Gli scontri tra esercito e separatisti sono tornati ai livelli precedenti a febbraio. Sul fronte interno, l’accordo appare lontano. Sul fronte internazionale, Nato e Russia continuano a mostrare i muscoli.
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Complici le miti temperature estive, il conflitto nell’Ucraina orientale è tornato ad essere cruento. L’avvicinarsi dell’inverno, con la questione delle forniture di gas che tornerà centrale nell’agenda di tutti i Paesi europei, acuisce i sintomi di un’ulteriore intensificazione delle violenze. Il 3 agosto scorso, tre soldati dell’esercito di Kiev sono morti a seguito degli scontri con i separatisti. In contemporanea, si è materializzato il fallimento dei negoziati per la costituzione di una zona cuscinetto tra i gruppi di contatto degli accordi di Minsk 2.
I sintomi di una escalation di violenze, appunto. Di natura interna, tra gli ucraini, che chiedono la deposizione delle armi ai filorussi in cambio di concessioni autonomiste nella carta costituzionale, e i separatisti, intenzionati a non cedere e a volere partecipare al processo legislativo.
Di natura internazionale. Come rigurgiti di una Guerra Fredda tornata di attualità, la guerra civile ucraina non è altro che il terreno di una resa dei conti a livello internazionale. Con la Nato, intenzionata ad intensificare sempre di più l’apporto di unità speciali nei Paesi dell’Est Europa. Con Stati Uniti e Unione Europea, decisi a non cedere sulle sanzioni nei confronti di Mosca. Con la Russia, infine, determinata ad uscire dal progressivo isolamento rispetto ai partner occidentali.
La guerra a colpi di sanzioni economiche potrebbe spingere il Cremlino a non retrocedere. L’aumento del numero di addestramento dei separatisti del Donbass ne è un chiaro indicatore. Infine, i rapporti privilegiati con Siria e Iran, i nuovi canali economici e commerciali istituiti con Cina e India, potrebbero indurre Washington ad ammorbidirsi. La degenerazione del conflitto ucraino e la conseguente caduta nel caos del Paese sono dietro l’angolo.
Giacomo Pratali
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