La coincidenza tra la decisione dei Sauditi e dei loro principali alleati di rompere le relazioni con il Qatar per un suo presunto avvicinamento all’Iran e i due attacchi terroristici avvenuti a Teheran ha spinto alcuni commentatori a legare i due fatti come conseguenza l’uno dell’altro. L’abbinamento è tuttavia particolarmente improbabile poiché gli attentati contro il mausoleo di Khomeini e il Majlis (Parlamento iraniano) sono stati così ben coordinati tra loro e tanto articolati nell’esecuzione da escludere che possano essere stati organizzati in pochi giorni. L’uso di fucili d’assalto, la scelta dei luoghi e del momento, la trasmissione via video in diretta degli avvenimenti da parte degli assalitori lasciano pensare a qualcosa in preparazione da qualche tempo, ben prima che Trump pianificasse il suo viaggio in Arabia Saudita e rilanciasse l’”asse” contro l’Iran.
Nonostante si ripeta continuamente che è la prima volta che la Repubblica degli Ayatollah sia oggetto di attacchi terroristici, ciò non corrisponde a verità. Seppur da alcuni anni non si registrassero eventi simili, episodi terroristici non sono nuovi in alcune parti del Paese e specialmente nel Kurdistan iraniano o e nella provincia del Sistan-Belucistan. L’ultimo attentato avvenuto nella capitale risale al 2001 e fu opera di un gruppo terroristico interno, i Mujahiddin- e- Khalq (conosciuti anche come Mujahiddin del Popolo facenti capo a Marjam Rajavi, autoesiliatasi in Francia).
Costoro sono un’organizzazione di militanti d’ispirazione islamico-comunista che partecipò alla rivoluzione contro lo Scià, ma fu poi emarginato da Khomeini e si dette alla macchia riunendo poi la maggior parte dei propri militanti nel vicino Iraq. Oggi, i suoi seguaci rimasti nel Paese sono pochi e la popolazione iraniana li disprezza come traditori per la collaborazione da loro data a Saddam Hussein durante gli otto anni di guerra tra i due vicini. Pur tuttavia sono ancora attivi, con una rete segreta di seguaci evidentemente ben introdotta in posti chiave dello Stato, tanto da essere stati loro a rendere noto alla comunità internazionale l’esistenza del progetto nucleare iraniano e provocare, di conseguenza, le reazioni che portarono dapprima alle sanzioni e poi all’accordo dei 5+1 sottoscritto durante la Presidenza Obama.
Anche nel 2008 Teheran fu colpita da un atto terrorista con un’esplosione in un sobborgo della città che causò almeno quindici morti. In quel caso non ci furono rivendicazioni e mai si scoprì la natura degli attentatori, ma i sospetti furono indirizzati verso Israele che avrebbe colpito un convoglio supposto trasportare armi destinate a Hezbollah libanese.
L’ISIS è un naturale nemico dell’Iran e il loro confronto diretto è sui campi di battaglia in Siria e Iraq ove, almeno ufficialmente, sono i Pasdaran e non l’esercito ufficiale a combattere. Per quanto le differenze religiose siano un puro pretesto per scopi più prettamente politici, la ragione formale dell’ostilità’ tra i due è l’”apostasia” del regime sciita degli Ayatollah contrapposto alla “purezza” sunnita del “califfato”. Agenti dello “Stato Islamico” avevano già cercato di agire nel passato contro il regime iraniano, ma un loro “emiro” nel Paese era stato identificato e ucciso mentre undici possibili terroristi erano stati arrestati nel settembre 2016 mentre facevano incetta di armi ed esplosivi, forse proprio per realizzare quanto poi verificatosi lo scorso 7 giugno. Nel marzo di quest’anno i media dell’ISIS diffusero un video in lingua farsi nel quale invitavano i sunniti iraniani (il Paese, seppur a maggioranza sciita, comprende minoranze di altre religioni tra cui sunniti, cristiani, ebrei e zoroastriani) a ribellarsi e colpire organi governativi.
Occorre qui aggiungere che la stragrande maggioranza della popolazione iraniana, pur divisa su varie etnie, nutre un forte sentimento patriottico d’identità nazionale e ogni tentativo esterno di fomentare divisioni tra i vari gruppi è sinora caduto nel vuoto.
L’attacco delle scorse settimane ha avuto il duplice effetto di rinsaldare i legami interni alla popolazione comune ma di accentuare le divisioni tra conservatori e moderati. Nonostante i terroristi fossero evidentemente seguaci dello Stato Islamico, il Governo del Presidente Rohani appena rieletto, per tacitare le proprie opposizioni, dovrà alzare i toni contro i vicini nemici sauditi e contro gli Stati Uniti. Infatti, la prima reazione di molti deputati, nonostante il Presidente del Parlamento Larjani cercasse di minimizzare, è stata il cantare “Morte all’America”.
Le Guardie Rivoluzionarie, uscite pesantemente sconfitte dalle ultime consultazioni elettorali, troveranno in questi attentati la scusa per rilanciare contro Rohani le accuse di troppa accondiscendenza verso i “nemici della rivoluzione”, per aver sottoscritto un patto che riduce la sovranità del Paese e aver così lasciato spazi ad azioni terroriste come quelle capitate. Poco importa che la sicurezza del Paese e i servizi d’informazione dipendano da loro e che quindi proprio ai Pasdaran andrebbe imputata l’incapacità di prevenire quei sanguinosi eventi.
La necessità di rispondere visibilmente all’attacco subito obbligherà il Governo ad aumentare l’impegno in Siria e in Iraq contro lo Stato Islamico e per farlo non potrà che appoggiarsi agli stessi Pasdaran, ridando loro uno spazio politico che sembrava in caduta libera. Che questo, cioè la maggior conflittualità politica interna, fosse uno degli obiettivi dei terroristi è probabile. Così com’è certo che il simbolismo dei luoghi scelti per gli attentati, la tomba del fondatore dell’attuale Repubblica e l’organo costituzionale più rappresentativo, servivano a mostrare la vulnerabilità dello Stato e rinfrancare le schiere dei guerriglieri del “califfato”demoralizzati dalle continue sconfitte sul campo di battaglia.