Libano,reportage nei campi profughi siriani

in MEDIO ORIENTE by

Tutto il Libano è terra di insediamenti di profughi siriani, ci sono circa 1.500.000 persone spars tra tendopoli, abitazioni in fatiscenti garage, case abbandonate o in fase di costruzioni e altri luoghi di fortuna, ma la Valle la Bekaa è la più popolata. Viaggiando sulla strada principale, dopo aver lasciato la cittadina di Zahle lo sguardo è continuamente colpito dal pullulare di accampamenti dai colori sbiaditi.

Questa valle si trova a circa 70 km ad est di Beirut. E’ delimitata da una catena montuosa che fa da confine molto labile con la Siria, si estende per circa 120 km di lunghezza e quando l’attraversi non sembra nemmeno faccia parte del Libano con la frizzante e modernissima Beirut. Qui il paesaggio è apparentemente dolce e sembra quasi un’oasi di pace, ma proprio in questi luoghi abbiamo visitato dei campi profughi che ti fanno capire quanto una persona può sopportare pur di fuggire alle atrocità della guerra.

Arriviamo a Baalbek e il primo campo che visitiamo conta 400 tende, con circa 25.000/30.000 persone. Scendiamo dalle nostre auto e ci troviamo quasi disorientati, come fossimo nella piazza di una grande città caotica, solo che questa città è ammassata di tendopoli, dove scorrazzano moltissimi bambini. Arriva con passo lento appoggiandosi ad un bastone, con aria di saggezza e la dignità di chi sta resistendo ad una condizione in cui non avrebbe mai pensato di trovarsi. Porta una kefiah chiara e una giacca nera sopra la tipica veste lunga, sa di bucato appena asciugato, pur in quella situazione risulta una persona ben curata.  Gli occhi dell’anziano sono lucidi come se da un momento all’altro dovessero far scendere delle lacrime, ma non scenderanno mai durante la nostra conversazione. Parla un inglese perfetto, segno della sua formazione scolastica – culturale. Racconta la storia del suo popolo e di come tutti i suoi conterranei presenti in quel accampamento siano giunti in Libano.  Ha 92 anni e vive in quelle condizioni da 5 anni, spiega che la maggior parte dei siriani che si trovano li hanno attraversato il confine regolarmente, sono stati costretti a scappare dalla Siria dove avevano un lavoro, una disponibilità economica buona, una bella famiglia, ma la situazione era diventata disperata e troppo pericolosa soprattutto per bimbi e donne. Donne ne incontriamo molte e molte sono sole perché hanno lasciato il marito a combattere e hanno cercato di portare i figli in salvo, oppure perché sono vedove e la situazione per loro era ancora più pericolosa, a causa degli stupri, violenze e soprusi da parte dei miliziani dell’Isis.

La situazione nei campi profughi è veramente precaria, le aree dove sorgono questi accampamenti sono privati, hanno un proprietario che incassa 100 dollari per l’affitto della terra, 60 dollari per le fognature e 40 dollari per la fornitura dell’energia elettrica, perciò ogni “tenda” sborsa mensilmente 200 dollari e questo fa si che molte “abitazioni” siano sovraffollate perché vari nuclei si mettono insieme per condividere le spese. Si deve sapere che quei terreni occupati dalle tende, in genere sono rocciosi e poco adatti alla coltivazione di qualsiasi prodotto, che gli impianti elettrici sono un groviglio di fili che spesso prendono fuoco e che le fognature sono praticamente inesistenti e le latrine sono collegate a delle canalette di scolo a cielo aperto.

 Le famiglie sono arrivate con qualche risparmio – ci racconta il nostro interlocutore – e ora quasi tutti sono più poveri di quando sono arrivati perché, con i lavoretti che trovano riescono a malapena pagarsi le spese per sopravvivere, si perché in questi posti non si vive, ma si sopravvive. Fa male al cuore vedere tutte queste persone violate nella loro dignità, in Siria non erano dei poveri, dei miserabili, ma persone civili con un lavoro, istruite, benestanti e che da un momento all’altro si ritrovano in queste condizioni di sfruttamento e sporcizia; una povertà che ti toglie l’identità. Intorno a noi moltissimi bambini corrono e si fanno fotografare, per loro è un gioco e vedere dei volti nuovi rappresenta un motivo di gioia e gioco, i loro occhi sono vispi e puri, con tanta voglia di vivere e quasi ignari della tristezza, dei pianti dei loro genitori, nel trovarsi a vivere in tanta miseria.

Siamo accompagnati dagli operatori dell’INTERSOS, l’organizzazione umanitaria che mi ha incaricato di realizzare un reportage fotografico sulle loro attività in Libano. INTERSOS è una organizzazione umanitaria italiana, nata nel 1992 con sede a Roma e opera in prima linea in luoghi di disastri naturali, guerre e violenze, porta soccorsi in contesti di emergenza alle popolazioni colpite con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili. Gli aiuti spaziano dalla distribuzione dei beni essenziali e ripari d’emergenza, sanità e nutrizione, sicurezza alimentare, acqua e igiene, istruzione e protezione (soprattutto donne e bambini).

In questo contesto inoltre, collabora con UNHCR (Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) al conteggio delle nascite nei campi profughi, nella speranza che un giorno vengano registrate ufficialmente, si perché i bambini nati in Libano da famiglie di profughi siriani, non risultano visibili in nessun paese; il Libano non vuole registrarli come nati libanesi, in Siria è impossibile recarsi e chissà se un giorno potranno tornare e come saranno accolti … ( già ci sono dei tentativi di rimpatriarli perché i libanesi cominciano ad essere insofferenti per la troppa affluenza siriana), comunque i bambini nati in questi campi profughi sono trasparenti per il mondo, come se non fossero mai nati.

 Molti anche, i centri di recupero e ascolto che gestiscono, dall’ aiuto ai bambini, alla protezione di donne violentate o perseguitate a centri ricreativi e scolastici, ne abbiamo visitati alcuni anche attraversando interi quartieri controllati da Hezbollah, passando molti Check Point, in quei casi gli operatori mi raccomandavano di non far vedere la macchina fotografica e la tensione si faceva sentire vedendo la massiccia presenza militare.

In un altro campo visitato, sempre nella valle della Bekaa, ci vivono circa 70.000 persone, e ci appare come una marea immensa di tende che si perdono a vista d’occhio. Ha appena smesso di piovere e ci sono pozzanghere ovunque, fango anche all’interno delle tende, la situazione è impressionante. Le persone che mi vedono con la macchina fotografica mi tirano per la giacca invitandomi a fotografare la loro situazione per portare testimonianza e protestare verso i proprietari del terreno che a fronte delle spese richieste non danno i servizi, quando piove sono costretti a vivere nelle tende allagate e ci raccontano che le condizioni metereologiche sono quelle che spaventano di più; l’inverno è rigido e certe nevicate arrivano anche ad 1 metro di altezza e la temperatura d’estate può toccare i 40 gradi.  Anche qui i bambini sono moltissimi e ci corrono incontro sguazzando tra il fango. Molti adulti si avvicinano agli operatori, alcuni con aria supplichevole, altri un po’ irritati per la loro condizione, si lamentano sentendosi abbandonati e chiedono il nostro sostegno e comprensione. Ci guardiamo tra noi e senza parlare sappiamo che tutti ci stiamo facendo una domanda: quanto tempo dovranno ancora vivere in quelle condizioni disumane?

Molte le storie pietose che ci hanno raccontato e il cuore di qualsiasi persona con un po’ di sensibilità si ribella in un grido di dolore davanti a tanta ingiustizia e sfortuna.

 

 

Bookreporter Settembre

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