Il Venezuela attraversa oggi una crisi di tipo economico, politico e umanitario senza precedenti. Le origini della crisi, ormai radicatasi, sono da ascrivere al 2010, primo anno di presidenza del socialista Hugo Chiavez , ma la situazione è peggiorata soprattutto negli ultimi anni con i mandati di Nicolas Maduro.
Fin dal suo primo mandato, a partire dal 2013, il socialista Maduro ha cominciato a ridurre sistematicamente il potere dell’Assemblea Nazionale, principale organo legislativo, per poi arrivare a creare un altro organo, l’Assemblea Costituente, presieduto da un grande sostenitore di Maduro, con l’obiettivo di scrivere una nuova Costituzione. Le elezioni di dicembre 2018 tuttavia hanno aperto una nuova fase della crisi; i risultati elettorali infatti, contestati per poca trasparenza dai partiti dell’opposizione venezuelana, dall’Unione Europea e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, hanno dato come vincitore Maduro, il quale il 5 gennaio 2019 si è cosi istaurato per cominciare il suo secondo mandato. Il principale leader dell’opposizione nonché Presidente dell’Assemblea Nazionale Juan Guidò tuttavia, in occasione della commemorazione dell’anniversario della caduta della dittatura di Marcos Perez Jimenez, facendo leva sull’articolo 233 della Costituzione venezuelana ha dichiarato, forte del suo ruolo politico, di voler rimuovere Maduro dal suo ufficio per tornare ad avere elezioni democratiche in Venezuela. Proclamato Presidente ad Interim dall’Assemblea Nazionale, Guaidò quindi avrebbe presieduto temporaneamente un governo di transizione in attesa della convocazione di nuove e libere elezioni, “contro un dittatore non democraticamente eletto”. L’investitura di Guaidò ha diviso la scena internazionale, tra chi come Stati Uniti, Canada, Francia e Regno Unito, lo ha riconosciuto come nuovo Presidente e chi invece, come Russia e Cina, continua a sostenere Maduro. Guaidò veniva nominato presidente ad interim il 23 gennaio 2019, ad oggi la situazione appare ancora instabile e drammatica a causa soprattutto dell’iperinflazione e dello scontro civile interno tra le due fazioni che sostengono rispettivamente Maduro o Guaidò. Alcune conseguenze dirette della crisi in cui versa il paese sono poi l’impatto sulle vendite di petrolio e le migrazioni di massa nei vicini Colombia, Brasile o Stati Uniti. La produzione di petrolio in Venezuela un tempo rendeva il paese il principale importatore di greggio negli Stati Uniti, ma attualmente le produzioni sono diminuite drasticamente, a causa della carenza di investimenti e delle sanzioni imposte al paese da Trump e ciò sta consentendo al altri produttori del latinoamerica come Messico e Brasile di espandere la propria produzione e di allargarsi sul mercato. Il FMI parla di “un collasso totale dell’economia”, con l’iperinflazione al 10.000.000%. La valuta ufficiale, il bolivar, in molte zone non viene più accettata, dall’inizio della crisi i 4/5 delle imprese venezuelane hanno dovuto chiudere e lo stipendio medio di un lavoratore è di circa 4 dollari al mese. Le famiglie, che non hanno più soldi per le necessità primarie, emigrano in massa (l’UNCHR nel gennaio 2019 parlava di 2,7 milioni di rifugiati) cosa che rende la situazione tesa soprattutto al confine con la Colombia, dove sono stati posti dei presidi militari.Il tasso di inflazione più alto del mondo, la povertà assoluta, i diritti violati, la situazione politica allo sbando: il Venezuela è una nazione instabile e attualmente non sembra avere una soluzione in grado di rilanciare le sorti del paese che sia condivisa dai due suoi leader. In questi mesi ci sono stati alcuni tentativi da parte di potenze esterne di porsi come mediatrici tra le due figure politiche di riferimento del Venezuela, come dimostrato dai colloqui di Olso tra Norvegia, rappresentanti di Maduro e delegati di Guaidò in maggio, ma i negoziati non hanno dato i risultati sperati. Un sostegno internazionale ai negoziati sarebbe importante per aumentare la garanzia di elezioni presidenziali trasparenti e monitorate a livello internazionale, e proprio con questo fine l’Unione Europea partecipa al Gruppo di Contatto Internazionale per una soluzione pacifica e democratica della crisi. Certo, attualmente, le condizioni del paese non lasciano presagire il meglio.