Verso le elezioni presidenziali americane 2020 – il fronte repubblicano

È un’America molto divisa quella che si presenta alle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo inizio Novembre. Il clima è infatti esasperato dalla pandemia di coronavirus (gli Stati Uniti sono il Paese più colpito dal Covid19, sia per numero di contagi, che di decessi) e da conflitti economici ed ideologici sempre più profondi.

In questo scenario quasi apocalittico, carico di incertezze, paure e violenze, i cittadini americani voteranno non solo per il Presidente, ma anche per l’intera Camera dei Rappresentanti ed un terzo dei Senatori. E la campagna elettorale entra sempre più nel vivo. Il presidente in carica Donald Trump ed il fronte repubblicano sono ormai da mesi alle prese con una serie di problematiche che hanno rimescolato le carte e rimesso politicamente tutto in discussione.

Prima della pandemia, tutto lasciava pensare ad una facile riconferma del tycoon per un secondo mandato. Fino a qualche mese fa, infatti, Wall Street vantava nuovi record, la disoccupazione era a livelli bassissimi, l’economia tirava e la maggior parte degli americani dava il merito di tutto ciò al presidente-showman. Sembrava tutta in discesa, quindi, la volata di The Donald.

Poi si è presentato il coronavirus, che ha portato con se morti, malati e disoccupazione, mentre la Borsa ha azzerato i profitti del 2019/20, tornando ai valori del 2017.

A complicare il quadro, la morte per mano della polizia di George Floyd, avvenuta il 25 maggio scorso, ha esacerbato i mai sopiti conflitti in seno alla società americana. L’uccisione del cittadino afroamericano ha infatti scatenato tumulti, disordini e violenze quasi senza precedenti, ed ha ispirato l’ascesa del movimento “Black Lives Matter”, in netto contrasto con l’amministrazione in carica. Avvenimenti imprevedibili che sembra abbiano spostato, perlomeno secondo i sondaggi, la maggioranza dei consensi elettorali a favore del candidato democratico Biden.

Tuttavia, è notizia di questi ultimi giorni il forte “rimbalzo” dell’economia a stelle e strisce. Dopo un primo momento molto critico, infatti, l’economia americana ha creato in agosto 1,37 milioni di posti di lavoro ed il tasso di disoccupazione è calato all’8,4% dal 10,2% di luglio, dando un po di respiro a Trump che, dopo mesi di difficoltà, può finalmente riordinare le idee e passare al contrattacco per recuperare punti nel risiko delle elezioni.

 

Gli Stati chiave

Già ora si possono fare delle valutazioni su dove si giocheranno le partite decisive. Alcuni sondaggi mostrano come la sfida tra Biden e Trump possa giocarsi in sei Stati chiave: Florida, Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, Arizona e North Carolina.

Ad eccezione di quest’ultima (in cui Trump è in leggero vantaggio), i sondaggi danno avanti l’ex vicepresidente democratico in tutti gli stati appena citati. Segno che lo schieramento repubblicano ha davvero perso terreno e deve recuperarlo al più presto se vuole essere riconfermato alla guida del Paese.

Il fronte repubblicano

 La squadra di governo del fronte repubblicano è rimasta, almeno nei suoi uomini di punta, la stessa: Trump ha dominato le “primarie” del partito, ormai espressione più di se stesso che delle storiche correnti liberal e neocon, Pence sarà il candidato vicepresidente, mentre Pompeo conserverà, in caso di secondo mandato, la carica di Segretario di Stato.

Un importante avvicendamento si è invece registrato al vertice del comitato per la rielezione del presidente: a metà luglio il capo della campagna elettorale Parscale è stato sostituito da Stepien, analista noto per le innovative strategie elettorali legate ai big-data, all’analisi dell’elettorato e al “targeting” degli elettori.

Tutto ciò è stato ufficializzato durante un’atipica convention nazionale del Partito Repubblicano, tenuta a fine Agosto a Charlotte in North Carolina, durante la quale si è notata l’assenza (causa Covid) delle scatenate folle di supporters del MAGA (oggi ribattezzato KAG, Keep American Great), mentre non ha stupito quella di molti “veterani” del partito, come ad esempio la famiglia Bush.

Sono note da tempo, infatti, le frizioni tra il Grand Old Party e Trump, reo di aver depotenziato se non addirittura sostituito le tradizionali strutture del partito legate al Deep State ed ai circoli liberal e neoconservatori con una struttura informale e fluida fondata sul suo team di governo, la sua famiglia ed un’ampia schiera di ideologi ed opinionisti favorevoli alla sua amministrazione.

 

Il programma di Trump 

Durante la convention, Trump non ha presentato un vero e proprio programma per il prossimo mandato, ma ha preferito attaccare lo schieramento democratico, configurando la propria ricetta per l’America come la medicina preventiva a tutti i disastri che si verificherebbero se Biden venisse eletto.

A ogni modo, la formula del “Trumpism”, già collaudata e vincente, non cambierà di molto: “America First”, nazionalismo, no all’immigrazione incontrollata, taglio delle tasse in economia e tendenze isolazioniste in politica estera.

Scendendo un po più nel dettaglio, le promesse elettorali di Trump sono così riassumibili:

  • in continuità con il precedente mandato, taglio delle tasse. Questo taglio ha già sostenuto imprese e cittadini e favorito il mercato azionario, ma anche aumentato il deficit ed il debito nazionale.
  • L’obiettivo principale della manovra fiscale per il 2021 sarà il superamento dell’emergenza coronavirus e la lotta alla disoccupazione. Si tratta di una manovra da 4800 miliardi di dollari, tutta pensata in chiave elettorale, seppur contenente tagli alla sanità e agli ammortizzatori sociali.
  • Incremento delle spese per la lotta all’immigrazione clandestina e per la Difesa. Il piano prevede la consueta “tolleranza zero”, con 2 miliardi di nuove risorse per la costruzione del muro al confine con il Messico.

 

Gli assi nella manica di The Donald”

Ma al di la delle promesse elettorali, “The Donald” punterà, ancora una volta, sulla cosiddetta “maggioranza silenziosa”.

Sono loro, i figli dell’America più profonda, lontani dagli scontri ideologici e alla ricerca di ordine e sicurezza (sociale ed economica) il bacino elettorale che può dare la spinta decisiva per la rielezione. Il comitato elettorale di Trump spiega bene il profilo di questi possibili elettori: cittadini vicini alle posizioni del presidente ma che sono disinteressati o disillusi, che vivono in zone rurali, in aree extraurbane, ma anche nei quartieri della working class. Secondo i consulenti di Trump sarebbero 1,4 milioni di elettori potenziali.

Inoltre, sembra un paradosso, ma la seconda carta vincente per restare alla Casa Bianca potrebbe essere quella dell’economia.

Dopo che l’epidemia ha fatto schizzare la disoccupazione e contrarre il Pil, è infatti arrivato, come detto, un rimbalzo che sta facendo recuperare punti ai repubblicani. Importante, in tal senso, l’endorsement degli ultimi giorni da parte del Wall Street Journal, che ha lodato dalle sue colonne le politiche economiche del presidente uscente.

Infine, Trump vorrebbe giocarsi un clamoroso (e ad oggi impensabile) jolly: il vaccino.

Se riuscisse a mettere le mani e la firma sulla cura al Covid19, rimedierebbe in un colpo solo agli errori fatti in questi mesi in ambito sanitario e recupererebbe credibilità di fronte all’opinione pubblica, forse in modo decisivo.

 

La politica estera, nel segno della continuità

Seppure sia opinione comune che la politica estera non faccia vincere le elezioni, resta un argomento di enorme rilevanza. Anche perché, se è vero che non tutte le fasce elettorali si interessano a questi aspetti, allo stesso modo è certo che i grandi centri di potere li tengano in grande considerazione. Basti pensare, per fare un esempio sicuramente non esauriente, all’influenza che l’evoluzione del rapporto tra Stati Uniti e Cina può avere sulle dinamiche finanziarie ed economiche.

Inoltre, anche se la politica estera di Trump ha avuto un ruolo sicuramente secondario rispetto alla politica interna e sia stata per lo più caratterizzata da tendenze isolazioniste, gli Stati Uniti rimangono pur sempre il player geopolitico globale principale, e le elezioni americane posso rivoluzionarne le strategie a breve, medio e lungo termine.

Per quanto riguarda l’Asia, durante il primo mandato di Trump non è stato possibile evitare lo scontro con la Cina, che ad oggi è aperto su più di un tavolo: con un secondo mandato repubblicano, gli USA continueranno la battaglia commerciale con Pechino e seguiranno con grande attenzione l’evoluzione della situazione ad Hong Kong, in Corea del Nord e nel Mar Cinese Meridionale.

In Europa, l’isolazionismo di Trump sarà ancora più marcato. Proseguiràil già annunciato disimpegno militare (parziale) in Germania ed il pressing sugli alleati della NATO per aumentare le spese militari, ma anche l’atteggiamento protezionista in ambito commerciale.

In Medio Oriente, infine, il Presidente uscente promette massima pressione sull’Iran e la conclusione del giàiniziato disimpegno definitivo in Iraq e Afghanistan.

Tra l’altro, è proprio nello scenario mediorientale, con il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e la più recente costruzione di un asse diplomatico tra Tel Aviv ed Emirati Arabi Uniti, che la politica estera trumpiana ha finora ottenuto i risultati migliori. L’amministrazione Trump è infatti riuscita a fare dell’America la guida di una nuova alleanza che potrebbe dominare la scena internazionale nei prossimi decenni, e promette di continuare su questa strada.

Dagli ambienti repubblicani, si fa filtrare che preferire Biden a Trump, per gli elettori, potrebbe voler dire minare la pace in Medio Oriente, che la nuova alleanza dovrebbe invece garantire (in ottica americana). Nella narrazione trumpiana, insomma, il multilateralismo diplomatico dei democratici, metterebbe a repentaglio la pace.

Anche questa è una carta che il tycoon può giocarsi in chiave elettorale, contando pure sul fatto che l’opinione pubblica americana spinge ormai da tempo per un minor coinvolgimento negli scenari globali. L’isolazionismo, infatti, è richiesto anche dai cittadini e non è un’invenzione di Donald Trump.

 

Andrea D’Ottavi

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