Calvino diceva che “leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà”. E io non lo sapevo, quando ho aperto “Io sono la bestia”, il primo romanzo di Andrea Donaera pubblicato nel 2019 dalla Casa Editrice NN. Poi l’ho iniziato (e terminato in poche ore) ed è stato un viaggio veramente particolare. E quando ho finito non sapevo che dire, per cui non ho detto nulla, perché a volte, di fronte a tanta ferocia e a tanta disperazione, basta qualche silenzio. Quindi sono stata zitta, sono rimasta in questo posto disumano, straziante e spietato. Perché da certe storie non ne esci e infondo va bene così.
È stato per me un onore, oltre che un’esperienza bellissima, intervistare Andrea Donaera, una delle voci più autentiche del panorama italiano contemporaneo, in occasione della XXXIV edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, allo stand NNEditore.
Ecco cosa mi ha raccontato:
Partirei dal principio: “Io sono la bestia” è il tuo primo romanzo. Io ho letto e amato entrambi i tuoi libri. Il primo, in particolare, l’ho definito un pellegrinaggio nel dolore. Una prosa bellissima, feroce e disperata. Come nasce questa storia dentro di te?
“Io sono la bestia” è nato lentamente e ci sono voluti molti anni. Avevo realizzato un abbozzo di questa storia già nel 2014 sotto forma teatrale, ma la sentivo dentro come se dovesse dilatarsi. Un po’ come quando hai in bocca un pezzo di ghiaccio e senti che piano piano si scioglie, qualcosa del genere. Avevo il desiderio di portare alla luce un immaginario da sempre legato alla mia infanzia e alla mia giovinezza, storie che mi raccontavano da ragazzo: La Sacra Corona Unita, la mafia. Volevo riuscire a creare una narrazione coerente con quel mondo criminale negativo, in qualche modo quasi favolesco, che mi circondava. E quindi nel 2017 mi trasferisco a Bologna e inizio a scrivere il romanzo, in seguito ad uno shock linguistico: mi rendo conto, infatti, che penso soltanto in dialetto, e mi rendo conto che voglio capitalizzare questa cosa, il fatto che riesco a scrivere solo pensando in dialetto. Traduco quindi mentalmente il personaggio di Mimì dal dialetto all’italiano, ed esce fuori questa prosa che in realtà non è una prosa inventata, ma un processo di traduzione vero e proprio. Quindi questo mio legame “territoriale” con quella genealogia della Sacra Corona Unita ed il legame con la lingua, hanno portato alla necessità di far nascere il romanzo.
Quindi hai sentito l’esigenza di dover scrivere in dialetto, che appunto è molto presente nel romanzo, giusto?
Si, dal punto di vista linguistico è stato proprio uno scoprire che si può fare letteratura anche se l’italiano non è la tua lingua madre.
“Io sono la bestia” è anche un viaggio introspettivo nell’animo umano, per dimostrare quanto possa essere brutale, animalesco, cattivo, alle volte. Chi è la bestia?
Il messaggio del romanzo voleva essere anche un po’ questo: io credo che ci sia una parte bestiale un po’ in tutti noi. E in questo mi ha molto aiutato una mia passione, che è la filosofia. Schopenhauer spiega che noi regrediamo al punto zero dell’umanità quando diamo spazio solamente ai nostri due motori istintuali: il volersi salvare la vita a tutti i costi e il voler amare e riprodursi a tutti i costi. Quando una persona non è in grado di fare altro oltre queste due cose, retrocede a questo grado zero, a questa bestialità. E nel mio romanzo tutti i personaggi sono retrocessi a questo livello: qualcuno vuole solo amare, qualcuno vuole salvarsi la vita, altri, invece, vogliono fare entrambe le cose, ma non c’è altro che questo.
Facciamo un salto in avanti e arriviamo a “Lei che non tocca mai terra”, il tuo secondo romanzo, candidato anche al Premio Strega 2022. Una storia d’amore, quella tra Miriam e Andrea, ma anche una storia di legami familiari, di segreti, di magia. Una storia con vari protagonisti, uno dei quali, appunto, porta il tuo nome. Parlaci di lui. Chi è Andrea? E quanto porta di te, dentro di sé?
Mi piace che tu abbia usato le parole “amore” e “magia”, perché vorrei parlare proprio di queste cose.
Magia, certo. Ricordiamo che hai aperto da poco la tua libreria, che si chiama appunto “Macarìa. Libri e altre magie”. È una tua passione?
Diciamo che mi piace immaginare la letteratura come un atto magico. Pensiamo all’inglese: si dice “to spell”, cioè “fare lo spelling” e quindi dire le cose, ma anche “to cast a spell”, per dire “lanciare un incantesimo”. Questo insieme di cose mi suggestiona molto, perché per me scrivere è anche un po’ questo, “evocare dal nulla”, “generare qualcosa di nuovo con le parole”.
Ad ogni modo, il personaggio di Andrea con me ha a che fare soltanto dal punto di vista linguistico, e cioè la parte del nome. In generale “Lei che non tocca mai terra” è un romanzo che ha a che fare profondamente con la mia vita, ma non con la mia biografia. Questa è una grande differenza. Andrea prima si chiamava in un altro modo. A un certo punto, però, mi sono bloccato e non riuscivo più ad andare avanti con la scrittura. E allora il mio migliore amico mi ha chiesto di immaginare che fossi io; un po’ come quando i bambini giocano a “facciamo che io ero il medico, facciamo che tu eri il malato”. E allora: facciamo che io ero il protagonista di questo romanzo! E quindi è nato questo gioco, che ha alleggerito molto la scrittura. E mi sono reso conto di quanto in realtà questa storia avesse a che fare col mio vissuto, con la mia inadeguatezza, con la mia difficoltà di essere nel mondo, con il mio non essere mai stato in grado di dichiarare i miei sentimenti; mi sono reso conto che tutte queste cose entravano in questo personaggio.
Credo che la ricerca di sé passi inevitabilmente per la scrittura, e che questa spesso sia quindi implicitamente autobiografica.
Si, certo, ma di vita, più che di biografia. Non ci sono dentro fatti della mia esistenza. Sono brandelli di identità, come se il mio io fosse deflagrato in tutti i personaggi del romanzo. E Andrea ha preso anche il mio nome, sempre con l’idea di non voler parlare dei miei accadimenti, quanto piuttosto di ciò che riguarda me. Un filo sottile ma molto diverso.
Un’ultima domanda. Tu scrivi: “Ma l’amore è più forte del Male. No?”. Qual è la risposta che ti sei dato?
In realtà no. Ma sicuramente aiuta molto in determinati passaggi. Io credo che la vita sia fatta di una serie di accadimenti e di avvenimenti. E in questi accadimenti ci sono turbolenze, nuvole, sole, mare. Cose belle e cose brutte, insomma. Sono convinto che l’amore sia una faccenda che spacca. Non ci sentiamo più uniti quando incontriamo una persona e ci innamoriamo, ci sentiamo spaccati. Non siamo più interi, c’è una spaccatura, che è bella, si, ma anche pericolosa.
Stai citando Roth, giusto? Mi viene in mente una frase de “L’animale Morente”.
Roth, esattamente. È quello che dice Roth, ribaltando completamente Platone. Io quando parlo di questo libro cito spessissimo “L’animale Morente” di Philip Roth proprio per questo motivo. Quando lui dice “Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza”, vuole dire “non sono un androgino”, e ha perfettamente ragione. Quindi, l’amore trionfa sul male? Dipende. Dipende se decidiamo che questa spaccatura sia una cicatrice oppure una ferita.
Andrea Donaera nasce a Maglie nel 1989, ma cresce a Gallipoli. A ventisette anni si trasferisce a Bologna, dove inizia a scrivere il suo primo romanzo: “Io sono la bestia”, pubblicato nel 2019 per NNEditore e nel 2021 pubblica, ancora una volta per la casa editrice milanese, “Lei che non tocca mai terra”. Inoltre, scrive per il quotidiano “Domani” e per “MetaItalia” e gestisce un seguitissimo podcast, “(N)trame”, nel quale dialoga con autori esordienti.
A cura di Alessia Marzano.