GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI - page 94

La coalizione saudita scaglia un attacco di 15 raids aerei in territorio yemenita

MEDIO ORIENTE di

La coalizione saudita, sostenuta dalle forze americane, venerdì ha sferrato quindici attacchi nella provincia yemenita di Dhamar, nel sud est del paese.

 

Tre di questi erano incursioni aree che hanno colpito lo stadio situato della città di Dhamar, causando vari danni alla struttura. Due raids aerei hanno invece colpito il Central Security Forces camp, gli attacchi hanno causato anche il danneggiamento di diverse case situate nel vicinato.

 

Altri due raids si sono abbattuti su un accampamento militare della polizia in Dhamar-alGarn, mentre tre incursioni aeree dirette all’Istituto Industriale e Tecnologico di Thi-sher, nell’area del distretto di Ans, hanno apportato diversi danni ai laboratori, le aule e le strutture dell’istituto.

 

Infine almeno altri cinque attacchi arei erano diretti a Samh, ad un campo nel distretto di Ans.

 

Pyongyang e Seul di nuovo “vicine” in occasione dei Giochi Olimpici invernali

ASIA PACIFICO di

Programmati per il 9 febbraio i Giochi Olimpici invernali di PyeongChang sembrano già voler portare con sé una fresca brezza che profuma di pace. O perlomeno così il mondo vorrebbe che fosse.

Martedì 9 gennaio, infatti, la Corea del Nord e quella del Sud riprenderanno un dialogo che per più di due anni ha visto intercorrere tra le due Coree quello che tramite una metafora meteorologica potremmo definire un gelo polare. Seul avrebbe, quindi, proposto alla patria di Kim Jong-un un dialogo di “alto livello” al centro del quale si discuterà circa lo stallo dei reciproci rapporti, con particolare attenzione alla partecipazione della Corea del Nord ai prossimi Giochi Olimpici.

Ma la chiave di lettura di questa svolta va cercata nel rinvio delle esercitazioni militari che annualmente Corea del Sud e USA effettuano e che saranno riprogrammate per la fine dei Giochi Olimpici. Una collaborazione, quella con gli Stati Uniti, che il dittatore nordcoreano percepisce come una vera e propria sfida, un incipit di quelle esercitazioni militari che potrebbero non essere più soltanto delle prove generali.

Chissà che i Giochi Olimpici invernali non forniscano finalmente l’occasione alle due Coree di instaurare un rapporto di pace.

UNIFIL,Bint jbail: inaugurati i primi progetti di supporto alla popolazione del 2018

MEDIO ORIENTE di

​E’ stata svolta a Bint Jbeil, alla presenza del Generale di Brigata Rodolfo Sganga, comandante del Settore Ovest di Unifil a guida italiana su base Brigata Paracadutisti Folgore, una cerimonia per l’inaugurazione di due importanti progetti realizzati mediante i fondi della Cooperazione Civile-Militare italiana.

In particolare si è trattato della fornitura e dell’installazione di nuovi cartelli stradali e la sostituzione di altri cartelli deteriorati e la fornitura e l’installazione nel Palazzo della Prefettura dell’Unione di Bint Jbeil dell’impianto di illuminazione fotovoltaico.

Questi progetti, nati dalle richieste del Presidente dell’Unione delle Municipalità di Bint Jbeil, Ing. Atallah Chaeyto, e del Qaimaqam di Bint Jbeil, Prof. Khalil Dbouk, contribuiscono ad apportare, oltre ad un risparmio energetico tramite l’impiego dei pannelli fotovoltaici, un significativo miglioramento dell’efficienza della rete viaria, migliorando le condizioni di sicurezza per la popolazione locale.

UNIFIL ha avuto sin dai primi anni del suo dispiegamento nel 1978, una forte inclinazione umanitaria nell’affrontare le conseguenze delle guerre e dell’occupazione nel sud del Libano. I contingenti UNIFIL quali quello a guida italiana schierato nel settore Ovest del Sud del Libano, forniscono assistenza medica, dentale, veterinaria e di altro tipo e conducono vari programmi di formazione per le persone in settori quali informatica, lingue, produzione di pizza, maglieria, yoga, taekwondo e molti altri.

L’Italia e UNIFIL sono sempre con la popolazione, per la popolazione e tra la popolazione del Libano.

Donbass: violata la tregua di natale si continua a combattere

EUROPA di

Mercoledì 20 dicembre 2017 il Gruppo di Contatto Trilaterale, composto dai rappresentanti di Ucraina, Russia e OSCE (rispettivamente Leonid Kuchma, Mikhail Zurabov e Heidi Tagliavini) hanno raggiunto un accordo per il ripristino di un cessate il fuoco da tenersi durante le vacanze natalizie e di Capodanno. La tregua, nota come “Christmas Truce”, sarebbe entrata in vigore il 23 dicembre a partire da mezzanotte.

Ciononostante si sono registrate numerose violazioni del cessate il fuoco da parte dei militanti russi nella zona ATO (che sta per Anti-Terrorist Operation Zone), già a partire dalla prima giornata di tregua. Il servizio stampa del Quartier Generale del Conflitto nel Donbass ha registrato sulla pagina Facebook tre attacchi da parte dei militanti russi alle Forze Armate ucraine nel corso della giornata di sabato 23 dicembre. I militanti avrebbero aperto il fuoco con mortai da 82 mm, lanciagranate e armi di artiglieria pesante.

Successivamente, fino a lunedì 25 dicembre non si sono registrate ulteriori violazioni del cessate il fuoco. Il sito Front News International riporta: “Oggi nella zona ATO, per la prima volta dopo l’entrata in vigore della tregua di Natale e Capodanno, non ci sono state violazioni del cessate il fuoco. Ma alle 19:00 i militanti hanno nuovamente violato il regime del silenzio. Ciò è stato segnalato nel centro stampa della sede dell’ATO. “Alle 18.00, lungo l’intera linea di demarcazione delle parti, non è stato registrato un solo bombardamento: verso le 19 i militanti hanno violato pesantemente gli accordi di Minsk, usando mortai da 120 mm sulle fortificazioni di difesa delle forze dell’ATO nel Pavlopol. Cinque minuti dopo, gli invasori sono stati liberati dall’insediamento “Sosnovskoye” temporaneamente occupato” riporta il rapporto. Il centro stampa ha osservato che le unità delle Forze armate dell’Ucraina nell’area di attuazione dell’ATO assicurano l’attuazione di tutte le misure per mantenere il regime di cessate il fuoco lungo l’intera linea di delimitazione delle parti e aderiscono rigorosamente agli accordi di Minsk.

Durante la giornata di mercoledi 27 dicembre, sempre nella zona ATO nel Donbass, i militanti della Repubblica Popolare del Donetsk e della Repubblica Popolare del Luhansk, nonostante la tregua, hanno sparato 6 volte sulle posizioni delle Forze armate dell’Ucraina, a seguito delle quali un soldato ucraino è stato ucciso, tre soldati sono rimasti gravemente feriti e due sono rimasti feriti. Il Centro Stampa dell’ATO dichiara “Nonostante gli accordi raggiunti a Minsk sulla tregua natalizia e di Capodanno, le truppe sostenute dalla Russia hanno continuato a violare il cessate il fuoco e hanno lanciato attacchi alle Forze armate dell’Ucraina, usando mortai e artiglieria proibiti”.

Il giorno successivo invece il Centro Stampa del Quartier Generale della ATO ha registrato 3 attacchi da parte dei militanti filo-russi.  “Nonostante gli accordi raggiunti a Minsk per la tregua di Natale e Capodanno, le forze di occupazione russe non hanno smesso di bombardare le posizioni delle Forze armate dell’Ucraina Oggi gli invasori hanno sparato tre colpi mirati nei punti di forza delle forze dell’ATO Tutte le violazioni del regime di cessate il fuoco hanno avuto luogo nella direzione di Donetsk “, afferma il rapporto. Presso la sede dell’ATO è stato notato che i militanti di Azov hanno provocato soldati ucraini per combattere lo scontro vicino a Pavlopol.

“All’inizio il nemico ha sparato con mitragliatrici di grosso calibro e armi di piccolo calibro, e poi ha aumentato la pressione con cinque mine da 82 mm e diverse lanciagranate. Inoltre, nella periferia di Krasnogorovka, il nemico ha violato la tregua con l’utilizzo i armi leggere “, ha aggiunto il centro stampa. In altre parti della difesa ucraina non sono state registrate violazioni del cessate il fuoco. I soldati ucraini non hanno aperto il fuoco in risposta.

Le violazioni del cessate il fuoco sono dunque numerose, e sembrano non vedere la fine.

Secondo quanto riportato dal rapporto del 5 gennaio 2018 della Missione Speciale di Monitoraggio dell’Ucraina dell’OSCE (OSCE SMM), sono avvenute 131 esplosioni nella zona ATO durante la sola giornata del 4 gennaio.

La situazione nel Donbass, dunque, è ancora grave, e non sembra mostrare cenni di miglioramento.

Nonostante diverse nazioni, tra cui la Germania, la Francia e il Canada, si siano interessate alla questione e dichiarino di voler aiutare l’Ucraina con l’insediamento di una missione speciale di peacekeeping promossa dall’ONU, quest’ultima sembra essere ancora lontana.

La Guerra del Donbass, dunque, sembra prossima a compiere 4 anni dall’inizio del conflitto il 6 aprile 2014.

L’Iran, gli iraniani e il regime

ASIA PACIFICO di

Le nuove manifestazioni in Iran sono iniziate il 28 dicembre a Mashhad; potevano iniziare da  qualsiasi altra città e in qualsiasi altra data. In verità il malcontento diffuso nasce dopo pochi mesi dall’insediamento del regime teocratico in Iran. Le manifestazioni di protesta, a carissimo prezzo, ci sono state in molte città iraniane e, negli ultimi mesi, si sono estese per motivi economici. Chi conosce l’Iran, i suoi antichi e orgogliosi abitanti e il suo innaturale regime da decenni al potere, non è stato certo colto di sorpresa. Quando nel febbraio 79 Khomeini conquistò, con la complicità dell’Occidente, la leadership della rivoluzione democratica degli iraniani contro lo sciah, dopo poche settimane di luna di miele ci fu uno scollamento tra la popolazione e il regime. Infatti la nascita del famigerato Corpo dei pasdaran, con lo scopo  di difendere la Repubblica islamica per statuto, risale proprio al maggio 1979. Negli anni 80, oltre le catastrofiche vicende della guerra Iran-Iraq, il regime per mantenersi al potere dovette spedire al patibolo decine di migliaia di dissidenti. Terminata la guerra nel 1988, e soprattutto dopo la morte del fondatore della teocrazia iraniana Khomeini, 3 giugno 1989, con un paese economicamente e socialmente al tracollo, partì il fantomatico balletto dei “moderati” vs “oltranzisti”. Il “moderato” Rafsanjani aprì le porte alle privatizzazioni del patrimonio del paese, consegnandolo in sostanza ai pasdaran e ai suoi familiari e amici. In seguito, dal 2005 con “l’oltranzista” Ahmadinejad la porta fu spalancata ai pasdaran, che già facevano un corpo unico con il vero detentore del potere della teocrazia iraniana la guida suprema Ali Khamenei, in modo da monopolizzare la ricchezza. Insomma il Paese, il suo patrimonio e soprattutto la sua gente furono in balia dell’incapacità endemica degli uomini di regime e della loro insaziabile avidità. Ogni cenno di protesta popolare è stato represso nel sangue, come quello della metà degli anni 80 a Mashhad, Ghazvin, Arak e altre città, come quello degli studenti universitari del 99, e soprattutto la fiumana di protesta nel 2009. Il regime dittatoriale religioso non ammette l’opposizione. Gli screzi tra le fazioni del regime, per accaparrarsi fette di potere e coglierne vantaggi, non hanno nulla a che vedere con i bisogni della gente e non hanno mai rappresentato le sue reali istanze democratiche.

Le proteste del 28 dicembre 2017 di Mashhad, città santa per gli sciiti, si sono allargate in altre città della regione di Khorasan, terra natale di Khamenei, e da lì a tutto il Paese, oltre novanta città e almeno 30 caduti e migliaia di manifestanti arrestati. La rivolta è partita sì contro l’insopportabile carovita, ma subito s’è trasformata in una rivolta dalle istanze politiche tra cui il cambio radicale di tutto il regime. Chi cerca di addossare la paternità del movimento ai pasdaran e perfino a Ahmadinejad o è uno sprovveduto o interessato, mente e sa di mentire. Khamenei blatera il consueto ritornello che le manifestazioni sono opera del nemico straniero. Si vuole camuffare l’evidenza: il desiderio di un popolo che da oltre un secolo si batte per la libertà, che non ha mai accettato il regime religioso, perché questo non può dargli quello che non ha, cioè la libertà. Quando nel primissimo Novecento in Persia la monarchia al potere sconfisse il Movimento dei costituzionalisti a Teheran e in altre città, solo nella città di Tabriz il coraggioso Sattar Khan resisteva strenuamente con meno di venti uomini. Allora il console russo gli propose di issare la bandiera russa sulla sua dimora per aver “salva la vita”. L’orgoglioso combattente rispose:  “Generale console, io voglio che sette bandiere si sottomettano alla bandiera dell’Iran. Non andrò mai sotto la bandiera straniera”. Da lì a poco Sattar Khan arriva trionfalmente a Teheran. Era il 1908, altri tempi, ma gli uomini e le donne combattenti dell’Iran sono quelli e la loro dignità è quella. Nella rivolta in atto in Iran additare i patrioti al soldo del nemico straniero è fuorviante oltre che ridicolo. Io stesso che scrivo da tanti anni sull’Iran, potrei rivendicare il diritto d’autore per le posizioni prese in questi giorni dai vari membri dello establishment statunitense. Si tratta di giuste e sacrosante rivendicazioni di un popolo dalla grande dignità. L’espansione del “forte” regime iraniano è segno della debolezza altrui, dove la responsabilità dei governi occidentali è enorme. Bush gli ha regalato L’Iraq e Obama la Siria, ma alla fine i mullà devono fare i conti con gli iraniani in Iran. L’asse Afghanistan – Iraq – Siria – Libano per arrivare ad avere il fiato sul collo di Israele è solo una direttrice lungo la quale scaricare le tensioni interne; gli iraniani con la loro cultura millenaria non hanno mai sopportato il regime liberticida. Il regime iraniano “dona” almeno un miliardo di dollari all’anno ad Hezbollah libanese, e negli ultimi sei anni ha speso da dieci a quindici miliardi all’anno per mantenere il macellaio di Damasco. Ecco dove è andato il denaro scongelato dall’accordo nucleare, col quale Rouhani prometteva il miglioramento della situazione economica della popolazione, compreso un miliardo di dollari in contanti spedito da Obama a Teheran con un aereo militare. Oggi il 70% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Moltissimi giovani, spesso laureati, sono disoccupati, e la disoccupazione in alcune zone del paese tocca il 60%. Il regime religioso iraniano fomenta e diffonde odio nel Paese e nella Regione, e questo è in netto contratto con lo spirito dei persiani.

Il regime teocratico al potere da 39 anni non può e né vuole concedere alcuno spazio al popolo. Da qui la sua feroce oppressione e, quando non basta, le sue calunnie. Le istituzioni in Iran, talvolta dalle sembianze democratiche, sono del tutto prive di democrazia. Sotto la pressione interna il regime ha dovuto da subito inventare dei nemici. Morte all’America e morte ad Israele sono strumenti logori con cui cerca di resistere ad un popolo che ha altri progetti, non certo un governo religioso guidato dai corrotti. La rivolta contro un siffatto regime è un dovere sacrosanto.

Questa rivolta è del tutto diversa da quella del 2009. È estesa in un centinaio città, da nord a sud, da est a ovest. I manifestanti appartengono al ceto meno abbiente e molti di loro sono giovani confinati ai margini della vita economica del paese. L’età media degli arrestati è meno di venticinque anni. Soprattutto la rivolta è del tutto autonoma dalle fazioni del regime. Questa rivolta è un corpo estraneo ed antagonista al regime di cui chiede la fine.

Un altro cambiamento significativo è il contesto internazionale mutato. Nel 2009 mentre la gente veniva repressa a sangue a Teheran, il presidente Barack Obama sembrava che stesse a guardare con indifferenza. Dopo s’è saputo che appoggiava Ali Khamenei scrivendogli ripetute lettere di conciliazione. Ora l’Amministrazione statunitense, cominciando da Donald Trump,  ed altri politici americani hanno appoggiato la lotta degli iraniani. Perfino John Kerry fa autocritica di aver sottovalutato la situazione interna dell’Iran e Hillary Clinton spende parole in favore dei manifestanti. I paesi europei, l’Unione Europea e perfino l’Italia, anche se con toni conservativi, hanno difeso il diritto dei manifestanti e hanno “invitato” il regime iraniano a rispettare il loro diritto a manifestare. Non è superfluo ribadire che l’Iran sarà liberato dagli iraniani e da nessun altro; che la stabilità del Paese, visti questi anni, avverrà solo con il cambio del regime; che la stabilità dell’Iran contribuisce in misura determinante alla stabilità della Regione. Per queste ragioni e non solo dobbiamo sostenere la lotta degli iraniani per la libertà e la democrazia che, nonostante le brutali repressioni, mai cesserà. Il capo dei pasdaran  Jahfari può ancora una volta dichiarare che la rivolta è rientrata e la stampa internazionale fargli eco, ma tutti sanno che non è così.  Quando i Diritti fondamentali di un popolo vengono calpestati, quando la dignità di donne e uomini di una terra viene ignorata, allora  l’insurrezione diviene per il popolo il più sacro dei diritti e il più necessario dei doveri e merita il sostegno di ogni uomo libero dovunque si trovi.

 

Un bilancio militare della guerra in Yemen

MEDIO ORIENTE di

L’agenzia di stampa yemenita (SABA) ha rilasciato un bilancio dell’anno 2017 che riporta tutti i traguardi bellici dell’armata yemenita inflitti nei confronti della coalizione americano-saudita. Dalle forze navali, a quelle di aviazione fino ai danni prodotti da parte dei missile lanciati, vengono elencate le perdite subite dal nemico.

Stando a quanto afferma l’agenzia di stampa l’esercito ha lanciato 45 missili balistici ed è stato colpevole della distruzione di 1,569 veicoli militali, otto unità navali e 29 aereoplani.

Un rapporto stilato dall’ufficio informazioni militare stima la distruzione di otto carrarmati, 196 veicoli corazzati e 1,337 vari armamenti.

 

Le forze navali hanno distrutto otto navi militari distribuendo due navi quattro navi corazzate, un sottomarino spia e una fregata. L’aviazione invece ha abbattuto 29 veicoli militari di diverso tipo.

 

Le unità di cecchini militari yemeniti hanno ucciso 399 soldati sauditi e 1,894 mercenari.

“Afghanistan; l’esercito afghano, assistito dagli advisor italiani, neutralizza alcuni capi dell’insorgenza locale a Farah”

MEDIO ORIENTE di

Si è conclusa nei giorni scorsi una importante offensiva dell’Esercito afgano contro alcuni capi dell’insorgenza locale presenti nella provincia sud della Regione ovest dell’Afghanistan sotto il controllo del contingente italiano su base Brigata “Sassari”.

Autorevoli fonti locali hanno infatti confermato il successo dell’operazione condotta a guida intelligence che aveva l’obiettivo di disarticolare la catena di comando e controllo dei nemici dell’Afghanistan, avvenuta attraverso l’impiego degli elicotteri in dotazione alle forze armate afgane. L’intervento chirurgico condotto dai militari locali, senza alcun impiego di militari italiani in attività operative cinetiche, ha portato alla neutralizzazione delle forze insorgenti limitando qualsiasi rischio di coinvolgimento del personale civile e conseguendo risultati di grande rilevanza per la sicurezza della città e dell’intera area di Farah.

L’operazione, frutto dell’attività di Train, Advise e Assist (TAA) a favore del 207˚ Corpo d’Armata dell’Esercito afgano ha rappresentato per il contingente italiano – forte della grande esperienza acquisita negli anni e delle capacità professionali specifiche maturate in fase di preparazione della missione – il risultato di anni di lavoro e addestramento svolto in sinergia con le controparti locali, per le quali l’esperienza degli advisor dell’Esercito ha consentito l’innalzamento degli standard operativi.

Altre operazioni continueranno ad essere pianificate e condotte nelle prossime settimane,  con lo scopo di garantire il controllo da parte delle istituzioni locali nelle aree meridionali della regione ovest ed, al contempo, una elevata cornice di sicurezza per la popolazione civile.

Raggiunto l’accordo sulla Cooperazione Strutturata Permanente; Al via la costruzione della Difesa Europea

Difesa/EUROPA/SICUREZZA di

Ufficializzata la costruzione della Difesa Comune Europea. Dopo anni di confronti e dibattiti tra i maggiori attori europei, al summit del 14-15 dicembre 2017, si è siglato l’accordo tra i 27 capi di stato e di governo per la cosiddetta Cooperazione Strutturata Permanente(PESCO).  Essa è regolata dal Trattato di Lisbona e consente agli Stati membri, che intendano impegnarsi, di rafforzare la reciproca collaborazione nel settore della politica di sicurezza e di difesa.

La PESCO prevede che gli Stati si impegnino a rispettare delle tappe comuni. Alcuni temi saranno quelli riguardanti gli aumenti dei bilanci, da parte degli stati membri, con cadenza periodica e in tempi reali. Saranno effettuati, probabilmente, corsi di formazione per raggiungere obbiettivi che prevedono di rafforzare la disponibilità e l’interoperabilità delle forze impiegate. Gli Stati si sono anche impegnati in direzione di un programma industriale comune per il settore della difesa, nonché ad approvare entro la prossima primavera la creazione di uno strumento finanziario atto a garantire le coperture della Pesco.

La necessità di assumersi maggiori responsabilità, da parte dei leader dei paesi UE, per la sicurezza dei cittadini europei, è sorta nel corso del 2016. Da quel momento è stato dunque chiesto all’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, di presentare proposte riguardanti anche la Pesco. Nel frattempo quest’ultima, attraverso la strategia globale per la politica estera e di sicurezza, aveva avviato un processo di cooperazione rafforzata in materia di sicurezza e difesa.

Il ruolo dell’Italia all’interno della Pesco è sicuramente di relativa importanza. L’Italia sarà infatti a capo di quatto dei 17 progetti concordati per il 2018. Il primo prevede la creazione di un centro di addestramento per le forze armate europee. Altri due progetti saranno, invece, tesi a sviluppare capacità militari di soccorso in caso di disastri naturali e di sorveglianza e protezione di aree marittime. Il quarto progetto riguarda l’implementazione di prototipi di veicoli per la fanteria leggera.

L’accordo del Consiglio europeo inaugura un processo istituzionale legalmente vincolante verso l’integrazione nell’ambito della sicurezza e difesa. Tale accordo risulta essere importante anche in chiave di relazioni con l’Alleanza Atlantica, un tema centrale nello sviluppo sia dell’UE che della Nato. È bene, inoltre, non dimenticarsi, che un progetto europeo per la Difesa, quale la Pesco, risponde alla necessità di ritrovare quello spirito europeista e rinsaldare la comunità di valori democratici su cui si fonda l’intera Unione Europea.

Irak, la Task Force Praesidium continua il coordinamento della sicurezza della DIga di Mosul

MEDIO ORIENTE/SICUREZZA di

​Prosegue il lavoro di coordinamento tra la Task Force Praesidium e le Forze di Sicurezza Irachene per implementare il sistema di cooperazione integrato messo in atto per garantire la sicurezza della Diga di Mosul e del personale. Attività che nei giorni scorsi, hanno portato alla Diga i vertici di USACE (U.S. Army Corps of Engineer) e del CJFLCC (Combined Joint Force Land Component Command) dell’Operazione Ineherent Resolve. Cinque diverse Forze di Sicurezza che operano sotto il diretto controllo di tre diversi ministeri del Governo di Baghdad e che la Praesidium ha inserito in un sistema che permetta un costante scambio informativo attraverso la standardizzazione delle procedure e lo sviluppo di attività congiunte. In occasione di entrambe le visite è stata ribadita l’importanza strategica della Diga che rappresenta un progetto prioritario per lo sviluppo e la stabilizzazione dell’area.

Apprezzamento per il lavoro svolto dal 3° Reggimento Alpini per implementare la sicurezza dell’infrastruttura è giunto dal Generale David Hill, Comandante della Divisione Transatlantica di USACE, l’Unità che ha il compito di coordinare e gestire i progetti di USACE in Medio Oriente, Asia e Egitto per oltre 8 miliardi di dollari. Nel corso della visita il Generale Hill è stato scortato dalla Praesidium con il concorso del personale del Counter-Terrorism Service. La cornice di sicurezza e la tutela del personale di USACE che opera alla Diga sono state riconosciute come azioni determinanti alla piena operatività degli ingegneri che affiancano la ditta Trevi nei lavori per la messa in sicurezza della struttura.

Il Generale Charles Costanza, Vice Comandante di CJFLCC e responsabile del coordinamento delle Operazioni della Coalizione nel nord dell’Iraq, ha invece riconosciuto il fondamentale lavoro svolto dalla Task Force Italiana per integrare le diverse componenti delle Forze di Sicurezza Irachene in un sistema di controllo che permetta una cornice di sicurezza più ampia, attraverso il coordinamento dei check-point gestiti da Counter-Terrorism Service, National Security Service, Esercito Iracheno,  Polizia Federale e Polizia del Ministero delle Risorse Energetiche.

Dopo un aggiornamento operativo fornito dai membri iracheni del tavolo di lavoro realizzato dalla Praesidium, il generale Costanza ha potuto constatare i controlli effettuati dalle Forze di Sicurezza di Baghdad presso i diversi check-point lungo le strade che conducono alla Diga. In particolare ha assistito al transito di una colonna di camion che scortati dall’Esercito Iracheno e supportati dalla TF Praesidium garantiscono i costanti rifornimenti di materiali per i lavori alla Diga. Nell’occasione il Gen. Costanza ha sottolineando l’importanza del lavoro svolto per costruire un sistema integrato che offra all’intera area, standard di sicurezza elevatissimi per la tutela della Diga e delle migliaia di persone che vi operano, mantenendo nel contempo un costruttivo rapporto di collaborazione sia con le Unità Irachene che Curde.

L’Italia rinnova il suo impegno per la ANDSF in Afghanistan

MEDIO ORIENTE/SICUREZZA di

L’Italia ha rinnovato il suo sostegno alle forze di sicurezza per la lotta al terrorismo e la stabilizzazione dell’Afghanistan. Al termine delle procedure interne ha erogato anche per il 2017 il suo contributo che ammonta a 120 milioni di euro, dei quali 72 sono destinati al fondo fiduciario NATO per l’esercito (ANA Trust Fund) e i restanti 48 riservati al fondo LOFTA (Law and Order Trust Fund for Afghanistan) gestito dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) a supporto della polizia.

I fondi stanziati saranno impiegati oltre che nell’addestramento del personale di sicurezza nell’ambito della missione NATO “Resolute Support”, anche nell’acquisto di vaccini, medicine e apparati necessari per far fronte alla problematica degli IED, gli ordigni esplosivi improvvisati.

L’Ambasciatore d’Italia a Kabul, Roberto Cantone, ha affermato che “L’Italia è al fianco del governo afghano e sostiene le iniziative per la riconciliazione nazionale. In tale contesto, è altresì cruciale continuare a rafforzare le capacità operative dell’esercito e dalla polizia afghani a cui vanno riconosciuti grande impegno e coraggio”. L’Ambasciatore ha anche sottolineato che tra le iniziative finanziate dallo stato italiano è anche presente la realizzazione di una cittadella della polizia per le donne, di cui si auspica una più attiva partecipazione alla vita del paese.

 

Redazione
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