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Green Deal europeo: le due nuove strategie della Commissione europea

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Il 14 ottobre, nell’ambito del Green Deal europeo, la Commissione europea ha presentato due nuove strategie che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi previsti dal progetto dell’UE, tra i quali ridurre le emissioni di gas a effetto serra. In particolare, sono state presentate le strategie sul metano e sulle sostanze chimiche per un ambiente privo di sostanze tossiche. La prima strategia è volta a ridurre le emissioni di metano, il secondo agente climalterante più importante dopo il carbonio, e definisce proprio le misure per ridurre le emissioni di metano in Europa e a livello internazionale. La seconda strategia è finalizzata ad azzerare l’inquinamento e creare un ambiente privo di sostanze tossiche, innovando le sostanze chimiche e rendendole più sostenibili.

La strategia per ridurre le emissioni di metano

Gli obiettivi climatici previsti dal Green Deal europeo prevedono importanti riduzioni di emissioni di gas a effetto serra per il 2030, fino a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Per arrivare a tale obiettivo, si deve intervenire in quanti più settori possibili, a partire da quello dei gas climalteranti. In particolare, la strategia proposta dalla Commissione definisce le misure per ridurre le emissioni di metano in Europa e a livello internazionale, gas responsabile del 10% delle emissioni totali di gas a effetto serra: contiene interventi legislativi e non nei settori dell’energia, dell’agricoltura e dei rifiuti. Questi tre settori, insieme, rappresentano circa il 95% delle emissioni di metano associate all’attività umana nel mondo, mentre l’Unione europea produce il 5% delle emissioni mondiali di metano a livello interno. Proprio per questo, la Commissione collaborerà con i partner internazionali dell’UE e con l’industria per conseguire riduzioni delle emissioni.

I punti previsti dalla strategia sono molteplici: senz’altro, si punta a migliorare la misurazione e la comunicazione delle emissioni di metano. Il livello di monitoraggio attuale, infatti, varia secondo i settori e gli Stati membri, mentre la Commissione vuole rafforzare le norme in materia di misurazione e sosterrà la creazione di un osservatorio internazionale delle emissioni di metano in collaborazione con il programma dell’ONU per l’ambiente, la Coalizione per il clima e l’aria pulita e l’Agenzia internazionale per l’energia. Nel settore energetico, la riduzione delle emissioni di metano sarà garantita attraverso l’obbligo di migliorare il rilevamento e la riparazione delle perdite nelle infrastrutture del gas, nonché attraverso il dialogo con i partner internazionali. La Commissione si occuperà anche di migliorare la comunicazione delle emissioni prodotte dall’agricoltura attraverso una migliore raccolta di dati, promuovendo opportunità di riduzione delle emissioni con il sostegno della politica agricola comune. Nel settore dei rifiuti, la Commissione valuterà l’opportunità di ulteriori azioni per migliorare la gestione dei gas di discarica, sfruttandone il potenziale di consumo energetico.

La strategia in materia di sostanze chimiche

Insieme alla strategia per la riduzione di metano, la Commissione europea ha adottato la strategia dell’Unione in materia di sostanze chimiche per la sostenibilità: si tratta del primo passo da compiere per azzerare l’inquinamento e creare un ambiente privo di sostanze tossiche. In particolare, tale strategia darà impulso all’innovazione per creare sostanze chimiche più sicure e sostenibili, nonché garantire una migliore protezione della salute umana e dell’ambiente dalle sostanze chimiche pericolose. Tale obiettivo verrà perseguito anche attraverso il divieto di utilizzare le sostanze chimiche più nocive in prodotti di consumo quotidiano, oppure con la possibilità di usare le sostanze solo in modo sostenibile e sicuro. La strategia è molto ampia e comprende diverse azioni da svolgere, in particolare al fine di migliorare la protezione della salute e dell’ambiente, stimolare l’innovazione e promuovere la competitività dell’UE. L’obiettivo è quello di consentire la transizione verde del settore chimico e delle catene del valore per evitare gli effetti più nocivi delle sostanze chimiche e per garantirne il minor impatto possibile sul clima, l’uso delle risorse, gli ecosistemi e la biodiversità. La strategia prevede che l’industria dell’UE diventi un soggetto competitivo a livello mondiale nella produzione e nell’uso di sostanze chimiche sicure e sostenibili. Un aspetto importante è anche il fatto che la Commissione propugnerà l’adozione a livello mondiale di norme di sicurezza e sostenibilità, promuovendo un approccio coerente per impedire che le sostanze pericolose vietate nell’UE siano prodotte e poi esportate.

Le dichiarazioni

Virginijus Sinkevicius, Commissario responsabile per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, ha dichiarato: “Dobbiamo il nostro benessere e gli elevati standard di vita alle numerose sostanze chimiche utili inventate negli ultimi 100 anni. Non possiamo tuttavia ignorare i danni causati da molte sostanze chimiche pericolose alla salute umana e all’ambiente. Dopo aver compiuto molti progressi per regolamentare le sostanze chimiche nell’UE, con la presente strategia intendiamo valorizzare i risultati fin qui ottenuti e spingerci oltre per impedire che le sostanze chimiche più pericolose si diffondano nell’ambiente e nel nostro organismo, con conseguenze negative soprattutto per le persone più fragili e vulnerabili”.

Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green Deal, ha dichiarato: “Per diventare il primo continente climaticamente neutro l’Unione europea deve tagliare tutti i gas a effetto serra. Il metano è il secondo più potente gas a effetto serra e una causa determinante dell’inquinamento atmosferico. La strategia sul metano garantisce tagli delle emissioni in tutti i settori, in particolare l’agricoltura, l’energia e i rifiuti. Crea per le zone rurali l’opportunità di produrre biogas a partire dai rifiuti. La tecnologia satellitare dell’Unione europea consentirà di monitorare da vicino le emissioni e di innalzare gli standard internazionali”.

L’influenza dell’UE nell’area balcanica: prospettive di allargamento credibili?

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Dopo quasi due decenni dallo storico Vertice di Salonicco del 2003, la piena integrazione dei Balcani occidentali nell’UnioneEuropea sembra ancora procedere a rilento, rimbalzando tra vertici e dichiarazioni congiunte, che a turno rilanciano o rallentano il processo. La sfida dell’allargamento unita ai problemi economici della pandemia potrebbero far deragliare la prospettiva di adesione dell’intera regione in un’Europa che appare ancora irresoluta per la volontà dei singoli attori nazionali.

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Il Consiglio europeo e la ricerca di un ruolo globale dell’UE

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Il 1° e 2 ottobre, i Capi di Stato e di Governo dei 27 Stati membri dell’Unione europea si sono riuniti a Bruxelles per un Consiglio europeo che ha adottato conclusioni su molteplici questioni cruciali. I leader presenti hanno tenuto una discussione approfondita sulla gestione della pandemia di Covid-19 e sui suoi effetti nell’ambito del mercato unico, hanno condannato l’escalation nel mediterraneo orientale, hanno discusso sulle relazioni con la Cina e sanzionato l’inaccettabile violenza da parte delle autorità bielorusse nei confronti dei manifestanti pacifici, nonché le intimidazioni, gli arresti e le detenzioni arbitrarie a seguito delle elezioni presidenziali, di cui non riconoscono i risultati. Il Consiglio europeo ha chiesto altresì la cessazione immediata delle ostilità in Nagorno-Karabakh e ha condannato il tentato omicidio dell’oppositore russo Alexei Navalny. Si è trattato dunque, di un Consiglio europeo principalmente dedicato alla politica estera, nella costante ricerca di un ruolo di primo piano nelle dinamiche globali.

Covid-19 e ripercussioni economiche

Nell’ambito delle riunioni tenutesi il 1° e 2 ottobre, il Consiglio europeo ha ribadito la sua determinazione a restare unito nella gestione dell’emergenza dovuta al Covid-19 ed ha invitato il Consiglio dell’UE e la Commissione europea ad intensificare ulteriormente gli sforzi di coordinamento, nonché i lavori sullo sviluppo e sulla distribuzione di un vaccino a livello dell’Unione. Una solida base economica è ora essenziale per una crescita inclusiva e sostenibile, per la competitività, l’occupazione, la prosperità e il ruolo dell’Europa sulla scena mondiale. La pandemia di COVID-19 avrà un impatto duraturo sull’economia europea e mondiale, pertanto, il Consiglio ha sottolineato la necessità di tornare quanto prima al normale funzionamento del mercato unico nonché di perseguire una politica industriale europea ambiziosa ed accelerare la transizione digitale in Europa.

Le principali questioni in politica estera: Mediterraneo orientale e Bielorussia

Analizzando le questioni cruciali nell’ambito delle relazioni esterne, il Consiglio europeo ha ribadito che è nell’ nell’interesse strategico dell’UE avere un contesto stabile e sicuro nel Mediterraneo orientale, nonché sviluppare relazioni di cooperazione reciprocamente vantaggiose con la Turchia. Nel dettaglio, dopo un lungo negoziato notturno, i Capi di Stato e di Governo dei 27 Stati membri, hanno trovato un accordo sul modo in cui affrontare la politica estera turca nel Mediterraneo. I leader hanno minacciato Ankara di sanzioni se dovesse continuare a violare i confini di Cipro e Grecia ed al contempo hanno aperto al dialogo strategico. Il doppio messaggio nei confronti della Turchia è stato voluto soprattutto da Berlino e Roma, contrarie a sanzioni tout court.

Nelle conclusioni adottate emerge che i 27 si sono accordati per affermare che “in caso di rinnovate azioni unilaterali o provocazioni in violazione del diritto internazionale, l’Unione utilizzerà tutti gli strumenti e le opzioni a sua disposizione”. Il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in una conferenza stampa notturna, ha ammesso che ci sono volute sette ore di “discussioni appassionate” per raggiungere tale compromesso. La dura presa di posizione è stata mossa dalle richieste di Cipro e in parte della Grecia, due paesi minacciati da Ankara nelle acque del Mediterraneo Orientale.

L’accordo sul mediterraneo orientale ha permesso altresì di sbloccare la questione bielorussa: gli Stati membri erano già da tempo d’accordo per sanzionare il regime dittatoriale e repressivo di Aleksander Lukashenko; Cipro, tuttavia, bloccava le misure restrittive in attesa di ottenere sanzioni anche sul versante turco. Il Consiglio europeo ha così condannato l’inaccettabile violenza da parte delle autorità bielorusse nei confronti dei manifestanti pacifici, nonché delle intimidazioni, degli arresti e delle detenzioni che hanno fatto seguito alle elezioni presidenziali, di cui i leader non riconoscono i risultati. In particolare, il Consiglio europeo ha annunciato di aver imposto sanzioni mirate a 40 politici e funzionari bielorussi considerati vicini al dittatore Alexander Lukashenko, il quale, tuttavia, non è stato incluso nella lista delle persone sanzionate, presumibilmente al fine di mantenere aperta la possibilità di raggiungere un accordo. Le sanzioni prevedono, tra le varie misure adottate, il divieto di viaggiare nell’Unione Europea e il congelamento dei conti bancari. Rileva che poco dopo anche gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni mirate contro otto funzionari bielorussi. Come ritorsione, la Bielorussia ha, a sua volta, imposto delle sanzioni nei confronti dell’UE, ha dichiarato di voler cancellare tutti gli accrediti di giornalisti stranieri nel Paese e di aver convocato i propri ambasciatori in Polonia e Lituania, chiedendo a questi due Paesi di ridimensionare la grandezza delle loro missioni diplomatiche a Minsk.

Le altre questioni in politica estera

Con riguardo ai rapporti con la Cina, il Consiglio europeo ha sottolineato la necessità di riequilibrare le relazioni economiche e di ottenere reciprocità, ha ricordato l’obiettivo di portare a termine entro la fine di quest’anno i negoziati relativi ad un ambizioso accordo globale UE-Cina in materia di investimenti ed ha invitato la Cina a rispettare i precedenti impegni assunti per rimuovere gli ostacoli all’accesso al mercato, nonché ad avviare negoziati sulle sovvenzioni all’industria in seno all’Organizzazione mondiale del commercio. Inoltre, i leader dell’UE hanno incoraggiato la Cina ad assumersi una maggiore responsabilità nella risposta alle sfide globali, in particolare adottando una più ambiziosa azione per il clima, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e sostenendo le risposte multilaterali alla pandemia in corso.

Quanto al Conflitto in Nagorno-Karabakh, il Consiglio europeo ha chiesto la cessazione immediata delle ostilità ed ha esortato le parti a rinnovare l’impegno a favore di un cessate il fuoco duraturo e di una risoluzione pacifica del conflitto. Il Consiglio auspica che l’Azerbaigian e l’Armenia aprano al più presto negoziati sostanziali senza precondizioni, considerando inaccettabili la perdita di vite umane e i danni alla popolazione civile.

Infine, il Consiglio europeo ha condannato il tentato omicidio dell’oppositore russo, Alexei Navalny, per mezzo di un agente nervino chimico militare, definendone l’uso una grave violazione del diritto internazionale. Il Consiglio europeo ha, pertanto, invitato le autorità della Federazione russa a cooperare con l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) al fine di garantire un’indagine internazionale imparziale ed assicurare la giustizia.

Legge europea sul clima: le richieste del Parlamento europeo

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Nell’ultima sessione plenaria del Parlamento europeo, tenutasi a Bruxelles dal 5 all’8 ottobre 2020, il Parlamento europeo si è espresso in merito alla Legge europea sul clima, chiedendo di raggiungere degli obiettivi ancor più ambiziosi di quanto non siano quelli proposti dalla Commissione europea nell’ambito del Green Deal. In particolare, gli eurodeputati hanno richiesto una riduzione delle emissioni del 60% nel 2030, poi si sono espressi in merito ad un bilancio per i gas a effetto serra per garantire che l’UE raggiunga l’obiettivo di Parigi, un organismo scientifico indipendente per monitorare i progressi e per l’eliminazione graduale di tutte le sovvenzioni dirette e indirette ai combustibili fossili entro il 2025.

La legge europea sul clima nel Green Deal europeo

Il 4 marzo 2020, la Commissione europea ha presentato una proposta legislativa al fine di sancire ulteriormente l’impegno dell’UE nel conseguimento della neutralità climatica entro il 2050. Trasformando in legge l’obiettivo prefissato, cioè divenire una società a impatto climatico zero, si garantisce ancora di più la concreta volontà dell’UE di impegnarsi in tale ambito. Gli obiettivi della legge europea sul clima sono di definire il percorso da seguire per arrivare alla neutralità climatica in modo equo ed efficiente, creare un sistema di monitoraggio dei progressi per poi intraprendere ulteriori azioni e garantire la transizione verso la neutralità climatica. La Commissione europea, attraverso la proposta di legge, intende istituire un quadro di riferimento per rendere vincolante il traguardo di zero emissioni di gas serra per il 2050, rispettando le conclusioni scientifiche fornite dall’IPCC e cercando di mettere in atto l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.

Le richieste del Parlamento europeo

Non appena presentata la proposta legislativa da parte della Commissione europea, il Parlamento si è da subito detto insoddisfatto e pronto a rendere più ambiziosa la legge per il clima. Ad aprile 2020 è stato presentato un progetto di relazione che ha emendato la proposta della Commissione europea in molti punti, l’11 settembre la Commissione ambiente del Parlamento europeo ha adottato una relazione sulla legge europea per il clima e l’8 ottobre il Parlamento europeo ha adottato il suo mandato negoziale sulla legge europea sul clima.

Con 392 voti a favore, 161 contro e 142 astensioni, il Parlamento europeo si è espresso a favore di una legge europea sul clima più ambiziosa, che miri a trasformare le promesse politiche – vale a dire il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 in Europa – in un obbligo vincolante in quanto legge, fornendo ai cittadini e alle imprese europee la certezza giuridica e la prevedibilità, elementi necessari per pianificare la trasformazione. Gli eurodeputati hanno insistito sul fatto che sia l’Unione europea che gli Stati membri devono diventare neutri sotto il profilo delle emissioni di carbonio entro il 2050; dal 2051 l’UE dovrà raggiungere l’obiettivo di emissioni negative. Proprio per questo, si chiedono i finanziamenti sufficienti per il raggiungimento degli obiettivi. Inoltre, i deputati vogliono istituire un Consiglio europeo per i cambiamenti climatici: un organismo scientifico indipendente per valutare i progressi dell’UE in tale direzione.

L’obiettivo proposto

L’obiettivo attuale che l’Unione europea deve raggiungere nell’ambito della riduzione delle emissioni per il 2030 è del 40% rispetto al 1990. La Commissione europea, nella proposta di legge del 4 marzo, ha proposto di arrivare almeno al 55% rispetto ai livelli del 1990, così da raggiungere la neutralità climatica per il 2050. Il Parlamento europeo si è spinto ancora più in alto, proponendo una riduzione delle emissioni del 60% al 2030, aggiungendo anche l’aumento degli obiettivi nazionali in modo equo ed efficiente, anche in termini di costi. Inoltre, tra l’obiettivo del 60% al 2030 e la neutralità climatica al 2050, gli eurodeputati hanno richiesto alla Commissione europea di stabilire anche un obiettivo intermedio per il 2040, così da garantire che l’UE intraprenda le giuste misure nel corso degli anni.

La votazione in Parlamento e i prossimi step

Nonostante il grande consenso mostrato per il Green Deal europeo, l’Eurocamera non si è mostrata così unita di fronte alla necessità di rendere più ambiziosa la legge sul clima. Il Partito popolare europeo si è espresso in modo contrario alla proposta del Parlamento ed ha quindi deciso di astenersi dalla votazione; i Conservatori e i sovranisti di Identità e democrazia hanno votato negativamente, mentre sono stati a favore i socialisti-democratici, i Verdi e gran parte dei liberali. Guardando i partiti italiani, quelli di maggioranza (PD e M5S) si sono schierati a favore, insieme a Italia Viva e Azione, mentre il voto negativo è arrivato da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. La motivazione alla base dell’astensione e del voto negativo risiede nelle conseguenze economiche e sociali che tale legge potrebbe avere. “La tutela dell’ambiente è un valore che accomuna tutti, ma anziché proporre obiettivi concreti e raggiungibili, l’Ue sacrifica lo sviluppo, le imprese e il lavoro degli italiani sull’altare di progetti utopici e totalmente irrealizzabili” hanno dichiarato i parlamentari leghisti della commissione Envi. Il giorno prima della votazione, il coordinatore per il clima e l’ambiente al PPE, Peter Liese, ha affermato “il Ppe non voterà contro, ma ci asterremo perché sinceramente il 60% non ci piace e pensiamo che metta davvero in pericolo i posti di lavoro” e ha proseguito “sosteniamo la neutralità climatica e pensiamo sia importante avere una legge per clima. Siamo molto fiduciosi che il Consiglio Ue farà attenzione e che torneremo alla proposta della Commissione europea del 55% netto”.

Il Parlamento europeo, dopo aver presentato le proprie richieste, intraprenderà i negoziati con i paesi membri dell’Unione europea. Fondamentale è anche il ruolo del Consiglio europeo che dovrà concordare una posizione comune in merito.

Stato di diritto: il rapporto della Commissione europea e un nuovo compromesso sul tavolo dei negoziati

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Sistemi giudiziari nazionali, quadri anticorruzione, pluralismo, libertà dei media e bilanciamento dei poteri: questi i temi principali per un sistema efficace di governance democratica affrontati dal report sullo Stato di diritto dell’UE, presentato il 30 settembre dalla Commissione europea. Il documento sottolinea che molti Stati membri hanno standard elevati, ma rileva altresì l’esistenza nell’Unione di seri problemi legati principalmente ai due Stati membri nel mirino in materia di Stato di diritto: Ungheria e Polonia. L’obiettivo del report è ampliare gli attuali strumenti dell’Unione europea con un nuovo meccanismo di prevenzione e promuovere un dibattito inclusivo e una cultura dello Stato di diritto in tutta l’UE. I governi dell’UE hanno, infatti, trovato un accordo su un meccanismo per legare i fondi europei al rispetto dello stato di diritto. Resta ferma, tuttavia, l’opposizione dei Paesi dell’est. “Lo Stato di diritto e i nostri valori condivisi sono alla base delle nostre società. Fanno parte della nostra identità comune di europei. Lo Stato di diritto difende i cittadini dalla legge del più forte. Pur avendo standard molto elevati in materia di Stato di diritto nell’UE, abbiamo anche diversi problemi da affrontare” ha commentato la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

Il report della Commissione europea

La relazione sullo Stato di diritto, pubblicata dalla Commissione europea il 30 settembre, presenta sia una sintesi della situazione generale dello Stato di diritto nell’Unione europea sia, nei suoi 27 capitoli dedicati a ciascuno Stato membro, delle valutazioni specifiche circa gli sviluppi significativi legati allo Stato di diritto. I temi principali affrontati nell’ambito del report, per un sistema efficace di governance democratica, sono il sistema giudiziario, il quadro anticorruzione, il pluralismo dei media e altre questioni istituzionali relative al bilanciamento dei poteri.

I capitoli dedicati a ciascuno Stato membro si basano su una valutazione qualitativa effettuata dalla Commissione: si concentrano su una sintesi degli sviluppi significativi da gennaio 2019, introdotti da una breve descrizione fattuale del quadro giuridico e istituzionale rilevante per ciascun pilastro. La Commissione ha garantito un approccio coerente ed equivalente applicando la stessa metodologia ed esaminando gli stessi argomenti in tutti gli Stati membri, pur rimanendo proporzionata alla situazione specifica e agli sviluppi. Nell’ambito della preparazione della relazione, la Commissione ha altresì invitato le parti interessate a fornire contributi scritti, attraverso una consultazione mirata delle parti interessate aperta dal 24 marzo al 4 maggio 2020.

Il documento evidenzia che molti Stati membri hanno standard elevati, ma rileva altresì l’esistenza nell’Unione di seri problemi legati allo Stato di diritto. Il testo riflette, inoltre, sulle conseguenze delle misure di emergenza adottate dagli Stati membri a causa della crisi dovuta al Covid-19.

Con riguardo ai sistemi giudiziari, il report sottolinea che alcuni Stati membri stanno avviando riforme volte a rafforzare l’indipendenza della magistratura e stanno riducendo l’influenza del potere esecutivo o legislativo sul sistema giudiziario. Il tema continua però, per alcune realtà, e soprattutto nel caso della Polonia e dell’Ungheria, a destare preoccupazione, il che ha indotto l’avvio di procedure di infrazione.

In merito all’anticorruzione, la relazione evidenzia come diversi Stati membri abbiano adottato strategie organiche di lotta alla corruzione, mentre altri le stanno predisponendo. Per garantirne la riuscita è fondamentale comunque che vi siano un’attuazione e un monitoraggio efficaci.

Nota in gran parte positiva per la libertà e il pluralismo dei media nell’Unione europea: i cittadini dell’UE godono, infatti, di elevati standard di libertà e pluralismo. Soprattutto durante la pandemia di coronavirus, i media si sono dimostrati essenziali nella lotta alla disinformazione. Anche in questo caso, tuttavia, alcune valutazioni hanno individuato casi in cui la pressione politica sui media ha dato adito a gravi preoccupazioni.

Per quanto riguarda i sistemi di bilanciamento dei poteri istituzionali, invece, molti Stati membri hanno messo a punto strategie sistematiche per coinvolgere i portatori di interessi e garantire che le riforme strutturali scaturiscano da un ampio dibattito all’interno della società. Al tempo stesso, la relazione mostra che il ricorso eccessivo a una legislazione accelerata e di emergenza può destare preoccupazioni per quanto riguarda lo Stato di diritto.

Un nuovo strumento per legare i fondi europei al rispetto dello Stato di diritto

L’obiettivo che si pone il report presentato dalla Commissione è l’ampliamento degli attuali strumenti dell’Unione europea con un nuovo strumento di prevenzione, nonché la promozione di un dibattito inclusivo e di una cultura dello Stato di diritto in tutta l’UE. Quanto al primo obiettivo, rileva che, il 30 settembre, in concomitanza alla pubblicazione del report, il governo tedesco – che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea – ha riferito di aver ricevuto un mandato per introdurre un meccanismo che colleghi l’accesso ai fondi europei – e dunque anche il Recovery Fund – al rispetto dello stato di diritto, che al momento non è garantito in diversi paesi europei a guida semi-autoritaria, come Ungheria e Polonia. Si tratta del primo passo concreto, dopo il sostanziale fallimento degli strumenti legislativi adottati, per permettere alle istituzioni europee di ottenere un efficace strumento di pressione nei confronti dei governi dei paesi dell’Est, il cui margine di manovra economico dipende molto dai fondi che ogni anno ricevono dall’Unione Europea.

I governi di diversi Stati membri del Nord Europa hanno votato contro il compromesso raggiunto in Consiglio poichè ritengono che indebolisca eccessivamente i poteri a disposizione della Commissione Europe e che di conseguenza sia troppo simile ai meccanismi poco efficaci già in vigore. La proposta è stata ovviamente respinta anche dai governi dei paesi dell’Est e dunque dai diretti interessati. Nonostante la proposta sia stata approvata dal Consiglio e verrà negoziata col Parlamento nelle prossime settimane, i governi dei paesi dell’Est hanno, infatti, già lasciato intendere di volerla bloccare ponendo il veto su un’altra questione, molto più rilevante: l’approvazione del nuovo bilancio pluriennale 2021-2028, strettamente connessa al Recovery Fund.

Brexit, la questione si fa sempre più complessa

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La Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, sta diventando sempre più complessa. Oltre alla difficoltà dei negoziati in sé, sia da parte del Regno Unito che dell’Unione europea, e dunque al raggiungimento dell’accordo volto a regolare i rapporti tra le parti dopo l’uscita del paese dall’UE, la situazione è andata complicandosi ulteriormente. Nelle ultime settimane, la Camera dei Comuni ha approvato una legge in materia di mercato interno che viola gli accordi già presi con l’Unione europea, in particolare per il rapporto con l’Irlanda del Nord. Per tutta risposta, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti del Regno Unito. L’accordo definitivo sulla Brexit, dunque, è sempre più lontano.

Il contesto

L’accordo di recesso è stato ratificato dall’Unione europea e dal Regno Unito ed è entrato in vigore il 1° febbraio 2020, iniziando a produrre effetti giuridici in base al diritto internazionale. In tale quadro, il governo di Boris Johnson ha proposto una legge, poi votata in Parlamento, che di fatto viola alcune clausole dell’accordo stretto con l’UE e, in particolar modo, quelle che riguardano l’Irlanda del Nord. Il 9 settembre 2020 è stato presentato il progetto di legge sul mercato interno del Regno Unito, che ha scatenato non poche reazioni a Bruxelles. Il vicepresidente Maroš Šefčovič ha chiesto una riunione straordinaria del comitato misto UE-Regno Unito per invitare il governo britannico a chiarire le sue intenzioni e a rispondere alle gravi preoccupazioni dell’UE. Durante la riunione, che si è svolta il 10 settembre a Londra tra Michael Gove, Cancelliere del Ducato di Lancaster, e il vicepresidente Maroš Šefčovič, quest’ultimo ha dichiarato che, se fosse stato adottato, il progetto di legge avrebbe costituito una gravissima violazione dell’accordo di recesso e del diritto internazionale, invitando il governo del Regno Unito a ritirare le misure dal progetto di legge prima possibile e, in ogni caso, entro la fine di settembre. A norma dell’accordo di recesso, durante il periodo di transizione – che termina il 31 dicembre 2020 – la Corte di giustizia dell’Unione europea ha competenza giurisdizionale e la Commissione ha potere rispetto al Regno Unito, anche per quanto riguarda l’interpretazione e l’applicazione dell’accordo.

La nuova legge in Regno Unito

Il 30 settembre, la Camera dei Comuni britannica ha approvato, con 340 voti favorevoli e 256 contrari, il progetto di legge sul mercato interno, United Kingdom Internal Market Bill, nonostante il monito dell’UE sulla possibile violazione dell’accordo di recesso. Il disegno di legge dovrà passare alla Camera dei Lord per essere definitivamente approvato. Tale legge stabilisce le regole per il funzionamento del mercato interno del Regno Unito e, dunque, del commercio tra Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, dopo la fine del periodo di transizione per la Brexit. In particolare, il progetto prevede che non ci sia nessun nuovo controllo sulle merci in transito dall’Irlanda del Nord alla Gran Bretagna. Questo elemento è particolarmente importante perché l’accordo di recesso approvato dai parlamenti europeo e inglese è nato proprio grazie ad un compromesso trovato tra i negoziatori: Johnson, a differenza della ex premier May, aveva ceduto su diversi aspetti riguardanti il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. L’UE insisteva affinché non venisse costruita alcuna frontiera tra i due paesi, ma per fare ciò l’Irlanda del Nord avrebbe dovuto continuare a rispettare le leggi europee in materia di dazi e circolazione dei beni e servizi. Ciò era, per Theresa May, una violazione dell’integrità territoriale del Regno Unito. Johnson ha inizialmente accettato la richiesta europea, per poi invece agire ora in violazione dell’accordo. La legge proposta da Johnson andrebbe, invero, a violare l’accordo di recesso in diversi punti.

La reazione dell’Unione europea

Il 1° ottobre, la Commissione europea ha inviato una lettera di costituzione in mora del Regno Unito per violazione dei suoi obblighi derivanti dall’accordo di recesso. Tale lettera si inserisce nel più ampio avvio di un procedimento formale di infrazione nei confronti del Regno Unito, che ha tempo un mese per rispondere alla lettera dell’UE. La motivazione alla base di tale lettera è che, a norma dell’articolo 5 dell’accordo di recesso, l’Unione europea e il Regno Unito devono adottare ogni misura atta ad assicurare l’adempimento degli obblighi derivanti dall’accordo e astenersi da qualsiasi misura che possa mettere in pericolo la realizzazione dei suoi obiettivi. Inoltre, le parti sono tenute a collaborare in buona fede nell’adempimento dei compiti derivanti dall’accordo di recesso. Secondo quanto affermato dalla Commissione europea, il progetto di legge inglese, se fosse adottato, costituirebbe una violazione del protocollo su Irlanda/Irlanda del Nord, in quanto consentirebbe al Regno Unito di non tener conto degli effetti giuridici delle disposizioni sostanziali del protocollo dell’accordo di recesso. Questa violazione è stata riconosciuta dai rappresentanti del governo inglese, atti a voler derogare in via permanente agli obblighi derivanti dal protocollo.

Quanto alle prossime tappe, il Regno Unito dovrà rispondere entro un mese, presentando le proprie osservazioni. Dopo aver preso conoscenza delle osservazioni inglesi, la Commissione europea potrà decidere se emettere un parere motivato, ma già sappiamo che l’Unione europea non intende proseguire i negoziati se la nuova legge entrerà in vigore. In tale contesto, infatti, si svolgono ancora i negoziati per trovare un accordo commerciale che entri in vigore alla fine del periodo di transizione: l’eventuale uscita senza accordo avrebbe effetti disastrosi per l’economia britannica e per i paesi maggiormente legati al Regno Unito.

Gli archivi storici dell’Unione Europea a Firenze, miniera di conoscenza e di emozioni

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Immersa nelle colline fiorentine c’è una bellissima villa che ospita un tesoro di conoscenza e di emozioni: sono gli archivi storici dell’Unione europea (acronimo ASUE in italiano, HAEU in inglese). Sono sistemati in un bunker sotterraneo nel quale sono assicurate le migliori condizioni climatiche (temperatura e umidità) per la conservazione di un deposito di documenti che si arricchisce anno dopo anno, man mano che scadono i 30 anni di tempo che li rendono disponibili come documenti storici fruibili da tutti. Li abbiamo visitati, insieme ad altri colleghi, il 21 settembre scorso, in occasione di un seminario di formazione per giornalisti organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Toscana in collaborazione con gli stessi Archivi, alcune fondazioni e il network delle cattedre Jean Monnet coordinato, per queste occasioni di studio, dal prof. Pasquale Lino Saccà.

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Nagorno-Karabakh: un conflitto prennunciato che deve essere evitato per gli interessi italiani

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Dalla mattinata di domenica 27 settembre 2020 la linea di confine tra l’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh (Artsakh come preferiscono chiamarla gli armeni) e l’Azerbaigian è stata sconvolta dalla ripresa delle ostilità con perdite militari e civili ingenti e la mobilitazione generale annunciata sia dal governo di Erevan che da quello di Baku.  Leggi Tutto

Unione europea – Bielorussia, le discussioni in Parlamento e in Consiglio Affari Esteri per imporre le sanzioni

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La questione della Bielorussia continua ad essere centrale nell’Unione europea, pur essendo passato oltre un mese dalla data delle elezioni che hanno visto Lukashenko riconfermarsi come Presidente. Da allora, la situazione non sembra essere migliorata: la principale leader dell’opposizione, Svetlana Tikhanovskaya, si trova ancora fuori dal proprio paese, nel quale continuano le manifestazioni contro il potere di Lukashenko, seguite anche da arresti e repressioni. Inoltre, il 23 settembre, Lukashenko si è ufficialmente insediato come Presidente ma in gran segreto, giurando in una cerimonia tenuta nascosta fino all’ultimo momento, e impegnandosi a “servire la gente della Bielorussia lealmente, a rispettare e proteggere i diritti e le libertà dei cittadini e a rispettare e proteggere la costituzione”, scatenando così ulteriori proteste, poi represse. Per questo motivo, in questi giorni, sia il Parlamento europeo che il Consiglio Affari Esteri hanno affrontato la questione, non riconoscendo il risultato, né tantomeno Lukashenko come presidente legittimo, e proponendo sanzioni ben precise, ma non senza difficoltà.

Il dibattito in Parlamento

Il 17 settembre, i deputati dell’Europarlamento hanno richiesto l’adozione di sanzioni da parte dell’Unione europea contro il gruppo di individui responsabili della falsificazione dei risultati elettorali e della violenta repressione delle proteste in Bielorussia, compreso anche il presidente Lukashenko, ed hanno invitato gli Stati membri dell’UE ad attuare queste misure restrittive in sede di Consiglio europeo. I deputati, inoltre, hanno condannato anche gli arresti di massa e la violenta repressone in corso nei confronti di manifestanti pacifici, leader promotori di scioperi e giornalisti, anche a seguito delle numerose segnalazioni di maltrattamenti e torture vere e proprie emerse dai centri di detenzione e dalle carceri bielorusse.

Con una risoluzione adottata con 574 favorevoli, 37 contrari e 82 astensioni, il Parlamento europeo ha respinto e rifiutato di riconoscere i risultati ufficiali delle elezioni presidenziali bielorusse dello scorso 9 agosto, in quanto si sono svolte in violazione di tutti gli standard internazionalmente riconosciuti. Una volta scaduto il mandato dell’attuale presidente, Lukashenko, il Parlamento non lo riconoscerà più come presidente del Paese. Nell’ambito di tale risoluzione, in Italia ha avuto molto risonanza l’astensione della Lega, e non sono mancate le critiche degli eurodeputati del Partito Democratico contro tale decisione.

Ad ogni modo, per rendere effettive tali sanzioni, serve il via libera del Consiglio europeo, composto dai capi di Stato o di governo dei Paesi membri dell’UE.

L’incontro del Parlamento con Svetlana Tikhanovskaya

Lunedì 21 settembre, la principale oppositrice di Lukashenko ha parlato in commissione Affari Esteri al Parlamento europeo, appellandosi alla comunità internazionale per ricevere il sostegno necessario alla battaglia che si sta combattendo. “Chiediamo all’intera comunità internazionale di non accettare la legittimazione di Lukashenko perché non è legittimato agli occhi del popolo bielorusso. Hanno rubato i nostri voti durante le elezioni” ha affermato la leader dell’opposizione bielorussa nel punto stampa tenuto con il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli. “Continueremo a protestare per settimane, mesi, anche anni, se necessario. Non saremo più ostaggi di Lukashenko, non vivremo più nelle sue prigioni, non torneremo più nello stato in cui abbiamo versato per ventisei anni” ha dichiarato decisa la Tikhanovskaya, affermando che, di fatto, quella di Lukashenko è una dittatura che, senza l’aiuto della comunità internazionale, è difficile fermare. “Chiedo a tutti di dare voce alla situazione nel nostro Paese perché solo con l’aiuto della comunità internazionale potremo vincere la nostra lotta per la democrazia in Bielorussia”. “Non è una rivoluzione geopolitica, a favore o contro la Russia o a favore o contro l’Ue. È una rivoluzione democratica per la Bielorussia” ha concluso la leader bielorussa, decisa ad andare fino in fondo a tale vicenda.

Il presidente della Commissione affari esteri, David McAllister, dopo l’incontro con la leader bielorussa ha affermato “Sono stato molto lieto di dare il benvenuto di persona alla Tikhanovskaya alla nostra riunione di commissione oggi per un dibattito interessante e stimolante. La posizione del Parlamento europeo è molto chiara: respingiamo i risultati delle cosiddette elezioni presidenziali svoltesi in Bielorussia il 9 agosto, in quanto si sono svolte in flagrante violazione di tutti gli standard internazionalmente riconosciuti. […] Ciò di cui la Bielorussia ha bisogno ora è una transizione di potere pacifica e democratica come risultato di un dialogo nazionale inclusivo tra tutte le parti interessate”.

La questione al Consiglio Affari Esteri

Il 21 settembre, in concomitanza con la visita di Svetlana Tikhanovskaya, il Consiglio Affari Esteri, che riunisce i ministri degli esteri dei paesi UE, ha discusso, tra le altre cose, anche della situazione in Bielorussia. Lo stesso Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’UE, ha incontrato la Tikhanovskaya prima del Consiglio ed ha riconosciuto l’importanza della sua perseveranza nella lotta contro Lukashenko: “Sosterremo un dialogo interno inclusivo, per elezioni libere e giuste. Questo non può essere considerata un’interferenza negli affari interni. La democrazia e i diritti umani sono al cuore dell’identità dell’Ue” ha affermato il capo della diplomazia europea.

Sebbene i ministri degli esteri abbiano rilevato la determinazione e la perseveranza dei cittadini bielorussi malgrado la repressione, abbiano espresso loro piena solidarietà per le loro aspirazioni democratiche e abbiano chiesto nuove elezioni libere e regolari sotto la supervisione dell’OSCE, non sono riusciti ad imporre le sanzioni. “Nonostante ci sia una chiara volontà” di imporre le sanzioni richieste anche dal Parlamento europeo, “non è stato possibile raggiungere l’unanimità necessaria”, ha affermato Borrell. In particolare, a porre un freno a tali sanzioni è stato il ministro degli esteri cipriota, per una ragione ben precisa: “Le reazioni dell’Ue alle violazioni di qualsiasi principio o valore dell’Unione non possono essere à la carte”; se si procede con le sanzioni alla Bielorussia, per il cipriota è necessario procedere anche con le sanzioni per la Turchia, nel caso di un fallimento del dialogo con Ankara. Per questo motivo, entrambe le questioni sono state rimandate al prossimo Consiglio europeo.

La Commissione europea ha presentato un nuovo piano sulla migrazione e l’asilo

EUROPA di

Un nuovo inizio in materia di migrazione: il 23 settembre la Commissione europea ha proposto un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo che contempla i diversi elementi necessari per un approccio europeo globale alla materia. Il piano mira a stabilire procedure migliori e più rapide durante tutto il sistema di asilo e migrazione e a garantire un equilibrio tra i principi di equa ripartizione della responsabilità e solidarietà. Ciò risulta fondamentale per ripristinare la fiducia tra gli Stati membri e nella capacità dell’Unione europea di gestire i flussi migratori. I due obiettivi principali del piano sono, infatti, costruire la fiducia e trovare un nuovo equilibrio tra responsabilità e solidarietà. Tuttavia, il nodo principale risulta essere la condivisione dei rimpatri dei migranti, più che la condivisione dell’accoglienza.

L’esigenza di una riforma

Il fenomeno della migrazione risulta essere molto complesso, con molteplici sfaccettature che devono essere analizzate congiuntamente: dalla sicurezza delle persone che cercano protezione internazionale o una vita migliore, alle preoccupazioni dei paesi che si trovano in prossimità delle frontiere esterne dell’UE, che temono le ripercussioni delle pressioni migratorie e che necessitano di solidarietà,  alle preoccupazioni di altri Stati membri, i quali paventano che, in caso di mancato rispetto delle procedure alle frontiere esterne, i rispettivi sistemi nazionali di asilo, integrazione o rimpatrio non siano in grado di far fronte a eventuali grandi flussi. Il sistema attuale basato sul Regolamento di Dublino non risulta essere efficiente e negli ultimi cinque anni, dopo l’apice dei flussi migratori aventi come destinazione le coste europee raggiunto nel 2015, l’Unione europea non è riuscita a porvi rimedio. Il Regolamento di Dublino, infatti, attualmente, si presenta come un collo di bottiglia legislativo che trattiene in Italia e in Grecia, i due Stati di maggior approdo, migliaia di migranti che arrivano via mare, considerato dagli esperti di immigrazione datato e inefficiente.

L’UE è chiamata dunque a superare l’attuale situazione di stallo e dimostrarsi in grado di gestire un fenomeno così complesso e con ripercussioni cruciali.

Il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo

Con il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo presentato il 23 settembre, la Commissione europea propone soluzioni comuni a quella che è una sfida europea, che coinvolge, seppur in misura diversa, tutti gli Stati membri. Le proposte tengono fede all’impegno assunto dalla Presidente Ursula von der Leyen nei suoi orientamenti politici e sono state anticipate nel suo recente discorso sullo stato dell’Unione dello scorso 16 settembre. Inoltre, il patto si basa su consultazioni approfondite con il Parlamento europeo, tutti gli Stati membri, la società civile, le parti sociali e le imprese, e mira a garantire un attento equilibrio che integra le loro prospettive.

Il primo pilastro proposto dalla Commissione per promuovere la fiducia nella materia migratoria consiste in procedure più efficienti e più rapide. In particolare, la Commissione propone di introdurre una procedura integrata di frontiera che, per la prima volta, prevede accertamenti preliminari all’ingresso riguardo all’identificazione di tutte le persone che attraversano le frontiere esterne dell’UE senza autorizzazione o che sono sbarcate in seguito a un’operazione di ricerca e soccorso.

Il secondo pilastro del patto è l’equa ripartizione della responsabilità e la solidarietà: gli Stati membri saranno tenuti ad agire in modo responsabile e solidale. Ogni Stato membro, senza eccezioni, deve, infatti, contribuire a stabilizzare il sistema generale, sostenere gli Stati membri sotto pressione e garantire che l’Unione adempia ai propri obblighi umanitari.

In aggiunta, l’UE cercherà di promuovere partenariati su misura e reciprocamente vantaggiosi con i paesi terzi, nonché di dar vita ad un sistema comune dell’Unione per i rimpatri, al fine di rendere più credibili ed effettive le norme dell’UE in materia di migrazione. Proporrà, inoltre, una governance comune per la migrazione con una migliore pianificazione strategica per garantire che le politiche dell’UE e quelle nazionali siano allineate, e un monitoraggio rafforzato della gestione della migrazione per rafforzare la fiducia reciproca. La gestione delle frontiere esterne sarà migliorata attraverso il corpo permanente della guardia di frontiera e costiera europea, il cui impiego è previsto a partire dal 1º gennaio 2021, che fornirà un maggiore sostegno ovunque necessario.

In sostanza, tuttavia, la nuova proposta punta a condividere lo sforzo europeo sui rimpatri più che sull’accoglienza: prevedendo la possibilità di scegliere se accogliere concretamente i richiedenti nel proprio territorio oppure se aiutare i paesi di primo ingresso, cioè Italia, Grecia e Spagna, a rimpatriare un numero pari di richiedenti asilo la cui richiesta di protezione è stata negata, oppure, terza opzione, finanziare centri di accoglienza nei paesi di primo ingresso o programmi di sviluppo nei paesi di origine dei richiedenti.

Dichiarazioni e prossime tappe

Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, ha dichiarato “Oggi proponiamo una soluzione europea per ricostruire la fiducia tra Stati membri e per ripristinare la fiducia dei cittadini nella nostra capacità di gestire come Unione”. “L’Ue ha già dato prova in altri settori della sua capacità di fare passi straordinari per conciliare prospettive divergenti – ha affermato la Von der Leyen – Ora è tempo di alzare la sfida per gestire la migrazione in modo congiunto, col giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità”.

Spetta ora al Parlamento europeo ed al Consiglio esaminare e adottare l’intera legislazione necessaria per realizzare una vera politica comune in materia di asilo e migrazione. Data l’urgenza della situazione in vari Stati membri, i legislatori europei sono invitati a raggiungere un accordo politico sui principi fondamentali del regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, nonchè ad adottare il regolamento relativo all’Agenzia dell’UE per l’asilo e il regolamento Eurodac entro la fine dell’anno. Anche la direttiva sulle condizioni di accoglienza, il regolamento qualifiche e la rifusione della direttiva rimpatri dovrebbero essere adottati rapidamente, sulla base dei progressi già compiuti dal 2016.

Francesca Scalpelli
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