Per la prima volta la tradizionale veglia commemorativa è stata vietata da Pechino, Hong Kong comunque non rinuncia a ricordare 31 anni fa, nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989, decina di migliaia di persone si riunirono in piazza Tienanmen (la piazza centrale di Pechino) per chiedere alla Cina comunista riforme democratiche ed economiche. La risposta di Pechino fu il fuoco: i carri armati dell’esercito cinese, per ordine del governo, sparano indiscriminatamente sui manifestanti.
Ancora oggi non ci sono dati universalmente riconosciuti sul numero esatto di morti e feriti: oltre alle circa 7000 persone ferite, si parla di circa 300 uccisioni, ma secondi le organizzazioni di diritti umani furono molte di più, nell’ordine delle migliaia.
Da allora la Cina ha cercato di cancellare la memoria dell’avvenimento. L’evento è stato escluso dai libri di storia e il solo parlarne è considerato un tabù. Giornali e documenti presenti su internet sono stati sottoposti a censura. Solo in un posto si perpetua la tradizione del ricordo e della commemorazione: Hong Kong, dove ogni anno si tiene una veglia con decine di migliaia di candele a Victoria Park.
Quest’anno però, per la prima volta dopo 30 anni, la veglia è stata vietata. La motivazione ufficiale è il distanziamento sociale, con le rigide regole per contenere il Covid-19, ma secondo alcuni manifestanti si tratta solo di “un pretesto per silenziare l’opposizione”, come afferma Joshua Wong, uno dei leader delle proteste che da quasi un anno animano Hong Kong.
Quest’anno ad Hong Kong la ricorrenza è più sentita che mai, cadendo in un periodo di infuocate lotte sociali. Gli abitanti dell’ex colonia britannica sono scesi in piazza fin da marzo dello scorso anno per manifestare contro l’integrazione nel sistema cinese e per chiedere più democrazia. Nemmeno l’emergenza Covid-19 è riuscita a stemperare gli animi e porre un freno le proteste, che sono comunque continuate. La reazione di Pechino non ha tardato a farsi sentire, con repressioni e arresti per i manifestanti.
Proprio in questi giorni stiamo assistendo ad un’ulteriore stretta di Pechino sulla situazione di Hong Kong. L’Assemblea Nazionale del popolo della Cina, massima autorità legislativa della Repubblica popolare, ha approvato la legge sulla sicurezza nazionale che darà alla Cina un maggiore controllo su Hong Kong: servirà a reprimere qualsiasi atto che possa essere considerato una minaccia alla sicurezza nazionale.
Il testo passerà al Comitato permanente del Partito comunista e potrebbe essere trasformato in legge entro tre mesi. Se approvato segnerà la fine dei fermenti democratici della regione.
Come ulteriore segnale di un cambiamento in corso, il giorno stesso dell’anniversario di Piazza Tienanmen, il Parlamento locale ha votato la contestatissima legge sul rispetto dell’inno nazionale cinese che criminalizza ogni atto di irriverenza verso la “Marcia dei volontari” con sanzioni pecuniarie e carcere.
Hong Kong comunque non ha rinunciato a ricordare. La commemorazione è stata trasmessa on line, gruppi di non più di otto persone (non superando quindi il limite consentito per gli assembramenti) si sono riuniti per commemorare, in diversi punti si sono accese candele per ricordare insieme.
Non tutti però si sono accontentati di queste forme più individuali di commemorazione. Il dissenso verso le restrizioni si è fatto sentire: numerosi attivisti pro-democrazia hanno raggiunto comunque Victoria Park, dove si sono riuniti per celebrare la veglia come ogni anno, ignorando i divieti. Altri disordini sono scoppiati durante serata, con manifestanti che hanno occupato e bloccato alcune strade. “Gli agenti stanno effettuando arresti”, ha reso noto la polizia su Twitter.
Di Laura Iannello