La Cina è vicina. Più di quanto essa stessa voglia farci credere.
Mentre in Europa si fa a gara per esaltare il fantomatico impatto positivo della “Nuova Via Della Seta” sulle nostre economie, mentre alcuni ministri corrono a Pechino per implorare acquisti di BOT nazionali, mentre tutti non notano (o sottovalutano) gli enormi investimenti cinesi nel settore militare, ebbene: mentre tutto questo accade la marea “gialla”, lentamente e discretamente, si estende in ogni parte del mondo.
E’ già stato ricordato su queste pagine come in cambio di finanziamenti in settori strategici alcuni Stati centro americani abbiano rinnegato i loro rapporti con Taiwan e sposato la politica della “One China” voluta da Pechino. Nel Giugno 2017 lo fece Panama. Lo scorso maggio la Repubblica Domenicana e in agosto El Salvador.
Altri Stati della regione lo avevano fatto in precedenza tanto che, per cercare di fermare la valanga, la Segreteria di stato statunitense aveva dovuto dare un segnale di disapprovazione richiamando in patria i suoi diplomatici. Il vice presedente Mike Pence ha perfino lanciato un avvertimento su quanto fosse controproducente per loro avvicinarsi troppo alla Cina.
Dell’invadente presenza in Africa si sa da lungo tempo e della campagna di acquisti e di penetrazione in Europa (in Italia l’ultimo acquisto importante riguarda la Candy) Francia e Germania hanno cominciato a rendersene conto. La fine che faranno le società acquistate da stranieri dovrebbe essere chiaraanche a noi dopo aver visto cosa sta succedendo alla Pernigotti: vi si prelevano il marchio, il Know-how e, a volte, anche i macchinari. Poi, le si spolpa della rete commerciale internazionale e, se va bene, si lascia in Italia solo una piccola unità commerciale.
L’area del mondo dove le vere ambizioni cinesi diventano ancora più evidenti è però nel sud dell’estremo oriente. In quella zona le manovre di Pechino hanno già mostrato il loro lato bellico. Molte isole nel Mar Cinese meridionale sono state occupate da militari di Pechino nonostante altri Paesi ne rivendicassero la sovranità. Si tratta delle isole Spratly, della Paracelso e perfino di quei banchi di sabbia chiamati Scarborough Shoal. In ognuna di loro sono state costruite basi militari che servono da deterrente contro eventuali pretese di quegli Stati che avevano creduto di esserne titolari. Ove si trattava soltanto di piccoli scogli, si sonoingranditi artificialmente in modo da potere affermare che attorno a loro esiste un’intera area marittima di competenza. La loro importanza è dovuta al valore strategico e anche commerciali che quelle zone rivestono. Oltre a garantire un controllo sui passaggi di ogni tipo di naviglio, i loro fondali sono ricchi d’idrocarburi e tutta la zona costituisce un enorme bacino di pesca che rimarràesclusiva potestà dei pescherecci cinesi. Anche lo stretto di Malacca, finora apparentemente escluso dagli interessi cinesi, è stato recentemente dichiarato parte di quella “frontiera strategica” che Pechino giudica il perimetro territoriale indispensabile per garantire la propria sicurezza militare.
E’ inutile che Malesia, Filippine, Taiwan, Vietnam e, più a nord, Giappone protestino. Ed è anche ininfluente che gli americani lancino esercitazioni nella zona assieme alla Gran Bretagna e alGiappone. Altrettanto inutile che i B-52 americani sorvolino l’area a scopo dimostrativo. Pechino sa benissimo che gli Stati Uniti non oseranno intraprendere azioni belliche che potrebbero innescare la reazione di un Paese che è potenza nucleare.
Gli Stati Uniti possono soltanto limitarsi a dichiarare la loro intenzione di garantire la libertà di navigazione ma i Cinesi sonosufficientemente saggi da procedere soltanto a tanti piccoli passi per volta, ben attenti a non fare nulla che, da solo, possa giustificare una risposta militare americana.
La Cina di Xi si muove seguendo i dettami di Deng Xiao Ping che raccomandava di operare su tempi lunghi e mantenendo un profilo più basso possibile. Le parole d’ordine di Pechino parlano soltantodi operazioni commerciali che sono sempre presentate come win-win a tutti gli interlocutori.
Consci dell’importanza di come le loro azioni possano essere percepite dalle opinioni pubbliche degli altri Paesi e di come i media le influenzino, hanno cominciato da qualche tempoun’opera di manipolazione degli organi di stampa stranieri. Anche in Europa, così come negli Stati Uniti, tali operazioni sono in atto da qualche tempo e mirano a creare consenso presentando il Paese come ispirato solamente da un approccio multilaterale e “generoso” verso i terzi.
Contemporaneamente, attuano psicologiche per intimidire i potenziali Governi nemici e costringerli (dolcemente) a conformarsi agli interessi cinesi. Tutti gli strumenti sono usati: quello culturale, quello diplomatico, quello economico/finanziario, e, ove necessario, quello paramilitare. Quest’ultimo, e più esattamente la propria Guardia Costiera, è quella che ha consentito di imporre gradualmente il proprio controllo su tutto il Mar Cinese meridionale inibendo la risposta degli Stati coinvolti. Se quegli stessi Paesi oggi vogliono pesce, petrolio, sicurezza e investimenti economici, farebbero meglio a rinunciare ai loro legami privilegiati con gli Stati Uniti e accordarsi con il Regno di Mezzo.
Che la manipolazione dei media sia già attuata su vasta scala è dimostrato da recenti inchieste della magistratura condotte in Australia, Nuova Zelanda e Taiwan. Tali interventi in Europa per ora sono ancora sotto traccia ma che siano cominciati è rilevabile da un’attenta lettura dei nostri mezzi d’informazione che non mancano di esaltare i “benefici” degli investimenti cinesi e tacciono sui veri obiettivi di Pechino.
Per ben capire a cosa miri realmente la Cina basti un accenno a quella che è la “dottrina militare cinese” ufficiale. In quel documento si dice che Pechino punterebbe, in caso di conflitto, a una guerra locale basata su informatizzazione e alta tecnologia in cui giocherebbero un ruolo cruciale le locali infrastrutture. Sono gli stessi studi americani a identificare la creazione di aree in varie parti del mondo che potrebbero essere la base locale per l’utilizzo di missili, radar, sensori e altre tecnologie miranti a impedire l’acceso e la libertà di movimento di eventuali nemici. E’ leggendo quel documento che si spiega il perché di tanti investimenti, apparentemente generosi, in porti, aeroporti, strade e altre infrastrutture finanziale dai cinesi in tutte le parti del mondo. Purtroppo c’è ancora qualcuno che crede che la “Nuova Via della Seta” (One Belt, One Road) sia solo un’operazione economica.