provenienti dalla Grecia

EUROPA di

Il 14 gennaio 2020, una delegazione parlamentare greca si è recata a Praga per una riunione di lavoro ed è stata accolta presso la Camera dei deputati cechi da Ivan Bartoš, presidente della commissione per la pubblica amministrazione e lo sviluppo regionale e Jiří Dolejš e Adam Kalous, i due vicepresidenti. Il giorno dopo, i membri della delegazione greca hanno anche incontrato il presidente della Camera dei deputati Radek Vondráček e membri della commissione per gli affari europei e della commissione per le petizioni.

La richiesta della Grecia

Una delle questioni centrali è stata l’immigrazione, un tema particolarmente importante per la Grecia. La delegazione della commissione per la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico e la giustizia del parlamento greco ha infatti sottolineato come l’immigrazione sia diventata una questione paneuropea, poiché gli immigrati presenti in Grecia si spostano molto spesso in paesi europei e dunque, hanno sottolineato la necessità di un meccanismo comune di asilo e di una politica di rimpatrio. Già nel settembre 2019, il governo di Atene ha invitato tutti i ministri degli interni dell’UE ad accogliere i rifugiati minorenni non accompagnati. Il primo ministro ceco Andrej Babiš si era opposto all’idea già da allora: secondo lui, la Repubblica Ceca si sarebbe dovuta occupare principalmente dei bambini cechi; inoltre, è stato sottolineato che la Grecia ha ricevuto forti sovvenzioni dai fondi dell’UE per far fronte alla crisi dei rifugiati.

Nel recente incontro, uno degli argomenti più discussi in tale ambito dal presidente della Camera dei deputati è stato il trasferimento di 40 bambini presenti nei campi profughi greci: la Grecia ha presentato la sua richiesta che, se concessa, costituirebbe una grande inversione della precedente politica relativa all’accettazione dei migranti nel paese. Il Presidente Vondráček ha affermato che durante i negoziati con i Greci si è raggiunto un consenso su una soluzione paneuropea per la migrazione, compresa una politica di rimpatrio, tuttavia ha aggiunto che “i nostri parlamenti non sono in grado di trarre alcuna conclusione perché non abbiamo poteri esecutivi. Attualmente, le comunicazioni tra i ministeri avvengono in privato”.

Il rifiuto

Poco dopo è arrivata l’attesa risposta del Ministro degli interni: “La Repubblica ceca non accetterà 40 bambini rifugiati dai campi in Grecia” afferma Jan Hamáček. Rilasciando una dichiarazione in televisione, Hamáček ha affermato che il governo greco si è rifiutato di consegnare l’elenco con i nomi dei bambini, aggiungendo che non avrebbe concesso l’ingresso nel paese ai ragazzi afghani di 18 anni poiché rappresentavano un rischio per la sicurezza; infine, il ministro ha affermato che, per quanto lo riguarda, la questione è stata chiusa.

L’altro lato del paese

La questione di migranti e rifugiati risulta essere particolarmente importante nel paese, ma la visione governativa non sempre corrisponde a quella della società. L’Organizzazione Non Governativa Slovo 21 – nata nel 1999, con sede a Praga, si occupa di fornire supporto agli stranieri nella tutela dei diritti umani – di recente ha pubblicato uno studio in merito alla protezione internazionale dei rifugiati. Nella pubblicazione si evince come le persone che sono costrette a lasciare il loro paese d’origine e cercano protezione in un altro paese devono riuscire a ricostruire tutta la loro vita da zero, trovando un alloggio, cercando un lavoro per provvedere al sostentamento di base, trovando una scuola per i loro figli, imparando il ceco e così via. L’obiettivo del progetto lanciato da Slovo 21 è sensibilizzare i titolari della protezione internazionale sui valori e sulle questioni pratiche della vita nella Repubblica ceca, sui loro diritti e responsabilità, aiutandoli nelle prime fasi dell’integrazione. Il progetto è attuato in collaborazione con il Dipartimento per la politica di asilo, migrazione e integrazione del Ministero dell’Interno (OAMP) e della Refugee Facilities Administration (SUZ).

Il Summit di Visegrad

La Repubblica Ceca ha riportato la sua visione anche a livello internazionale. Durante il vertice del 16 gennaio, I leader di Visegrad hanno confermato il loro accordo sulla questione della migrazione: l’incontro tra i primi ministri della Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria ha riguardato importanti questioni di politica estera come l’allargamento dell’UE: I primi ministri concordano sul fatto che le quote per la ridistribuzione dei migranti non sono la soluzione e vanno modificate. Infatti, oltre alla Repubblica ceca, anche la Polonia e l’Ungheria si sono rifiutate di accogliere eventuali migranti.

Green Deal europeo: il piano di investimenti e il meccanismo per una transizione verde

EUROPA di

Il Green Deal europeo è il nuovo piano della Commissione europea, presentato l’11 dicembre 2019, per rendere l’Europa climaticamente neutra entro il 2050 e per proteggere vite umane, animali e piante riducendo l’inquinamento. L’accordo della nuova Commissione ha anche l’obiettivo di aiutare le imprese a diventare leader mondiali nel campo delle tecnologie e dei prodotti puliti, nonché contribuire ad una transizione giusta e inclusiva. I settori in cui si intende agire sono quelli di clima, energia, ristrutturazione degli edifici, l’industria e la mobilità.

Il piano di investimenti per un’Europa sostenibile

Al centro del Green Deal europeo spicca il piano di investimenti per finanziare la transizione verde. Il piano per un’Europa sostenibile fa leva sugli strumenti finanziari dell’UE, in particolare InvestUE, per mobilitare investimenti pubblici e fondi privati – almeno mille miliardi di € di investimenti. La transizione verde è un processo che deve coinvolgere tutti gli attori: gli Stati membri, le regioni e i diversi settori connessi. È importante tuttavia sottolineare che l’impegno richiesto non è lo stesso per tutti, poiché alcune regioni saranno particolarmente colpite e saranno oggetto di una trasformazione socioeconomica. Il meccanismo in questione sarà dunque fondamentale per fornire loro un sostegno pratico e finanziario, così da aiutare i lavoratori e generare gli investimenti necessari. Il piano di investimenti del Green Deal europeo mobiliterà i fondi europei e creerà un contesto che sappia agevolare gli investimenti pubblici ma anche privati. L’obiettivo rimane quello iniziale: garantire una transizione verso un’economia climaticamente neutra, verde, competitiva e inclusiva. Il piano di investimenti si articola in tre dimensioni. Per quanto riguarda il finanziamento, si vogliono mobilitare almeno mille miliardi di euro di investimenti sostenibili entro i prossimi dieci anni; il bilancio europeo destinerà infatti all’azione per il clima e l’ambiente una quota di spesa pubblica molto importante rispetto a quella degli anni passati, attirando anche fondi privati e con l’aiuto della Banca europea per gli investimenti. In secondo luogo, si vuole garantire un quadro favorevole agli investimenti, prevedendo incentivi per sbloccare e riorientare gli investimenti pubblici e privati. L’Unione Europea cercherà di fornire strumenti utili agli investitori, basandosi sulla finanza sostenibile ed agevolando gli investimenti sostenibili da parte delle autorità pubbliche, con pratiche di bilancio e appalti verdi e con migliori soluzioni per semplificare le procedure di approvazione degli aiuti di Stato. Infine, sarà necessario un sostegno pratico da parte della Commissione verso le autorità pubbliche, nelle fasi di pianificazione, elaborazione e attuazione dei progetti sostenibili.

Il meccanismo per una transizione giusta

Insieme al piano di investimenti, il meccanismo per una transizione giusta ha un ruolo fondamentale. Si tratta di uno strumento chiave per garantire che la transizione verso un’economia climaticamente neutra avvenga in modo equo, senza lasciare indietro nessuno. Verrà fornito un sostegno mirato alle regioni più colpite, con l’obiettivo di attenuare l’impatto socioeconomico della transizione, per poi contribuire a generare gli investimenti di cui necessitano i lavoratori e le comunità. Il meccanismo per una transizione giusta concerne tre fonti principali di finanziamento. La prima è il Fondo per una transizione giusta: 7,5 miliardi di € saranno stanziati con i nuovi fondi UE; gli Stati membri ne potranno beneficiare individuando i territori ammissibili mediante appositi piani territoriali per una transizione giusta. Tale Fondo concederà sovvenzioni alle regioni: sosterrà i lavoratori, appoggerà le PMI, le start-up e chiunque creerà nuove opportunità economiche nelle regioni. La seconda fonte di finanziamento è un sistema specifico per una transizione giusta nell’ambito di InvestEU, che punta alla mobilitazione di 45 miliardi di € di investimenti, con lo scopo di attrarre investimenti privati a beneficio delle regioni interessate, aiutando le economie locali ad individuare nuove fonti di crescita. Infine, è stato previsto uno strumento di prestito per il settore pubblico in collaborazione con la BEI, sostenuto dal bilancio dell’UE, che dovrebbe mobilitare investimenti compresi tra 25 e 30 miliardi di €. A tal proposito, la Commissione presenterà la proposta legislativa a marzo 2020. Tale meccanismo potrà essere utilizzato tramite la piattaforma per la transizione giusta, nella quale la Commissione offrirà assistenza tecnica a Stati membri e investitori.

Le dichiarazioni

Al centro del Green Deal europeo, che racchiude la nostra visione per un’Europa climaticamente neutra entro il 2050, ci sono le persone” ha dichiarato la Presidente della Commissione europea Von der Leyen, per poi aggiungere cheIl piano presentato, finalizzato a mobilitare almeno 1 000 miliardi di €, indicherà la rotta da seguire e provocherà un’ondata di investimenti verdi”.Inoltre, il Vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo Frans Timmermans ha affermato: L’indispensabile transizione verso la neutralità climatica migliorerà il benessere delle persone e aumenterà la competitività europea, ma sarà più impegnativa per i cittadini, i settori e le regioni che dipendono in maggior misura dai combustibili fossiliconcludendo che  “il meccanismo per una transizione giusta aiuterà chi ne ha più bisogno, rendendo più attraenti gli investimenti e proponendo un pacchetto di sostegno pratico e finanziario del valore di almeno 100 miliardi di €”.

Relazioni Repubblica Ceca – Cina

EUROPA di

Le relazioni tra Repubblica Ceca e Cina sono al centro degli ultimi dibattiti nei due paesi: i recenti sviluppi sono caratterizzati da diverse questioni aperte, dall’attuale disputa tra Praga e Pechino, al commercio e allo spionaggio.

Sin dal 2014, le relazioni ceco-cinesi includevano un impegno nei confronti della “politica della Cina unica” e promettevano di portare enormi benefici economici, con il presidente Zeman che affermava di voler rendere la Repubblica ceca “la porta della Cina verso l’Europa”. Cinque anni dopo, gli investimenti promessi non si sono materializzati e vi è una crescente preoccupazione a Praga per gli sforzi di Pechino per aumentare la sua influenza nel paese.

Pechino – Praga

Il sindaco di Praga Zdeněk Hřib ha definito la Cina un “partner inaffidabile” ed ha annullato l’accordo di gemellaggio che era stato portato avanti da Praga e Pechino: l’accordo risale al 2016, ma in seguito ad alcune clausole controverse sulla politica cinese è stato annullato. Il sindaco ceco ha voluto proseguire però questa sua politica di gemellaggi ed ha deciso che Praga firmerà un accordo di gemellaggio con la capitale di Taiwan, Tapei. “In questo modo, abbiamo perso un partner ma ne abbiamo vinto un altro”, ha detto il sindaco, ben consapevole del ruolo geopolitico di Taiwan, e del valore che ha l’isola per la Cina – Pechino vede Taiwan come proprio territorio. Stando alle parole del sindaco di Praga, si può parlare di una vera e propria disputa in corso tra Praga e Pechino che ha inasprito le relazioni ceco-cinesi. Zdenek ha affermato di non sostenere la rottura dei legami diplomatici o economici con la Cina ma, allo stesso tempo, ha esortato le democrazie europee a riflettere intensamente sull’avere “un partner così rischioso e inaffidabile”. “Chiedo a tutti voi di non rinunciare ai vostri valori e all’integrità personale di fronte a minacce e ricatti”, ha poi aggiunto. Inoltre, Zdenek ha anche accusato il governo ceco di “trascurare” gli ideali della pacifica Rivoluzione di velluto del 1989 che pose fine a quattro decenni di dominio comunista nella Repubblica ceca: “Come sindaco sto lavorando per mantenere la promessa della mia campagna di tornare al rispetto per la democrazia e i diritti umani. Questi sono i valori della Rivoluzione di velluto che l’attuale leadership della nostra repubblica sta trascurando”.

I mancati investimenti

Anche il Presidente della Repubblica Ceca ha espresso la propria opinione in merito alla scarsa affidabilità della Cina come partner, affermando che non andrà in Cina per prendere parte al vertice “17 + 1” dei capi della Cina e dei paesi dell’Europa centrale e orientale che si terrà ad aprile; uno dei suoi motivi è proprio che la Cina ha promesso di investire in Repubblica Ceca ma non l’ha fatto. Allo stesso tempo, Zeman riconosce che la politica portata avanti dal sindaco di Praga Zdenek – la cancellazione di una dichiarazione sulla politica della Cina dall’accordo di partenariato Praga-Pechino – potrebbe irritare la Cina.

Spionaggio

I mancati investimenti sono seguiti da recenti scandali sullo spionaggio cinese verso la Repubblica Ceca: il rettore della Charles University ha recentemente dovuto rispondere delle sue dimissioni dopo che è emerso che i cinesi avevano finanziato alcune delle conferenze dell’università a Praga; inoltre, è emerso anche che l’istituto finanziario internazionale Home Credit, che ha interessi commerciali in Cina, aveva pagato un’agenzia di pubbliche relazioni per lavorare sul miglioramento dell’immagine della Cina nei media cechi. Le notizie di crescenti sforzi cinesi per ottenere maggiore influenza nel paese hanno portato la camera bassa ceca a discutere l’istituzione di una commissione speciale che andrebbe a monitorare l’influenza dei regimi autoritari sugli affari cechi. Il ministro degli Esteri Petříček afferma che accoglierebbe con favore una simile mossa: “Tale commissione potrebbe contribuire al dibattito su come compensare l’influenza dei regimi stranieri sugli affari cechi. È nostro dovere rafforzare la nostra democrazia e rendere la nostra società più resistente alla minaccia di campagne di disinformazione e attacchi informatici dall’estero”.

Infine, il primo ministro Ceco Babis, rendendosi conto delle delicate relazioni con la Cina, ha riconosciuto la necessità di cercare un rapporto pragmatico con la Cina, bilanciando attentamente i valori cechi e gli interessi commerciali, per essere pronti a tenere un dibattito aperto su tutte le questioni, compresi i diritti umani.

Flaminia Maturilli
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