Tutto è santo, Pier Paolo Pasolini in Mostra a Roma

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Entrando nell’ottocentesco Palazzo delle Esposizioni, nel fastoso spazio della rotonda ci si trova in una temporanea sala-lettura dove su un tavolo sono sparsi libri vissuti e ristampe, tutti a firma di Pier Paolo Pasolini.

Sono l’opera letteraria che il poeta, scrittore, regista e artista ci ha lasciato e le cui idee dopo tanti anni ancora agitano le menti di pensatori e osservatori cultori delle espressioni del secolo scorso.

I libri costituiscono il corpo poetico centrale della mostra “TUTTO E’ SANTO. Il corpo poetico” allestita al PalaExpo fino al 26 febbraio prossimo. Per offrire uno sguardo più ampio sull’opera di Pasolini, a questa mostra si accostano le mostre rispettivamente alle Gallerie Nazionali d’Arte Antica (Palazzo Barberini) e al MAXXI di Roma.  

In questa mostra, il libro come oggetto diventa materializzazione della parola, parola che è manifestazione di visioni e pensieri pasoliniani che desiderano essere sentiti e diffusi.

L’ispirazione per il titolo “Tutto è santo” è preso dalla celebre frase pronunciata dal saggio Chirone nel film Medea che Pasolini gira nel ’69, alludendo alla sua convinzione che anche il volto del proletariato abbia una sua sacralità, una dignità, una potenza espressiva che è in sé arte e verità al contempo. Il costume sontuoso del personaggio montato su un manichino-scultura dall’artista-artigiano Piero Tosi e da Pasolini accoglie il visitatore nella prima stanza che riflette sul corpo dell’artista, sulla persona come incarnazione di un pensiero rivoluzionario.

“Un negro che presenti la sua “faccia” – … nient’altro che la sua negritudine esistenziale – in un cocktail tutto di purissimi anglosassoni, in un quartiere residenziale, dove è proibito abitare perfino ai “sudeuropei”, compie evidentemente un atto di rivolta. Col suo stesso “esserci”; ebbene, l’opera di un autore è come la faccia di un negro. E’ con la sua stessa presenza, …, che è rivoluzionaria.” (P. P. Pasolini, Il caos in “Tempo”, 1968).

L’idea della mostra è proprio la fisicità del pensiero, la materializzazione di un concetto che si trasforma in oggetto tangibile. In questa accezione, viene esposta l’edizione cartacea del Corriere della Sera del 19 gennaio del 1975 in cui apparve l’articolo di Pasolini “Contro l’aborto”, il giornale, oggetto di precario destino che viene normalmente gettato, tutt’ora mantiene il suo valore semantico e la sua controversa attualità.

La corporeità del libro come incarnazione della parola, e in senso più ampio la sua bivalente indole, la sua tendenza a sgretolarsi fisicamente ma al contempo l’ingombrante permanere delle sue parole, è il concetto chiave dell’esposizione. Il senso dell’opera dipende dalla presenza fisica e sensoriale dell’artista, personificato dal suo corpo, dal volto, dalle parole, dagli oggetti ad esso attribuibili. Per questo, in mostra sono presenti esclusivamente materiali originali come fotografie vintage, giornali, riviste, evitando copie o ristampe.

Come i libri in una biblioteca, sono allestiti numerosi costumi di scena utilizzati da Pasolini nei suoi film. Mentre l’oggetto libro si fa incarnazione della parola, il costume si trasforma in veicolo di narrazione tra storia e corpo. In un vasto spazio questi costumi sono appesi ad alcune file di impressionanti appendiabiti che sovrastano il visitatore, ordinati per materiali e sfumature cromatiche, seguendo per la loro collocazione dei criteri d’ordine specifici dei libri. Sono i “costumi del corpo” messi a disposizione dal collezionista Danilo Donati che sono sopravvissuti a tutto. Tutt’ora stimolano la tattilità ed è come se si potessero ancora sentire i loro profumi, il peso una volta indossati, il sudore di chi l’ha portati.

 

Ineluttabile è anche la riflessione sul rapporto che Pasolini ha avuto con il sesso femminile. Punto di riferimento rimane la madre con cui ha un legame indissolubile nella sua vita, essendo donatrice d’amore, figura insostituibile e unica custode del segreto del cuore del figlio, che al contempo gli fa presagire prematuramente l’angoscia per quando lei non ci sarà più. La poesia “Supplica a mia madre” è l’emblema del suo rapporto inscindibile con lei. Nel lungometraggio “Il Vangelo secondo Matteo” Pasolini le fa interpretare il ruolo della Vergine Maria.

Pasolini esterna una sua sensibilità per la donna che soffre da lunghi secoli sotto il patriarcato. I suoi legami con figure femminili come Elsa Morante, Giovanna Bemporad, Laura Betti, Anna Magnani e Maria Callas sono esemplari, tutte donne che non si adattano al modello patriarcale, e che per questo sono votate all’insofferenza, in quanto nessuna emancipazione e nessun riscatto potrà cancellare la loro oppressione. Pasolini è amico delle femministe, e non evita di provocarle per stimolare in loro quella grinta con cui difendere la loro “razza sacra”, in modo vero e autentico.

Chissà, se lo scenario politico del 2022, anno in cui Pasolini avrebbe compiuto cento anni, e che per la prima volta vede una donna alla guida dell’Italia, non avrebbe suscitato la sua attenzione se non un certo coinvolgimento, non tanto per la condivisione ideologica, quanto piuttosto per il presentimento di un radicale cambiamento politico-sociale capace di sconvolgere l’assetto.

 

Invece, in quegli anni, Pasolini vive la sua omosessualità in opposizione al patriarcato, consapevole che ogni assenso al potere e alle sue implicazioni sia vergogna. Oltre alla madre, la donna che più segnerà la vita sentimentale di Pasolini sarà la soprano Maria Callas. Affranta dopo il tradimento di Onassis che ha sposato la Kennedy, si innamora di Pasolini che la dirige come attrice nel suo film Medea nel 1969, e lui ricambia il sentimento nonostante la sua diversa inclinazione abbandonandosi ad un rapporto profondo, senz’altro più che amicale. Le travolgenti esperienze dei precedenti rapporti sentimentali sembrano sciogliersi in questa relazione che sarà stroncata soltanto dalla morte precoce di Pasolini nel 1975.

In un’altra sezione della mostra viene analizzato proprio questa controversia di Pasolini, la sua corporalità diversa e aperta, l’atteggiamento in collusione con il sistema che suscitava sgomento nel pensiero comune e chiusure ipocrite, considerato un’offesa del genere maschile e per l’identità sessuale della comunità.

Così è esposto l’intero elenco di tutti i procedimenti giudiziari che l’artista ha subìto nel corso della sua vita e oltre alla sua scomparsa. 25 anni che hanno visto Pasolini protagonista di accuse di vario genere tra cui per pederastia.

La sua diversità sembrava offendere la tradizione italiana, l’idea di famiglia, diventando inoltre il bersaglio prediletto per interventi quotidiani di derisione sulla stampa e sui giornali, oggi esposti in mostra; il più emblematico è Note psichiatriche in cui il professor Aldo Semerari afferma con presunzione scientifica che “Il Pasolini è uno psicopatico dell’istinto”. Fosse per il fascino maschile di Pasolini, o per la sua notorietà acquisita, senza dubbio poteva avere una certa influenza sui giovani di quel tempo.

La produzione cinematografica costituisce una parte cospicua dell’opera di Pasolini, qui rappresentata attraverso le fotografie di scena di alcuni suoi capolavori come Mamma Roma con Anna Magnani o per l’appunto Medea con Maria Callas. Questi film faranno parte di una rassegna cinematografica di Pasolini che accompagnerà la mostra, dal 20 ottobre e fino all’8 dicembre. Le circa 50 opere girate perlopiù in pellicola 35mm saranno proiettate nella sala Cinema del PalaExpo, ed arricchiranno la mostra offrendo e ampliando le visioni e riflessioni su questo eclettico personaggio del Novecento.

Profondo conoscitore della musica popolare e dialettale, negli anni ’60 e ’70 Pasolini registrava delle composizioni e canzoni sue. Nelle incisioni discografiche in 33 e 45 giri anche la sua voce si manifesta come una voce che incarna il popolo. Inoltre, alla mostra si possono ascoltare “Canzonette”, un vinile realizzato per l’occasione da Bomba Dischi, sponsorizzato da Gucci, con Ariete, Franco126, CLAVDIO ed altri che rivisitano le musiche amate e scritte da Pasolini in un’installazione audiovisiva.

Oltre alla musica, Pasolini apprezzava il calcio, ed egli stesso giocava, immaginandosi una squadra “ideale” composta dai suoi amici poeti e narratori come Alberto Moravia, Bertolucci, Ungaretti e Roberto Longhi, nella Roma degli anni ’50 da poco uscita dalla Guerra, dove tutti si univano nella borgata nella partitella del Trullo, senza sovrastrutture di alcun genere. Attraverso un filmato proiettato, Pasolini racconta questo suo sogno di squadra con una voce leggera e puerile, quasi fosse un desiderio onirico fanciullesco.

Infatti, Roma per Pasolini poteva costituire anche il regno di Sodoma, luogo di libertà sessuale, felicità, fuori dalla legge dei padri. Foto di ragazzi dell’epoca ripresi senza pudore che avranno seguito queste scie, chiudono il percorso espositivo. Una gigantografia in bianco e nero di un orinatoio, oggetto simbolo di Roma-Sodoma, rievoca quelli sotterranei della stazione Termini, del Circo Massimo, del Lungotevere davanti al carcere Regina Coeli, che si annunciavano già con il l’odore penetrante, in una percezione della vita senza filtri o abbellimenti, accettata nella sua cruda essenza e verità.

Pasolini si sentiva appartenere a tutti, così la mostra al PalaExpo si profila come un’esposizione non solenne, basata sugli oggetti, materiali pervenuti che fanno riferimento all’esistenza di Pasolini, al suo corpo che sperimenta il mondo nella sua bellezza e tragedia, che ama la vita e che si oppone alle convenzioni.

Si evidenzia anche il suo stretto rapporto con le periferie di Roma, con la gente che le abitava, con la loro fredda urbanistica, gli odori, i suoni, le urla e soprattutto con le strade, queste ultime divenendo spesso il centro delle ricerche e l’aspetto iconografico per molte riprese cinematografiche dell’artista. Come se fosse un moderno Caravaggio, per tanti ruoli dei suoi film, Pasolini prediligeva persone scelte tra il popolo, invece che attori di fama o divi del cinema, manifestando il suo amore per la realtà lontana dal consumismo. Molte volte realizzando i set proprio nelle periferie.  

In effetti, in opposizione alla “civiltà” borghese, le periferie per Pasolini sono luoghi brulicanti, veri, ancora non omologati da programmi come Carosello, quantomeno ripuliti dall’emancipazione economica. Ed è questa autenticità che Pasolini cerca continuamente in quei posti lontani dalla borghesia catturandola con la sua cinepresa o rendendola tangibile nella poesia o attraverso la parola. La parola diventa corpo, il corpo s’incarna nella sua sacralità. Tutto è santo.

 

 

    

Bookreporter Settembre

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