Secondo il protocollo delle Nazioni Unite, per commercio illegale sul traffico d’armi si intende “l’importazione, l’esportazione, l’acquisizione, la vendita, la consegna, il movimento o il trasferimento non autorizzato di armi da fuoco, di loro parti, componenti e munizioni da o attraverso il territorio di uno Stato verso quello di un altro Stato”.
Di conseguenza, il traffico illecito di armi da fuoco è un reato di natura penale. Esso rappresenta, nel più vasto panorama dei traffici illegali, uno dei mercati più ardui da controllare e su cui si possiedono informazioni arbitrarie e frammentarie. La sua ridotta dimensione si spiega ,in primis, a causa dell’assenza, in molti Paesi, di sistemi che possano accertare una raccolta di dati circa il più ampio commercio di armi e di sistemi di controllo in grado di effettuare efficaci movimenti verso altri Paesi. In secondo luogo, a causa dell’esistenza di metodi di valutazione di armi sequestrate dalle forze di polizia che variano da Paese a Paese. Fenomeno, inoltre, legato alla crescente globalizzazione, in questi ultimi anni, esso possiede forniture e tecnologie in grado di far interagire diversi Paesi favorendone le attività.
Punto critico di questo fenomeno è la Libia, la cui crisi prosegue sin dal 2011 nel momento in cui il regime di Moammar Gheddafi cadde in seguito sia a una rivolta popolare ma soprattutto a un intervento militare portato avanti da Francia, Stati Uniti e Regno Unito. Dopo l’intervento militare, si sono susseguite delle amministrazioni incapaci di gestire le varie milizie del Paese, che hanno iniziato a esercitare un potere reale in Libia. Nonostante, nel 2014, vigesse un embargo, le armi hanno iniziato a proliferare. Data la situazione, il Paese, dopo le elezioni, si ritrovò diviso in due amministrazioni: da una parte, troviamo Fayez al-Serraj che ha assunto la guida del Governo di accordo nazionale nel 2016 basato sulla capitale, Tripoli, mentre, dall’altra parte, troviamo il generale Khalifa Haftar, il quale, grazie a un’offensiva, ha ottenuto un controllo su una buona parte della nazione. La crisi libica rimane un punto fisso per l’Ue, decisa ormai a fermare, con un embargo, il traffico d’armi. Si chiama Irini- dal greco ‘pace’- la nuova task force a guida europea per sovrintendere l’embargo di armamenti verso la Libia disposto dalle Nazioni Unite, grazie all’utilizzo di aerei, satelliti e navi. Nata sulle ceneri dell’Operazione Sophia e sotto la guida del contrammiraglio italiano Fabio Agostini, essa potrebbe avere un unico risultato concreto, ovvero, quello di bloccare i rifornimenti della Turchia al governo di Tripoli, di fatto abbandonato a se stesso. Irini, inoltre, potrà riunire informazioni circa il traffico illegale di petrolio e di prodotti raffinati, difatti, in Libia la benzina è sovvenzionata dallo Stato. Altro compito di Irini riguarda anche il potenziamento delle capacità e la formazione della guardia costiera libica nelle attività di contrasto in mare.
La missione, comunque, non deve favorire immigrazione clandestina né deve essere occasione di affari per i trafficanti.