Crisi Ucraina, si ridefiniscono i rapporti internaziali

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La comunità  internazionale oggi si sta confrontando con problemi che, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, sembravano superati.
La Crisi Ucraina, invece, ha riportato indietro le lancette dell’orologio della Storia. La Piazza, le battaglie nelle citta’, i blitz e il confronto tra Occidente e Russia, hanno fatto emergere prepotentemente almeno 3 temi.
L’inviolabilità’ delle frontiere, un principio di diritto internazionale che sembrava definitivamente acquisito con la Carta di San Francisco, e’ stato messo in crisi dalle vicende della Crimea e del Donbass.
A questo si aggiunge l’iconoclastia, la sistema e preordinata distruzione del passato e delle tradizioni di un popolo finalizzata a soggiogarlo per annetterne il territorio. Infine l’epocale scomposizione e ricomposizione delle frontiere, che sono tornate ad essere fluide. Questi ultimi due aspetti sono accentuati dalle vicende mediorientali, che procedono parallele rispetto a quelle ucraine. Si tratta, in ultima istanza, dell’onda lunga della dissoluzione dell’ordine di Yalta, senza che ad essi si sia sostituito niente tranne che il caos.
In questo scenario, la Crisi Ucraina riveste un ruolo centrale, anche se i media tendono ad occuparsene meno delle altre. La centralita’ del rapporto che il paese ha con la Russia, rispetto alla quale svolge il ruolo di collo di bottiglia nella distribuzione del gas verso l’Europa, e le palesi violazioni del diritto internazionale in corso fanno di questa Crisi un punto nodale nella ridefinizione dei rapporti internazionali.
A questi aspetti strutturali se ne aggiungono altri non convenzionali.
Fra questi l’altissimo numero di rifugiati, secondo solo a quello prodotto dal conflitto in Siria: circa un milione di ucraini risultano dispersi. A cio’ si aggiunge il fenomeno dei foreign fighters: in Ucraina si contano contractors, “volontari” russofoni senza segni di riconoscimento sulle divise, guerriglieri musulmani ceceni, nonche’ avventurieri mossi da motivi personali.
L’ultimo elemento “non convenzionale” si potrebbe definire di “crisis management”: nessuno dei protagonisti sembra aver avuto in passato e di avere oggi la capacita’ di gestire la situazione, anzi tutti sembrano subirla. L’ha subita l’Unione Europea,che sembra ininfluente, così’ come la NATO, che a dispetto delle esercitazioni, non ha nessuna intenzione di confrontarsi coi russi.
Anche gli USA, per effetto delle contorsioni dell’amministrazione Obama in politica estera, non sembrano in grado di svolgere un ruolo risolutivo.
E la stessa Russia, a dispetto dei muscoli mostrati nella prima fase del confronto, e’ consapevole di giocare una partita piena di rischi e di incognite, soprattutto nel lungo periodo.
Secondo un’analisi presentata dall’allora Presidente Medvedev alla Duma, la Russia sconta tre gap strutturali: una decrescita demografica, la mancanza di un comparto tecnologico all’avanguardia e la dipendenza dell’economia dall’andamento del prezzo del petrolio.
Fattori di freno per qualunque politica espansiva Mosca possa immaginare.
Cosa succedera’, dunque?
Le opzioni sul tavolo sono numerose.
La prima, quella di un ritorno delle aree di Donetsk e Lugansk ad una piena sovranità’ ucraina, e’ quella più improbabile.
Così come una nuova ondata aggressiva russa. Anche la federalizzazione del conflitto, e cioè la nascita di un’Ucraina federale con ampia autonomia della aree russofone, non sembra realistica.
Maggiori probabilità ha il congelamento del conflitto sulle posizioni attuali, senza che nessuna delle parti prenda l’iniziativa di modificare lo status quo fin qui raggiunto. Tuttavia, in questo caso sarebbe necessaria una forza di interposizione in grado di garantire il rispetto dei deboli accordi di Minsk.
Un’ultimo scenario e’ forse quello peggiore, perché lascia spazio all’imprevedibilità della politica interna ucraina, che si sta radicalizzando. Accanto al malcontento popolare per la guerra e la povertà che ne sta conseguendo, si sta verificando un fenomeno da non sottovalutare. La Forze di Sicurezza, militari e paramilitari, si stanno gradualmente trasformando in partiti politici, e nel caso in cui dovessero ricevere consenso popolare, potrebbero trasformarsi in una miccia in grado di riaccendere le tensioni.
Bookreporter Settembre

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