Stati Uniti contro Iran: un‘ impasse pieno di tensioni nella cornice del Golfo Persico. Il quotidiano Bloomeberg ha definito gli attacchi alle raffinerie saudite del 14 settembre come il più grande danno ai mercati petroliferi mondiali che sia stato determinato da un singolo evento.
L’offensiva portata a termine da droni ha colpito due impianti petroliferi del gigante Aremco situati entrambi ad est del paese. Si tratta di due delle raffinerie maggiormente produttive: Abqaiq è il più grande impianto di stabilizzazione del greggio al mondo, mentre ad Hijra Khurais vengono prodotti 1,5 milioni di barili al giorno. Stando al Wall Street Journal, le perdite per il mercato economico mondiale derivante da queste offensive sarebbero state di 5 milioni di barili al giorno, cioè circa il 5% della produzione mondiale giornaliera. Sul mandante degli attacchi stanno lavorando l’intelligence saudita con l’ausilio di quella statunitense anche se ufficialmente l’offensiva è stata rivendicata dai ribelli yemeniti Houthi, già resisi protagonisti di altri episodi analoghi negli ultimi anni.
La tensione in Yemen tra ribelli sciiti e il Presidente Abd Rabbih Manṣūr Hādī infatti, e l’appoggio dell’Arabia Saudita a quest’ultimo, ha reso il Regno Saudita oggetto di rappresaglie da parte degli sciiti Houthi, motivo per cui negli ultimi anni si sono verificati vari attacchi ad obiettivi sauditi con droni e missili a corto raggio. Tuttavia, la CNN ha detto di aver ricostruito la traiettoria dei missili, arrivando ad escluderne una provenienza dallo Yemen: i missili sarebbero infatti partiti da nord. Secondo l’emittente americana, gli inquirenti sauditi e americani sono già arrivati a determinare con una probabilità molto alta l’origine dell’attacco.
Le dichiarazioni del Presidente Trump non si sono fatte attendere: «Le forniture energetiche dell’Arabia Saudita sono state attaccate. C’è ragione di credere che conosciamo i colpevoli, siamo pronti e carichi in attesa della verifica, ma stiamo attendendo di sentire dal Regno saudita chi ritiene sia la causa di questo attacco, e in base a quali condizioni procederemo» e ancora: « Stiamo vedendo se l’Iran è dietro a questi attacchi. Non voglio una guerra con l’Iran, cercherò di evitarla, ma gli Usa sono pronti con le migliori armi, jet, missili e altri sistemi».
Dopo gli immediati incontri tra il Segretario di Stato Pompeo e il principe saudita Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd, Trump ha dichiarato che avrebbe inviato all’alleato di Riad dei contingenti militari, rafforzamento della presenza statunitense in Medio Oriente che viene visto in funzione anti iraniana. Il Segretario di Stato alla Difesa Americana Mike Esper infatti ha dichiarato: «Come avete potuto vedere, il regime iraniano sta portando avanti una campagna deliberata per destabilizzare il Medio Oriente », ricordando poi il sequestro delle petroliere nel Golfo Persico, gli attacchi alle navi nel Golfo dell’Oman e l’abbattimento del drone americano a largo delle sue coste.
Altre misure adottate da Trump sono state poi la formazione di una coalizione dei paesi del Golfo col fine di garantire la sicurezza marittima nell’area e di scoraggiare le minacce provenienti dall’Iran, anche se ovviamente numerosi stati europei e non solo si sono dichiarati contrari a tale iniziativa a causa del rischio di alimentare nuove tensioni regionali.
Il Presidente iraniano ha dichiarato di essere estraneo agli attacchi alle raffinerie saudite, ma che l’offensiva dovrebbe essere presa come un avvertimento al Regno di porre fine alla guerra in Yemen. Rouhani ha inoltre fatto notare che sarebbe necessario pensare a una pacificazione tra gli Stati del Golfo senza interferenze da parte di potenze esterne perché «problematiche e pericolose».
La situazione risulta complessivamente tesa perché sono vari i trascorsi tra i tre protagonisti della vicenda, Arabia Saudita, Iran e Stati Uniti: i primi due infatti nella guerra civile in Yemen sostengono e foraggiano le due parti contrapposte, mentre le tensioni tra Stati Uniti e Iran risalgono chiaramente a quando, l’ 8 maggio del 2018, Trump ha deciso di ritirarsi dall’accordo sul nucleare.
Tale mossa ha avuto come conseguenza la frattura dei rapporti tra le due parti, soprattutto perché Trump ha cominciano a porre sanzioni economiche che hanno messo in difficoltà l’economia iraniana. Le sanzioni economiche tra l’altro persistono e proprio in seguito agli attentati agli impianti sauditi ne sono state applicate di nuove alle Banca Centrale Iraniana. Con l’occasione della 74esima assemblea delle Nazioni Unite del 24 settembre, da qualche settimana alcune fonti sostenevano che i due Presidenti Rohani e Trump si sarebbero potuti incontrare a New York, scrivendo una nuova pagina della storia.
A questo scenario, tra l’altro, stava lavorando la diplomazia francese di Macron fin dal vertice del G7 a Biarritz questa estate, ma l’attacco contro le strutture petrolifere saudite sembra aver rimesso tutto in discussione. Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, sostiene che la crisi del Golfo sia attualmente “la minaccia più seria per la pace nel mondo”, l’Onu tuttavia non è sembrata essere determinante in occasione dell’assemblea tenutasi qualche giorno fa, e la situazione sembra restare tesa e bloccata. Ciononostante, i rischi concreti di una guerra imminente non sembrano elevati: malgrado le minacce, Trump fino adesso si è limitato alle sole sanzioni come metodo di repressione, i contingenti militari inviati in Arabia Saudita infatti sono solo a fini difensivi.
Il Presidente americano inoltre non è essere interessato a riaprire una guerra in Medio Oriente, come aveva anche promesso ai suoi elettori, soprattutto non in questo momento quando la questione prioritaria per lui è la campagna elettorale per la rielezione. Un’escalation di tensioni e una guerra tra i Pesi del Golfo è da evitare anche in quanto rischierebbe di scatenare un conflitto devastante e inoltre destabilizzerebbe l’economia mondiale con l’innalzamento del prezzo del petrolio.
Se da un lato però Trump non vuole una guerra, dall’altro non permette neanche la distensione della crisi che ha scatenato lui rinnegando l’accordo sul nucleare; gli iraniani dal canto loro rifiutano qualsiasi contatto con gli statunitensi fino a quanto Trump continuerà a soffocarli con le sanzioni. Nel frattempo, in un impasse che diventa più teso giorno dopo giorno, si avvicina una nuova scadenza: se non ci saranno passi indietro da parte del Presidente Trump prima del 6 Novembre, Rouhani ha annunciato una nuova tappa nella ripresa del suo programma nucleare. L’Iran gioca al rialzo e la guerra dei nervi è totale ormai.
Auguriamoci che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite trovi quanto prima una soluzione; altrimenti aspettiamoci un aggravamento della situazione con gravi rischi per la pace nel Golfo.