Porto Palazzo

Quando musica e scrittura si incontrano: Intervista ad Amarilli Varesio

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Se esiste un posto dove ritrovarsi, allora quel posto è nella musica. Ma no, no, non solo. Quel posto è anche nelle parole. Sì, in entrambe. Nelle parole delle sue canzoni, nelle parole dei suoi racconti. Un posto in cui musica e scrittura si incontrano, ecco. In cui parlano, dialogano, danzano. Un posto in cui si mischiano, le une nelle altre. La vita di una ragazza, la sua storia. 

Amarilli Varesio cresce tra il Monferrato e la Sicilia. Questa “migrazione al contrario” come le piace definirla, la fa sentire un po’ figlia del mondo, delle sue esperienze. Inizia a scrivere perché a volte, quando si ha troppo da dire, un solo mezzo non basta. E quindi dove non arriva la chitarra arriva la penna e viceversa. “Porto Palazzo” è il suo esordio narrativo. Un’antologia di racconti editi dalla Casa Editrice torinese Edizioni SuiGeneris.

Ho intervistato Amarilli perché ne avevo bisogno, perché se è vero che gli occhi parlano allora sentivo che i suoi avrebbero avuto sicuramente da raccontare cose belle. E infatti, di cose belle si tratta. Ecco cosa mi ha raccontato:

Raccontaci un po’ di te. Tu sei una musicista, nasci come cantautrice. Quando arriva la scrittura nella tua vita? Prima, dopo, o viaggia di pari passo con la musica?

Si, è vero, nasco come cantautrice. Ho iniziato a suonare in strada nel 2016, perché ho frequentato la scuola Holden e quindi avevo bisogno di soldi. Questo mi ha spinto ad andare in strada e suonare nei weekend. Ad ogni modo, diciamo che nasce prima la musica. Suono da quando avevo otto anni ed ho sempre avuto questa “chiamata interiore”. Sono sempre stata molto legata alla musica. Solo in seguito, frequentando la scuola, ho approfondito la passione per la scrittura. Ad oggi, forse, musica e scrittura vanno di pari passo. Quello che non riesco a comunicare la scrittura lo comunico la musica e viceversa. Sono complementari. Di solito, ogni volta che scrivo qualcosa cerco poi di farci una canzone, proprio per instaurare questa comunicazione tra le due.

Da dove nasce l’esigenza di scrivere questa raccolta di racconti? Qual è l’idea che c’è dietro?

Come dicevo, ogni weekend lo passavo al Balon, il mercato delle pulci più grande d’Europa, e grazie alla musica sono entrata in contatto con un sacco di persone che passavano di lì. Alcuni si fermavano, altri mi parlavano; con molti, poi, siamo diventati amici. Grazie a questo linguaggio universale sono entrata in contatto con persone che magari non avrei incontrato facilmente in altre circostanze. Sono state le loro storie ad illuminarmi. Ho pensato subito: “c’è del potenziale” e sai, parlo proprio rispetto alla narrazione del quartiere, perché Porta Palazzo è spesso visto come un quartiere periferico, ma in realtà è in centro città, e soprattutto spesso è legato a criminalità, stranieri, insomma, a cose illegali. Secondo me conoscere la diversità permette di non averne paura, di andare in profondità. È stato un po’ questo l’intento, l’idea di fondo del libro. 

Secondo me quando scriviamo raccontiamo qualcosa di noi, della nostra storia. Ciò che ci succede entra inevitabilmente nel processo di scrittura. A proposito di questo, c’è un racconto in particolare che senti più tuo? Un racconto che ha dentro te stessa più di altri?

Wow. Questa è una bella domanda. Credo soprattutto il racconto “Un’alba di sale”. Racconta di un marinaio portoghese che scopre di avere una malattia, ma invece di restare in ospedale decide di partire e viaggiare per il mondo in barca a vela, facendo quello che forse potrebbe essere l’ultimo viaggio della sua vita. Sono molto attaccata a questo personaggio. Ho vissuto a Lisbona per due anni e la sua storia mi ha colpito e mi ha coinvolto molto, mi ricorda quel periodo.

Il leitmotiv delle storie è questa dicotomia tra terra e acqua, questa “polarità” tra movimento e stabilità che poi si ritrova anche nel titolo. Che cosa rappresenta o ha rappresentato per te?

Diciamo che questi due simboli, dell’acqua e della terra, rappresentano cose da sempre racchiuse dentro di me, come ad esempio la mia voglia di radicarmi, soprattutto dal momento in cui sento di non avere radici. Quando avevo otto anni la mia famiglia si è trasferita in Sicilia, facendo questa “migrazione al contrario”, e ho sempre sentito di essere “mobile”, un po’ come l’acqua. Allo stesso tempo, esiste da sempre dentro di me questa voglia di fermarmi, di trovare il mio posto. E credo che questa simbologia si possa riflettere un po’ per tutti i personaggi. Per alcuni Porta Palazzo è un approdo momentaneo, per ripartire, poi. Per altri, invece, è un approdo definitivo. Nonostante ciò, sono tutti immessi in questa voglia di stabilità, in questa ricerca di un posto dove sentirsi bene e a casa. Ecco il perché di questa simbologia.

Parliamo della scelta del genere racconto. È stata una scelta pensata e consapevole fin dall’inizio o è arrivata naturalmente durante la scrittura? E perché proprio il racconto?

Credo che sia stata proprio una scelta spontanea, di getto, un po’ come la scrittura di un testo di una canzone. Nel racconto, infatti, devi scegliere un’emozione, una scena, un’immagine centrale dalle quali partire, e questo è un po’ quello che mi succede con la musica. Secondo me il racconto è la forma più immediata, che arriva subito, che tocca nel profondo, ecco.

Porto Palazzo è stato il tuo esordio narrativo. Ma quali sono i tuoi piani futuri? Hai scritto o continuerai a scrivere?

Nel 2021 ho pubblicato un altro libro, edito da Prospero Editore, che si chiama “Strade d’acqua, un viaggio in Amazzonia”. È un reportage di viaggio dell’Amazzonia brasiliana. Racconta di questo viaggio durato tre mesi che ho fatto con un’amica, e nel testo cerco di raccontare la conformazione di quel posto a livello sociale e politico. E adesso sto scrivendo un altro libro, sull’Uganda, perché ci sono stata sei mesi per scrivere la mia tesi in Antropologia. Sto cercando di direzionarmi verso i libri di viaggio, penso che sia questa la cosa che mi piace di più.

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