Strategia spaziale europea per la sicurezza e la difesa tra minacce emergenti e applicazione del diritto internazionale umanitario nello spazio.
Sembrano lontani anni luce i tempi in cui la copertina del libro De la Terre à la Lune di Jule Verne raffigurava, nel 1865, la partenza di un simpatico razzo pronto ad affrontare il suo lungo viaggio prefigurando una trasognata e pacifica avventura cosmica. Il secolo successivo ha poi visto la fase più realistica della cosiddetta conquista dello spazio, ispirata più da slancio tecnologico, orgoglio nazionale ed ambizioni di primazia strategica “ultraglobale”, che da curiose esplorazioni spaziali.
Come ricorda un bellissimo articolo di Giovanni Caprara sul Corriere della Sera del 20 luglio 1999 (dono del mio ottantottenne padre), gli astronauti nel 1969 arrivarono “in pace e in nome dell’umanità” e “al di là delle motivazioni avevano vinto la scienza, la tecnologia e la capacità di compiere un balzo gigantesco nella conoscenza. “Far volare il razzo Saturno verso la Luna è stato come costruire il supersonico Concorde dieci anni dopo il primo aereo dei Fratelli Wright”, dissero alla NASA”.
Oggi dobbiamo invece assistere, con sguardo talvolta attonito ed inconsapevole, ad una frenetica ed oscura corsa, dove la sfida non è più verso l’ignoto o verso la conquista di una pacifica supremazia tecnologica ultra mundi, ma è verso la sublimazione dell’interconnessione sociale e verso la pervasività della governance della sorveglianza planetaria.
Ciò è quanto si legge non tra le righe, ma dietro le righe dei documenti delle maggiori potenze spaziali, Europa inclusa, perché qui è la chiave del successo futuro, anche militare, nei possibili scenari – neanche troppo futuribili – di conflitto nello spazio.
Questa breve e forse suggestiva premessa ci introduce ad una breve ma interessante analisi della strategia spaziale dell’Unione Europea del 10 marzo 2023, attuazione diretta della bussola strategica 2022 che, lo ricordiamo, ha definito lo spazio come un settore strategico conteso, la cui sicurezza va garantita anche attraverso la comprensione condivisa delle minacce spaziali.
La risposta a tali minacce che mettono a rischio i sistemi spaziali e le loro infrastrutture di terra, dovrebbe quindi trovare il suo presupposto in una definizione comunemente condivisa del dominio spaziale.
Al fine di meglio comprendere tali minacce, l’Alto rappresentante europeo è stato incaricato di predisporre un’analisi annuale classificata del panorama delle minacce spaziali a livello dell’UE, attingendo all’intelligence degli Stati membri.
Tra le misure concrete, delineate dalla strategia spaziale europea al fine di mobilitare i pertinenti strumenti per rispondere alle minacce spaziali, troviamo:
- estendere l’attuale meccanismo di risposta alla minaccia spaziale, utilizzato per la protezione di Galileo, a tutti i sistemi e servizi spaziali dell’UE;
- individuare e identificare meglio gli oggetti spaziali attraverso l’accesso alle informazioni di sensibilizzazione del dominio spaziale attraverso i pertinenti comandi spaziali nazionali, per caratterizzare i comportamenti inappropriati in orbita e proteggere le risorse dell’UE;
- effettuare esercitazioni spaziali, anche con i partner, per testare e sviluppare ulteriormente la risposta dell’UE alle minacce spaziali ed esplorare meccanismi di solidarietà.
Quanto all’uso dello spazio per la sicurezza e la difesa, la strategia europea, ben conscia della “natura sempre più dual use dei satelliti”, ritiene necessario tenere in debito conto le esigenze di difesa anche nella preparazione dell’evoluzione dei programmi spaziali dell’UE.
Al riguardo, agli osservatori più attenti non sono passate inosservate le proposte di:
- interconnettere meglio lo spazio, la difesa e la sicurezza a livello dell’UE, garantendo sinergie incrociate, in particolare in termini di ricerca e sviluppo;
- proporre misure concrete per promuovere la collaborazione tra le start-up spaziali e della difesa;
- migliorare le competenze relative allo sviluppo di servizi spaziali per la sicurezza e la difesa.
In materia di possibile corsa agli armamenti, appare di grande interesse la posizione espressa al riguardo dalla Commissione Europea il 10 marzo 2023: “L’UE è impegnata a prevenire tale corsa agli armamenti e sostiene attivamente la riduzione delle minacce spaziali attraverso norme, regole e principi di comportamenti responsabili. Allo stesso tempo, l’UE deve far fronte a nuove sfide in materia di sicurezza, anche nel settore spaziale. Attraverso la strategia spaziale per la sicurezza e la difesa, l’UE intende difendere i propri interessi di sicurezza nello spazio. Rendendo pubblica la sua strategia spaziale per la sicurezza e la difesa, l’UE intende mantenere il proprio impegno di trasparenza e quindi rafforzare ulteriormente la fiducia nello spazio extraatmosferico.”
I più diffidenti potrebbero pensare: “excusatio non petita…”, ma in realtà dobbiamo rammentare che le armi non sono solo quelle acquisite per offendere, aggredire, invadere o dominare, ma anche quelle utilizzabili per difendersi legittimamente da tali attacchi, nel solco dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, oltre che dell’articolo 11 della nostra Costituzione.
Tornando al nostro documento dell’Unione Europea, troviamo quindi, in relazione alla corsa agli armamenti, l’ulteriore utilizzo del termine “minaccia” che richiama in modo chiaro i contenuti dell’art. 2 (4) dello Statuto delle Nazioni Unite che si riferisce, appunto, al divieto della minaccia o dell’uso della forza per la soluzione delle controversie internazionali.
Nell’ambito di tale approccio sulla sicurezza, che richiama il divieto dell’utilizzo tanto della forza, quanto della minaccia di uso della stessa, pare collocarsi anche il punto 3 delle Conclusioni del Consiglio sulla strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la difesa del 13 novembre 2023 che:
– rileva che lo spazio extra-atmosferico è sempre più congestionato e contestato e che negli ultimi anni l’ordine internazionale basato su regole è stato messo sempre più alla prova;
- sottolinea che i comportamenti irresponsabili e ostili nel settore spaziale si sono intensificati negli ultimi anni, aumentando il rischio di effetti di ricaduta su cittadini, organizzazioni, industrie e imprese europei;
- ribadisce l’impatto negativo dei test missilistici antisatellite distruttivi ad ascesa diretta (antisatellite), sia sulla percezione della minaccia che sulla generazione di detriti spaziali, il che può ostacolare il libero accesso allo spazio;
- ricorda che l’ultimo test missilistico antisatellite distruttivo russo del novembre 2021, che ha generato un’ingente quantità di detriti spaziali, e l’attacco informatico contro l’infrastruttura di telecomunicazione spaziale di ViaSat, avvenuto nel febbraio 2022 con l’escalation della guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, hanno avuto notevoli effetti di ricaduta, dimostrando la stretta interconnessione tra sicurezza dello spazio e ciberspazio;
- rileva che le minacce alle infrastrutture, ai sistemi e ai servizi spaziali possono essere parte integrante di strategie ibride che combinano intimidazione, destabilizzazione e perturbazioni economiche, e possono avere conseguenze imprevedibili per un’ampia gamma di utenti;
- sottolinea che tali comportamenti incidono sulla sicurezza e la difesa dell’UE, dei suoi Stati membri e dei suoi cittadini.
Il riferimento fatto al test antisatellite russo appare, a chi scrive, di straordinaria rilevanza.
Tale test, annunciato dalle autorità russe a pochi giorni da un importante incontro tra il Presidente degli Stati Uniti e della Federazione Russa sull’Ucraina, stando a quanto riportato il 21 gennaio 2022 dalle autorità cinesi, è passato a soli 14 metri dal satellite scientifico cinese Tsinghua, ad una velocità di quasi 20000 chilometri l’ora. È stato stimato che nell’occasione, i detriti spaziali di dimensioni tracciabili prodotti siano stati circa 1500.
In merito, se taluni possono legittimamente interpretare tale test antisatellite russo come una minaccia circoscritta ad un particolare momento storico-geopolitico, pare tuttavia innegabile che siano stati immessi nell’orbita bassa (entro i duemila chilometri circa dalla terra) – verosimilmente imperituri dei – detriti capaci di originare danni collaterali disastrosi a satelliti di altri Paesi o a future missioni spaziali.
Come affermato dal Prof. Sergio Marchisio, “Il tema della protezione dell’ambiente spaziale è stato ampiamente affrontato negli ultimi anni, e l’interesse sull’argomento sembra essere sempre più elevato. È stato detto, infatti, che l’inquinamento dello spazio extra-atmosferico e la crescente presenza di detriti orbitali di origine umana sono stati considerati dai giuristi, inizialmente come un potenziale fastidio per i satelliti operativi, piuttosto che come una potenziale minaccia per la conservazione dell’ambiente spaziale in sé”.
In realtà siamo ora ben oltre quell’iniziale fastidio tecnico, in quanto ora, oltre alla conservazione dell’ambiente spaziale, si rischia persino il suo stesso utilizzo: questa è la seria e grave minaccia rappresentata dagli space debris intesi come “tutti gli oggetti fatti dall’uomo, inclusi frammenti e relativi elementi, nell’orbita terrestre o rientranti nell’atmosfera che non siano più funzionanti”.
Al riguardo, si rammenta che per quanto inquietante, la sindrome di Kessler è uno scenario possibile, proposto nel 1978 dal consulente NASA Donald J. Kessler, in cui il volume di detriti spaziali che si trovano nell’orbita bassa intorno alla Terra, diventa così elevato che tali oggetti vengono spesso in collisione tra loro, creando così una reazione a catena con un incremento esponenziale del volume dei detriti stessi e quindi del rischio di ulteriori impatti, originando il rischio che il crescente numero di rifiuti in orbita renda impossibile, per molte generazioni, sia l’esplorazione spaziale, sia l’uso dei satelliti artificiali.
Per meglio comprendere la gravità potenziale di tale scenario, pare necessario dare, di seguito, un complessivo ma puntuale sguardo panoramico al diritto pattizio intenzionale vigente in materia.
E’ interessante osservare che i principi enunciati agli articoli I, II e III dell’Outer Space Treaty (OST) del 1967 – che definiscono lo spazio res communis omnium – sono volti al raggiungimento di obiettivi che potrebbero essere seriamente minacciati dalla proliferazione dei detriti spaziali.
In particolare l’art. I dell’OST, prevede che l’esplorazione e l’utilizzo dello spazio extra-atmosferico debbano effettuarsi in favore e nell’interesse di tutti i Paesi, liberamente, senza alcuna discriminazione tra gli Stati, in condizioni di eguaglianza e in conformità al diritto internazionale.
Tale articolo, che individua il principio generale di diritto internazionale secondo cui non vanno lesi gli interessi altrui, posto in sistema con il successivo art. II relativo al divieto di appropriazione, evidenzia in modo chiaro il generale obbligo di non interferenza con le altrui attività. In tale contesto, per illecita interferenza potrebbe intendersi “anche una contaminazione dannosa con la produzione di detriti potenzialmente pericolosi o di sostanze o energie radioattive che mettano in pericolo le attività lecite di altri Stati” e ciò originerebbe una violazione del principio di libera esplorazione e utilizzo dello spazio.
L’art. IX dell’OST è quello che fa un riferimento più diretto ai danni originati dagli space debris e che esprime anche una apprezzabile attenzione per la tutela dell’ambiente.
Tale articolo, oltre ad indicare i principi di cooperazione e di mutua assistenza a cui devono ispirarsi gli Stati, prevede anche che essi debbano evitare qualsiasi tipo di effetto dannoso derivante dalle contaminazioni dello spazio, della Luna e degli altri corpi celesti, oltre a possibili cambiamenti dell’ambiente terrestre attraverso l’immissione di sostanze extra-terrestri. Al riguardo, si evidenzia che la terminologia utilizzata, essendo piuttosto generica, mal si attaglia ad esigenze attuative di tipo “mandatory”.
Con particolare riferimento al concetto di harmful contamination, per dirla con le parole del Prof. Marchisio, la definizione di contaminazione dannosa sembra essere un concetto ampio, che copre tutti i possibili tipi, forme o casi di interferenza dannosa nello spazio, deliberata o non intenzionale allo stesso modo. La nocività mantiene il suo significato ordinario, vale a dire che causa o è in grado di causare un danno significativo. Pertanto, l’articolo IX implica che “deve essere evitata qualsiasi contaminazione che possa arrecare danno agli esperimenti o ai programmi di uno Stato. In questo senso, i detriti spaziali sono una forma di contaminazione dannosa. È vero, tuttavia, che l’articolo IX non specifica in quali circostanze sarebbe necessario adottare misure appropriate o quali misure sarebbero effettivamente appropriate. Tuttavia, sembra corretto ritenere che l’obbligo di adottare tutte le misure appropriate per prevenire un danno, o per minimizzarne il rischio, non può essere limitato alle attività che sono già adeguatamente riconosciute come comportanti un tale rischio, ma si estende anche all’adozione di misure appropriate per identificare le attività che comportano detto rischio. Questo obbligo è di carattere permanente. La due diligence richiede sforzi ragionevoli da parte di uno Stato per informarsi sulle componenti fattuali e scientifiche che si riferiscono a un’attività contemplata e per adottare misure appropriate in modo tempestivo in modo da affrontarle.”.
La seconda parte dell’art. IX prevede poi una “speciale procedura di consultazione” da adottare nel caso in cui uno Stato ritenga che la propria attività possa provocare un pregiudizio potenzialmente dannoso a corrispondenti attività di altri Stati, senza però specificare quali siano le condizioni preliminari per l’adozione delle misure idonee a evitare tali possibili interferenze nocive.
Alla luce del su delineato quadro pattizio internazionale, pare pertanto possibile affermare che il generico riferimento dell’art. IX ad attività non vietate dal diritto internazionale ed il wording (non legally binding) utilizzato per l’avvio della cooperazione internazionale, non possano, purtropppo, garantire con certezza la prevenzione dell’inquinamento dell’outer space.
Ciò sembra evidenziare una criticità del due regard, individuabile nel fatto che lo Stato sia lasciato arbitro di giudicare soggettivamente la situazione e di decidere sull’opportunità o meno delle consultazioni, che potrebbero comunque essere rifiutate.
In materia di giurisdizione e controllo dell’oggetto spaziale, assume rilievo anche l’art. VIII dell’OST secondo cui lo Stato di immatricolazione conserva sotto la propria giurisdizione e controllo l’oggetto (oltre che il personale ivi contenuto) situato nello spazio o su un corpo celeste. Inoltre, l’art. VI prevede che la responsabilità internazionale per le attività intraprese nello spazio da “entità non governative” ricada sullo Stato di lancio, al fine ultimo di definire le responsabilità derivanti da danni causati dagli space debris originati/originabili da industrie private. I cosiddetti “oggetti spaziali” sono menzionati sia all’art. 1, (d) della Convention on Internatonal Liability for Damage Caused by Space Objects del 1972, sia all’art. I (b) della Convention on Registration of Objects Launched into Outer Space del 1975 e sembra condivisibile ritenere che tali Convenzioni siano applicabili anche agli space debris.
Anche l’Agreement Governing the Activities of States on the Moon and Other Celestial Bodies del 1979 si occupa di protezione ambientale obbligando gli Stati a evitare di perturbare l’equilibrio lunare con delle trasformazioni nocive o apportando materiali inquinanti.
Tale Accordo, tuttavia, non contempla specifiche previsioni relative alla mitigazione degli space debris, attesa la scarsa percezione della problematica esistente in quegli anni.
Nel più ampio quadro rappresentato dal diritto internazionale dell’ambiente – e più specificamente nell’ambito del diritto pattizio internazionale non dedicato allo spazio extra-atmosferico ed ai corpi celesti – meritano una speciale menzione ulteriori due Trattati.
Il primo è il Treaty Banning Nuclear Weapon Tests in the Atmosphere, in Outer Space and Under Water, siglato a Mosca nel 1963, meglio noto come Partial Test Ban Treaty (PTBT) che vieta le esplosioni (anche) nello spazio al fine di evitare la disseminazione di detriti spaziali radioattivi che, va osservato, potrebbero assumere anche forme non fisicamente identificabili.
Si noti che, però, tale Trattato – che limita i test nucleari possibili a quelli effettuati nel sottosuolo – non vieta i test di distruzione dei satelliti nello spazio extra-atmosferico con armi nucleari, pertanto di fatto nulla vieta espressamente la disseminazione di spazzatura spaziale radioattiva.
Il secondo è la Convention on the Prohibition of Military or any Hostile Use of Environmental Modification Techniques del 1976 (ENMOD).
La Convenzione in parola proibisce l’uso militare e ogni altro utilizzo ostile delle tecniche di modifiche ambientali aventi effetti estesi, duraturi o severi. In particolare il termine “tecniche di modifiche ambientali” si riferisce ad ogni tecnica finalizzata a cambiare – attraverso la manipolazione deliberata dei processi naturali – la dinamica, la composizione e la struttura della Terra, incluse la sua biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera, così come lo spazio extra-atmosferico.
Questa impostazione introduce, quindi, il divieto di produzione di detriti ambientali derivanti da un utilizzo militare o comunque ostile dello spazio. Non pare inconferente osservare che negli anni ’70 la possibilità che un conflitto armato internazionale potesse estendersi al dominio spaziale sembrava piuttosto remota, ma oggi, purtroppo, la moderna tecnologia satellitare ha imposto una nuova postura alla geostrategia internazionale.
Sembra essere questa, pertanto, la principale ragione per cui solo recentemente il dibattito internazionale ha iniziato ad affrontare problematiche di compatibilità al diritto internazionale umanitario delle summenzionate Anti-Satellites Weapons (ASATs) che possano originare, ad avviso dell’autore, una propagazione di detriti spaziali in potenziale violazione dell’art. 51, para 4 del I Protocollo Aggiuntivo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra che, lo ricordiamo vieta gli attacchi indiscriminati intesi come:
“a) quelli che non sono diretti contro un obiettivo militare determinato;
b) quelli che impiegano metodi o mezzi di combattimento che non possono essere diretti contro un obiettivo militare determinato; o
c) quelli che impiegano metodi o mezzi di combattimento i cui effetti non possono essere limitati, come prescrive il presente Protocollo, e che sono, di conseguenza, in ciascuno di tali casi, atti a colpire indistintamente obiettivi militari e persone civili o beni di carattere civile.”
Dopo aver fatto questa sintetica ma necessaria panoramica del diritto pattizio internazionale vigente in materia di outer space e volendo tornare all’evento del test missilistico russo richiamato espressamente dalle summenzionate Conclusioni del Consiglio sulla strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la difesa del 13 novembre 2023, dovremmo inevitabilmente riflettere sul fatto che lo spazio extra-atmosferico rappresenta davvero un patrimonio comune dell’intera umanità e che risulta pertanto inevitabilmente necessario applicare il diritto internazionale umanitario ad un eventuale conflitto che veda come suo campo di battaglia il cosiddetto quarto dominio.
Giunti a questo punto di approfondimento, sembra ora più che mai pertinente osservare i contenuti del punto 2 del summenzionato documento del 13 novembre 2023 in cui l’Unione Europea:
– riafferma che lo spazio è un bene comune globale, che può essere esplorato e utilizzato liberamente da tutti gli Stati senza alcuna discriminazione, su un piano di uguaglianza e nel rispetto del diritto internazionale;
– ribadisce che il diritto internazionale, in particolare la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale umanitario, è applicabile allo spazio extra-atmosferico;
– ricorda che il trattato sullo spazio extra-atmosferico, gli altri trattati delle Nazioni Unite riguardanti lo spazio extra-atmosferico, a seconda dei casi, e i principi guida sviluppati nel quadro delle Nazioni Unite costituiscono la base della governance globale dello spazio extra-atmosferico e forniscono un quadro essenziale per l’esplorazione e l’uso pacifici dello spazio extra-atmosferico a beneficio di tutti i paesi, indipendentemente dal loro grado di sviluppo economico o scientifico;
– e sottolinea, pertanto, l’importanza che le attività spaziali siano svolte in conformità degli stessi.
L’Unione Europea, quindi, dopo aver parlato di minaccia rinvenibile nell’ambiente spaziale e di pericolosità dei detriti spaziali originati dall’utilizzo di armi antisatellite, richiama i principi fondamentali dell’OST, a cui abbiamo fatto cenno con particolare riferimento all’art. IX, ma afferma anche la piena applicabilità dei principi guida delle Nazioni Unite (leggasi art. 2 (4) dello Statuto dell’ONU) e del diritto internazionale umanitario.
Se allora lo spazio extra-atmosferico è parte dell’ambiente ed è necessario applicare il diritto internazionale umanitario, non possiamo non richiamare nuovamente il Primo Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, che tutela (anche) l’ambiente nei conflitti armati internazionali.
In particolare, l’art. 53, para 3 recita:” È vietato l’impiego di metodi o mezzi di guerra concepiti con lo scopo di provocare, o dai quali ci si può attendere che provochino, danni estesi, durevoli e gravi all’ambiente naturale.” e
– l’art. 55, para 1 sancisce: “La guerra sarà condotta curando di proteggere l’ambiente naturale contro danni estesi, durevoli e gravi. Tale protezione comprende il divieto di impiegare metodi o mezzi di guerra concepiti per causare o dai quali ci si può attendere che causino danni del genere all’ambiente naturale, compromettendo, in tal modo, la salute o la sopravvivenza della popolazione.”
Peraltro, su un piano metropolitano, sembra possibile affermare che l’innovata formulazione dell’articolo 9 della nostra Costituzione vada proprio in questa direzione quando afferma che la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.”
Storicamente, quando nei primi anni settanta, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica firmarono il Trattato sui Missili Balistici (cosiddetto ABM: Anti-Ballistic Missile Treaty) e il Trattato sulla limitazione delle armi strategiche (cosiddetto SALT: Strategic Arms Limitation Talks), basati sulla dottrina della mutua distruzione assicurata, le potenze nucleari dell’epoca giustificarono la non interferenza con i satelliti dell’altra Parte con la necessità di monitorare il rispetto dei summenzionati Trattati.
Ora però tali Trattati sono decaduti e persino il Trattato bilaterale New Strategic Arms Reduction Treaty (cosiddetto START 2), benché valido sino al 2026, è stato sospeso dalla Federazione Russa il 21 febbraio 2023.
In tale quadro, le recenti notizie, per taluni versi allarmanti, riportate dai mass media statunitensi (e non solo) in tema di pericolosità di certe armi nucleari antisatellite russe, riaffermano la necessità imperativa di stabilire regole chiare che limitino mezzi e metodi di combattimento nello spazio, al fine di tutelare non solo l’ambiente extra-atmosferico, ma anche la vita stessa della popolazione civile (sulla terra) che sempre di più è “connessa” alla sicura gestione di satelliti a doppio uso: militare e civile.
Come abbiamo visto, l’Unione Europea, che nel 2024 è chiamata a presentare il suo Space Act, sembra andare nella giusta direzione, anche se la sovranità statale pare estendersi sempre più a sciami di satelliti lanciati, ed in parte gestiti, da privati.
Non possiamo tuttavia nasconderci che a 57 anni dal cosiddetto Trattato sulla Luna del 1967, verosimilmente servirebbe un accordo internazionale dalla diversa portata applicativa.
L’OST ha certamente stabilito il principio secondo cui “States shall not place nuclear weapons or other weapons of mass destruction in orbit or on celestial bodies or station them in outer space in any other manner”, ma, di fatto, non vieta espressamente l’uso di armi antisatellite.
Nell’antico Egitto, Ramsete II per scrutare il nemico aveva le sue spie denominate gli occhi e le orecchie del Re, ma oggi, distruggere o inabilitare anche con operazioni cyber offensive i satelliti della parte avversa durante un potenziale conflitto armato, significa non solo accecare il suo sistema di sorveglianza, ma minare l’intero sistema di comando e controllo delle operazioni militari.
Come sappiamo, non sono vietati neppure i missili ipersonici, capaci di effettuare manovre diversive ad altissime velocità negli strati alti dell’atmosfera, al fine di eludere i sistemi di difesa missilistica convenzionale.
Giunti a questo punto, dopo il nostro breve sguardo oltre il cielo, forse il termine “minaccia” assume contorni meno indefiniti e potrebbe risultarci più chiaro anche il senso della vitale rilevanza strategica costituita da un’architettura di satelliti difensivi posizionati nell’orbita bassa.
Vero è che l’art. 36 del Primo Protocollo Aggiuntivo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra estende la sua portata precettiva alle cosiddette nuove armi capaci di violare i principi cardine del diritto internazionale umanitario, come il principio di distinzione tra satelliti civili e satelliti militari, ma la sicurezza globale, oggi, dipende da molteplici fattori meta-normativi, primo fra tutti, la volontà di ogni Paese membro delle Nazioni Unite di rispettare i principi di difesa della pace e della sicurezza internazionali.
Ed in tale contesto, gli Stati dotati di capacità nucleari, di armi ipersoniche e di missili antisatellite (anche nucleari), parafrasando l’art. 2 (4) dello Statuto delle Nazioni Unite, hanno una “forza minacciosa” che può mettere in gioco, in un attimo, la sicurezza e la vita di tutti.
Manifesto Russel – Einstein docet.
Note.
Sebastiano La Piscopia è laureato in Economia e Commercio, in Scienze Strategiche, in Scienze Internazionali e Diplomatiche ed in Giurisprudenza. Uno dei suoi sette Master è in Istituzioni e Politiche Spaziali. È un Professore universitario e un Colonnello dell’Esercito, già Capo Ufficio Affari Giuridici Internazionali dello Stato Maggiore della Difesa è ora Ufficiale addetto al Procuratore Generale Militare presso la Corte Suprema di Cassazione, Capo Redattore della Rassegna della Giustizia Militare e Membro del Board of Directors della International Society for Military Law and the Law of War.
L’autore, che qui scrive in qualità di libero studioso, solleva la propria Amministrazione da ogni eventuale responsabilità per le idee personali espresse.