L’Africa cinese

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Continuando la nostra panoramica sulla geopolitica cinese e gli interessi internazionali di questo paese, in questo articolo ci soffermiamo sulle relazioni sino-africane e sugli investimenti cinesi degli ultimi tempi.

Innanzitutto, l’attuale presenza cinese in Africa vede le sue radici negli anni della Guerra Fredda, quando Pechino sosteneva parzialmente il gioco dell’Unione Sovietica. In particolare, negli anni ’70, gli ufficiali comunisti iniziarono a strizzare l’occhio alle controparti africane, riconoscendo la futura importanza dei ‘paesi del terzo mondo’, al tempo simili e piú vicini alla crescente Cina piuttosto che all’America capitalista. In quegli anni, l’impegno cinese si concentró su diversi fronti: dalla propaganda anti-occidentale al supporto materiale verso le organizzazioni di matrice indipendentista e panafricana, sino alla spinta verso la privatizzazione del mercato basata su stretti rapporti tra compagnie orientali ed africane[1]. Con la fine della Guerra Fredda ed il sostanziale allontamento di Washington dall’Africa, Pechino inizió un processo di ampliamento e consolidamento delle relazioni con gli stati africani[2].

Un esempio della crescita dell’influenza cinese é rappresentato dall’arena geopolitica per eccellenza: l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Nel 1971, in piena Guerra Fredda, l’Assemblea delle Nazioni Unite chiese il voto dei partecipanti per riconoscere un unico e legittimo governo che rappresentasse il territorio e la popolazione cinese presso l’ONU. Ne uscí vincitrice la Repubblica Popolare Cinese, portando quindi alla rimozione della rappresentanza della Repubblica di Cina guidata da Chiang Kai-shek. In questa votazione, le rappresentanze dell’Africa orientale e del nord giocarono un ruolo importante, favorendo cosí l’entrata della RPC, mentre poco meno di una ventina di stati africani – chiaramente sotto la sfera d’influenza americana, vicina alla Repubblica di Cina – votarono contro il riconoscimento della RPC.

In contrasto con questa panoramica, un’altra votazione altamente simbolica tenutasi nel 2007 ci presenta un assetto geopolitico differente. Nella votazione sulle possibili risoluzioni di condanna delle violazioni dei diritti umani da parte della Corea del Nord – palese alleata cinese – gli stessi paesi africani che difesero gli interessi statunitensi, questa volta si spostarono silenziosamente sulla sponda opposta, quella cinese. Dei 54 stati membri africani, 36 si astennero, 7 votarono contro, ed 11 a favore, sottolineando come l’ago della bilancia in Africa iniziasse a tendere sempre piú verso Pechino piuttosto che Washington[3].

Dietro questo cambio di rotta c’é una sola ragione: miliardi di dollari in investimenti cinesi che spesso assumono la forma di prestiti elargiti da compagnie cinesi verso governi ed enti privati africani. A tal riguardo, osservando i grafici del recente passato é chiaro come il trend delle relazioni commerciali sino-africane sia andato solamente incrementando. Nella prima metá degli anni 90, il commercio tra Cina e Africa é esploso dai miseri 11 milioni di dollari del 1991 a quasi 1 miliardo e mezzo nel 1996, mentre oggigiorno il commercio tra le due regioni presenta bilanci tra i piú imponenti al mondo, con cifre che toccano i 200 miliardi di dollari[4].

Africa, il prossimo futuro

Molti analisti ed esperti reputano il prossimo secolo un’etá dell’oro per il continente africano[5]. A fronte del forte sottosviluppo africano e dei generali miglioramenti delle condizioni di vita a livello globale, non é difficile pensare ad un futuro di prosperitá per un continente che possiede risorse – sia naturali che umane – per diventare una nuova potenza economica. Tuttavia, condizioni strutturali quali corruzione, bassissimi livelli di alfabetizzazione, infrastrutture praticamente inesistenti, ed uno scarso accesso a beni e servizi di prima necessitá, sono alcune delle problematiche piú importanti e complesse alle quali questa regione dovrá presto trovare una soluzione. In questo scenario, la Cina si presenta come un partner commerciale di prim’ordine che puó aiutare a risollevare la situazione in cui versano molti paesi.

In primis, da un punto di vista storico, i rapporti commerciali sono vivaci da millenni[6]. Questa partnership commerciale di lunga data fornisce un fondamento logico e di legittimazione delle relazioni commerciali odierne, evidenziando la continuitá dei rapporti tra i due attori rafforzandone la percezione stessa. Questa vicinanza é stata sottolineata con toni propagandistici in molte occasioni negli incontri tra capi di stato cinesi e africani. Inoltre, con la creazione del Forum per la Cooperazione Cina-Africa (FOCAC) nel 2000, si avvió un percorso di definizione degli obiettivi economici comuni che si basano su commercio, investimenti e la totale distanza di Pechino dagli affari politici delle nazioni africane.

In secondo luogo, ci sono alcuni elementi di continuitá e similitudine nello sviluppo economico di Africa e Cina. Mentra la prima pare si stia affacciando ad un periodo di crescita economica, la seconda ne é appena uscita e sta ora riassestandosi su quelli che sono gli standard di crescita di un paese sviluppato. In questo continuum, é correntemente in atto un simbolico passaggio del testimone che riguarda la produzione manufatturiera, la quale si sta spostando dall’Asia all’Africa. In quest’ottica, la Cina, in qualitá di colosso manifatturiero ‘in uscita’, é ancora in grado di offrire prezzi decisamente inferiori rispetto a quelli americani o europei, rendendo quindi la relazione commerciale sino-africana piú integrata e apparentemente vantaggiosa per entrambi.

Infine l’evoluzione dell’economia cinese dal settore secondario a quello terziario, fa sí che il vastissimo mercato africano sia ora oggetto non solo dell’esportazione di merci cinesi, ma che diventi teatro ultimo anche dei servizi offerti dalle compagnie cinesi che si sono stabilite sul mercato africano ed internazionale (il settore della telefonia mobile, ad esempio, é posseduto per circa il 25% da una compagnia cinese[7]). Una panoramica complessiva vede le importazioni cinesi concentrarsi su risorse naturali quali petrolio, terre rare e metalli preziosi, i quali provengono da diversi stati tra i quali spiccano Ghana, Sud Africa, Angola e Libia[8]. Per quanto riguarda le esportazioni invece, i beni cinesi principalmente esportati sono prodotti elettronici e chimici, tessuti e macchinari industriali, agricoli e per il trasporto. I destinatari principali, in questo caso, sono rappresentati dai paesi piú ricchi, quali Egitto, Kenya, Nigeria e Sud Africa.

Gli investimenti cinesi e la BRI

Oltre agli stretti rapporti commerciali, il governo cinese non si é fatto sfuggire alcuna occasione per investire in Africa. Nell’arco degli ultimi 17 anni, Pechino ha investito piú di 200 miliardi di dollari in Africa[9], finanziando migliaia di progetti e portando molti a temere l’espansionismo asiatico ed a definirlo ‘neo-colonialismo’. Esempi degli investimenti cinesi si possono osservare in Kenya, dove compagnie cinesi hanno investito 3.2 miliardi di dollari per collegare Nairobi e Mombasa via ferrovia, in Guinea Equatoriale, dove sono stati investiti circa 500 milioni di dollari per costruire una diga che ha reso l’area energicamente indipendente, ed in Nigeria, dove invece il governo cinese ha investito su piú di 400 progetti tra il 1998 ed il 2012[10]. Nonostante l’Africa orientale sia centrale negli sviluppi della Nuova Via della Seta, anche il resto del continente ha visto ingenti investimenti, portando le popolazioni locali a vedere sempre piú di buon occhio le controparti cinesi ed i relativi miglioramenti che apportano al continente[11].

La mole degli investimenti cinesi é incredibilmente complessa e difficile da analizzare anche data la poca trasparenza che da sempre caratterizza i governi africani (e le compagnie cinesi). Tuttavia, si possono suddividere gli investimenti asiatici in due filoni principali: da una parte ci sono gli investimenti diretti esteri, solitamente eseguiti per mezzo di compagnie legate da un filo diretto al governo cinese, e dall’altra ci sono una miriade di aziende private, di ogni dimensione e tipo, che investono le proprie risorse direttamente sul territorio africano. Infatti, uno studio del 2017 condotto dalla compagnia di consulenza McKinsey, riporta piú di 10.000 compagnie attive nel mercato africano, sottolineando come la ‘corsa all’Africa’ tenga ancora banco tra gli imprenditori cinesi[12].

Dietro i miliardi di investimenti in Africa, si cela un nome su tutti: la China Export-Import Bank. Per mezzo dei prestiti elargiti da questa banca, che prendono spesso forma di investimenti diretti esteri, il governo cinese punta a sostenere la propria soft power nella regione africana senza andare a forzare troppo il polso africano – almeno al momento. Infatti, sebbene le cifre investite siano considerevoli e gli investimenti stessi altamente rischiosi, il colosso bancario cinese non applica tassi di interesse fuori dalla norma.

La ragione é semplice: l’Africa rappresenta la nuova fonte di sostentamento per l’economia cinese che, dopo decenni di crescita, si sta avviando verso una naturale stagnazione data dal raggiungimento di standard economico-sociali sempre piú alti. Dall’altra parte, questo continente ancora cosí sottosviluppato su molteplici fronti, necessita di attirare a sé gli interessi di nazioni dai portafogli piú capienti. Il continente africano offre tutti gli ingredienti per uno sviluppo sfrenato: forza lavoro a basso costo, alta concentrazione di risorse naturali, vaste aree territoriali ancora incontaminate e soprattutto la mancanza di forti istituzioni saldamente e democraticamente al potere.

Chiaramente, questo approccio ‘neo-colonialista’ ha allarmato le potenze occidentali, non solo per i futuri risvolti geopolitici, ma anche data la mancanza di interesse da parte delle istituzioni cinesi nel rispetto dei diritti umani e nella presenza di un governo democratico con il quale concludere affari. In parole povere, Pechino se ne lava le mani dei risvolti politico-sociali ed ambientali dei propri investimenti, anche se sotto questa voce, i governi occidentali non sono – né sono stati – dei perfetti esempi da seguire.

I lati negativi dell’espansionismo cinese

In diverse occasioni l’espansionismo privato o statale cinese ha provocato diversi grattacapi alle istituzioni africane. Ad esempio, sia la bassa tutela ambientale da parte delle compagnie asiatiche[13], che il basso impiego di manodopera africana (le voci a tal riguardo sono discordanti[14]), sono spesso causa di contrasti tra popolazione autoctona ed immigrati cinesi. In aggiunta, pratiche di disboscamento illegale hanno causato danni ingenti a popolazioni e comunitá locali, che si sono viste sottrarre risorse vitali e terreni prima dai governi pseudo-democratici negli anni del dopoguerra, ed ora da compagnie estere di ogni nazionalitá e tipo. Sebbene fortemente guidate da guadagni e risorse disponibili, molte compagnie cinesi si sono adoperate per migliorare il bilanciamento tra sviluppo e protezione ambientale per mezzo di diverse iniziative, che tuttavia rimangono sterili date politiche poco chiare e alle volte contrastanti.

Di ben altra natura é invece la cosidetta ‘trappola del debito’, elemento cruciale in questo progetto cinese ed altra ragione per la quale i tassi di interesse cinesi non sono estremamente alti. A fronte di questi ingenti investimenti cinesi e di una capacitá di rimborso del debito africana alquanto bassa – almeno da un punto di vista storico -, ci sono timori che quanto successo in Sri Lanka possa ripetersi anche in Africa. In questa occasione, le compagnie cinesi che avevano investito nella costruzione del porto di  Hambantota hanno recentemente siglato un accordo che prevede l’affidamento a loro del porto stesso per circa un secolo, il tutto a fronte del mancato pagamento degli investimenti da parte del governo di Colombo. Sebbene anche in queste circostanze le voci a riguardo siano tante e discordanti, bisogna sottolineare come questa evenienza possa non essere cosí lontana dalla realtá per il continente africano[15].

Mentre alcuni autori ritengono che gli aiuti cinesi stiano contribuendo ad un effettivo e sostanziale sviluppo, molti altri pensano che la morsa di Pechino andrá via via ad essere piú gravosa sugli stati che hanno ricevuto investimenti – o forse debiti – da parte del gigante asiatico.

Indubbiamente certi contratti presentano termini decisamente vantaggiosi per le controparti cinesi, ma questi investimenti offrono un’opportunitá piú unica che rara che molte potenze occidentali hanno poche intenzioni – o risorse – di avanzare. In questa continua spinta all’investimento, il governo cinese e gli stati africani rappresentano fino a prova contraria due risvolti della stessa medaglia: spinta allo sviluppo e modernizzazione a tutti i costi. In tutto ció, quanto viene lasciato da parte é il mondo politico, che soffre ancora di grandi lacune. Se incanalate nella giusta direzione, queste opportunitá potranno avere grandi risvolti positivi, ma date le condizioni odierne dei sistemi politici africani, é difficile prevedere un futuro roseo.

Difatti, la narrativa centrale di Pechino che presenta gli interessi cinesi circoscritti agli aspetti economico-commerciali e lontani dalla sfera politica africana é a dir poco fallace. Da che mondo é mondo, per quanto le due sfere (economia e politica) siano differenti, sono anche estremamente connesse. Se anche le recenti generazioni di investitori e imprenditori cinesi stessero cercando del loro meglio per rimanere al di fuori degli aspetti politici del continente, é difficile non presagire un futuro dove il Dio denaro sia dietro a moltissimi risvolti politici e non, cosí come é giá successo in passato. Quanto accaduto recentemente in Italia (caso Siri), Austria (con le dimissioni del vicecancelliere austriaco, probabilmente vicino ad autoritá russe) Stati Uniti (da Nixon a, probabilmente, Trump) e Cina (con le recenti purghe interne al Partito Comunista), potrebbe facilmente succedere anche in Africa.

La ciliegina sulla torta é infine rappresentata dal ritorno silenzioso ma strategico della Russia nel continente, dove militari e dirigenti politici russi stanno formando milizie e politici africani[16]. In un teatro dove gli U.S.A. sono la potenza in uscita dall’Africa, la Russia sta tornando prepotentemente con forti presenze in Centrafrica e Africa orientale e la Cina é via via sempre piú presente economicamente e militarmente, c’é solo da aspettarsi che il meglio – o il peggio – debba ancora venire.

[1] Roberta Alonzi. “La Diplomazia Cinese in Africa Tra Ideologia e Anti-Ideologia: Economia, Soft Power e Nuovi Paradigmi Strategici.” Rivista Di Studi Politici Internazionali, vol. 78, no. 2 (310), 2011, pp. 225–253. JSTOR

[2] Richard J. Payne and Cassandra R. Veney. “China’s Post-Cold War African Policy”. Asian Survey, Vol. 38, No. 9 (Sep., 1998), pp. 867-879

[3] https://www.economist.com/graphic-detail/2016/04/14/diplomacy-and-aid-in-africa

[4] http://www.sais-cari.org/data-china-africa-trade

http://english.mofcom.gov.cn/article/statistic/lanmubb/AsiaAfrica/201901/20190102831255.shtml

[5] https://qz.com/1550626/chinas-investment-will-allow-africa-to-lead-the-22nd-century/

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/vision-africas-future-21417

https://www.mckinsey.com/featured-insights/middle-east-and-africa/africa-mapping-new-opportunities-for-sourcing

[6] https://oxfordre.com/africanhistory/view/10.1093/acrefore/9780190277734.001.0001/acrefore-9780190277734-e-68#acrefore-9780190277734-e-68

[7] https://www.weforum.org/agenda/2018/09/three-myths-about-chinas-investment-in-africa-and-why-they-need-to-be-dispelled/

[8] http://www.sais-cari.org/data-china-africa-trade

[9] http://www.sais-cari.org/chinese-investment-in-africa

[10]https://watermark.silverchair.com/lhw049.pdf?

[11] https://chinapower.csis.org/global-views/

https://www.ilfoglio.it/esteri/2019/02/07/news/la-campagna-dafrica-236658/

[12]https://www.mckinsey.com/~/media/McKinsey/Featured%20Insights/Middle%20East%20and%20Africa/The%20closest%20look%20yet%20at%20Chinese%20economic%20engagement%20in%20Africa/Dance-of-the-lions-and-dragons.ashx

[13] https://www.bbc.com/news/av/world-africa-21960772/ghana-arrests-chinese-suspects-in-illegal-mining-crackdown

[14] https://foreignpolicy.com/2015/12/04/5-myths-about-chinese-investment-in-africa/

[15] https://www.scmp.com/comment/insight-opinion/article/3008799/truth-about-sri-lankas-hambantota-port-chinese-debt-traps

[16] https://www.bbc.com/news/world-45035889

https://www.nytimes.com/2019/03/31/world/africa/russia-military-africa.html

https://www.bbc.com/news/av/world-africa-47830161/did-russia-meddle-in-magadascar-s-election

Bookreporter Settembre

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