GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Settembre 2017

Herat, solidarietà italiana per bambini e disabili

ASIA PACIFICO/SICUREZZA di

Nell’ambito delle attività di cooperazione civile e militare portate avanti dal Train Advise Assiste Command West sono stati consegnati materiali didattici, sportivi e ludici nella Sezione Femminile del Carcere di Herat e nella Fondazione “PIR Herat Charity”, che si occupa di assistenza a persone disabili di ogni età, in un Paese in cui il sostegno alle persone in difficoltà è tuttora molto limitato.

L’iniziativa è stata portata avanti in collaborazione con le ONLUS “Ampio Raggio” di Boscoreale nell’ambito del progetto “Ponte della solidarietà Italia Afghanistan patrocinato dal Consiglio Regionale della Campania e dell’Accademia Bonifaciana, in collaborazione con il “Centro Servizi Volontariato” di Napoli e l’Associazione Nazionale Autieri d’Italia, in sinergia con enti, istituzioni, gruppi di Protezione Civile e associazioni.

Nel carcere femminile di Herat sono infatti ospitati anche i figli delle detenute ed a loro sono stati donati i materiali didattici e una ludoteca con giochi e arredi per bambini tra 1 e 6 anni. La fondazione “PIR Herat Charity” ha ricevuto invece canestri, numerosi palloni e completi da pallacanestro per la squadra di basket in sedia a rotelle, che nel percorso riabilitativo partecipa a competizioni in Afghanistan e all’estero.

Nel corso della donazione, presieduta dal Comandante del TAAC West Generale Massimo Biagini, la direttrice del carcere femminile, Colonnello Sima Pazhman, ha ringraziato il contingente italiano per il supporto fornito all’Associazione “Ampio Raggio”, la cui donazione permetterà ai piccoli figli delle detenute di vivere insieme alle madri in un ambiente un po’ più sereno. Toccanti sono state le parole del Presidente della Herat Charity Foundation, Mr. Abdul Ali Barakzai, che ha confermato come consideri il suo Centro come “un pezzo di Italia, grazie al continuo supporto ricevuto nel corso degli anni dai soldati e dal popolo italiano. Siete nostri amici e rimarrete per sempre nostri amici”.

Croce Rossa Italiana all’ONU per il trattato sul nucleare

EUROPA/SICUREZZA di

Può esistere un mondo senza il nucleare? E’ la domanda che in molti si stanno facendo e proprio in questi giorni a New York si discute il trattato di messa al bando del nucleare approvato da 120 paesi ma ancora ostacolato da molte potenze occidentali, nonostante gli evidenti rischi per la stabilità di certe aree come testimonia l’attuale crisi in Corea del Nord.

Tra i promotori di questo importante trattato anche la Croce Rossa che sin dalle sue prime fasi ha voluto fortemente promuovere una soluzione di questo tipo ed è per questo che è presente all’Assemblea Generale dell’ONU il Vice Presidente della Croce Rossa Italiana Rosario Valastro che ha partecipato in questo consesso a due importanti discussione, Nucleare e vittime tra gli operatori umanitari nelle aree di crisi.

Abbiamo raggiunto telefonicamente il Vice presidente a New York durante i lavori per sapere come si stanno svolgendo i lavori.

AC: “Dottor Valastro, la Croce Rossa Italiana oggi è all’ONU a New York per discutere due temi molto importanti. Il primo è il trattato sulla messa al bando del nucleare al livello mondiale e l’altro tema è purtroppo l’uccisione degli operatori umanitari durante le operazioni di soccorso. Per quanto riguarda il primo punto quanto è importante questo trattato per il futuro dell’umanità?”

V: “Si tratta di un trattato storico, direi, importante e vitale. Il comitato internazionale della croce rossa ha molto spinto sull’informazione relativa a questo trattato, che, salvo qualche notizia a luglio, è passato sotto silenzio, perché gli effetti delle bombe atomiche incidono sulle vite decine di migliaia di persone e si tutte le future generazioni. Quindi la croce rossa sotto il suo focus dell’attenzione all’ umanità e dell’assistere tutte le persone vulnerabili ha fatto leva sugli stati affinché se ne discutesse. A luglio c’è stata l’approvazione a due terzi, quindi il trattato è una trattato di cui si è aperto il processo di ratifica. Chiaramente tra tutti gli assenti pesano tanto le assenze di quelli che sono molti stati dell’unione europea oltre di quelle che sono le cosiddette potenze nucleari. Il lavoro è lungo; però riuscire a raggiungere un obiettivo di umanità è sicuramente una lotta che necessiterà del suo tempo ma noi non disperiamo.”

AC: “Qual è il polso della situazione secondo lei su queste assenze molto importanti. C’è speranza che queste nazioni prendano coscienza e aderiscano in un prossimo futuro ?”

V: “Ma guardi sicuramente c’è speranza, si tratta a mio avviso di un lavoro che va fatto su un duplice piano. Va fatto innanzitutto informando la cittadinanza su quelli che sono gli effetti dei danni nucleari e sul contenuto di questo trattato. E l’altro è un lavoro che riguarda le cancellerie, i ministeri degli Esteri di questi paesi che naturalmente potranno e dovranno agire nella maniera in cui possano raggiungere un accordo. Non è una cosa facile ma non era neanche facile ad esempio l’affermazione di umanità nelle convenzioni di Ginevra quando esse vennero firmate. Si tratta di una cosa che sta iniziando, vedremo nel prossimo futuro quali di questi 122 paesi inizieranno il processo di ratifica del trattato internazionale perché sicuramente se la risposta su questa sarà una risposta importante ci sarà allora la possibilità che altri si uniscano.”

AC: “Tra i grandi assenti anche l’Italia; come mai?”

V: “Quasi tutti i paesi dell’Ue hanno preso una posizione attendista su questo argomento. Noi contiamo di fare, come già qualche società di croce rossa in altri paesi ha fatto, contiamo di fare un’operazione di informazione, di incontro e di confronto per spingere il governo e il parlamento ad affrontare il tema. Comprendo anche che ci sono tutta una serie di rapporti fra stati che pesano molto su questa firma; però l’obiettivo dei 122 stati raggiunto a luglio, che ha aperto il processo di firma, è comunque un obiettivo importante che deve far riflettere tutte le nazioni.”

AC: “Certo questo è un momento particolare, perché con le frizioni del sud est asiatico, la paura del nucleare è tornata alla ribalta in maniera prepotente.”

V: “Si non c’è dubbio, così come non c’è dubbio che ci sono paesi che non vogliono ratificare il trattato perché per loro il nucleare esiste come un’arma di deterrenza verso chi minaccia di usarlo; come in un circolo viscoso che naturalmente spaventa un po’ tutti o comunque dà adito a non muoversi dalle proprie posizioni.”

AC: “L’altro tema invece sono le moltissime vittime tra gli operatori umanitari nelle zone di guerra mentre  portano soccorso; questa discussione come sta andando avanti all’Onu?”

V: “È un discussione che si inserisce in un dibattito più ampio che è iniziato oggi e si consoliderà domani, su quella che è la politica dell’Onu per combattere il traffico degli esseri umani. Si tratta di un argomento che sfocia in un documento che riafferma quelle che sono le politiche umanitarie anche in tal campo e all’interno di questo, quella che è la posizione della federazione internazionale della croce rossa dell’attenzione verso le persone migranti che sono molto spesso vittime della tratta così come le categorie più vulnerabili come donne e bambini e anche chiaramente di quella che è la situazione in cui restano gli operatori umanitari in generale, che spesso proprio per portare aiuto ai più vulnerabili, rischiano o hanno perso la loro vita.”

Il dibattito sul nucleare non si esaurirà molto presto purtroppo soprattutto in questo momento che ci vede spettatori di diverse crisi internazionali, sia nel quadrante del medio oriente che in quello dell’asia pacifico dove si fronteggiano le grandi potenze di questo secolo in cerca di un adeguato posizionamento nella geopolitica mondiale.

Onu: al via la riforma delle attività di peace-keeping

POLITICA/SICUREZZA di

In occasione della seduta n. 8051ST di mercoledì scorso, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, riaffermando con convinzione la responsabilità primaria degli Stati membri per la risoluzione pacifica delle controversie internazionali e sottolineando altresì il contributo fondamentale dell’Onu nelle operazioni preventive destinate a evitare lo scoppio di nuovi conflitti armati, ha richiamato l’attenzione sulla necessità di una più stretta collaborazione tra l’Organizzazione ed i singoli governi nazionali, nonché di una riforma strutturale del Segretariato delle Nazioni Unite che sia funzionale al rafforzamento dell’architettura interna del sistema Onu in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Quest’ultima, intervenuta con l’approvazione a votazione segreta della risoluzione 2378(2017), oltre a riconfermare il primato della politica e della diplomazia (e quindi l’importanza delle attività di mediazione, monitoraggio del cessate-il-fuoco e supporto all’implementazione degli accordi di pace), ha anche rinnovato il mandato e le procedure già esistenti in materia peace-keeping introducendo importanti elementi di novità tra cui iniziative di diversa natura tese al miglioramento dell’organizzazione e della pianificazione delle operazioni dei caschi blu, l’incremento di competenze utili per aumentare l’efficienza delle missioni Onu nelle principali aree di crisi e la richiesta di un maggior impegno delle Organizzazioni regionali (con particolare riferimento a quelle del continente africano) nel garantire la sicurezza dei popoli ed assicurarsi le risorse di tipo logistico-finanziario indispensabili per espletamento delle loro funzioni. È, appunto, con l’Unione africana (UA) che, secondo i membri del Cds, il Segretario Generale dovrebbe rafforzare la collaborazione per individuare ed attivare canali che favoriscano la comunicazione tra il Segretariato, la Commissione ed i due Consigli.

Le Nazioni Unite dovrebbero inoltre impegnarsi a sviluppare nuove partnerships che aiutino l’Organizzazione di New York ad affrontare le molteplici minacce alla pace e alla sicurezza internazionali provenienti dal terrorismo di matrice jihadista, dai conflitti aperti in Medio Oriente, come anche dal quadrante Asia-Pacifico.

Diverse delegazioni, comprese quelle di Svezia, Regno Unito e Giappone, hanno poi sottolineato la necessità di favorire un graduale processo di inclusione delle donne nelle missioni di peace-keeping condotte dall’Onu, incoraggiando la loro promozione a posizioni di maggior rilievo, mentre il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha ricordato, insieme al Segretario generale António Guterres l’importanza del dialogo e del processo negoziale per favorire una risoluzione dei conflitti che non richieda l’intervento dei caschi blu. Infatti, secondo il politico portoghese, nonostante le missioni di peace-keeping rappresentino uno dei più efficaci strumenti per la pacificazione di aree lacerate da guerre e crisi incancrenite, esse dovrebbero sempre affiancare e mai sostituire l’attività diplomatica e disporre, inoltre, di equipaggiamenti più appropriati rispetto a quelli attuai ed unità d’intelligence meglio coordinate e ben addestrate.

di Marta Panaiotti

Kurdistan Iracheno, in attesa del risultato referendario

ASIA PACIFICO/POLITICA di

Erbil, il referendum annunciato dopo la consapevolezza che il percolo Isis era ormai sotto controllo è in atto. La città di quattro milioni di persone è interamente coinvolta e partecipe, le bandiere della regione autonoma del Kurdistan sventolano dalle finestre e dalle auto nel traffico della ring road locale, mentre in tutta la regione sono 5,6 milioni i curdi chiamati al voto.

Per il referendum questo è il momento migliore, forse l’unico, forte della resistenza al terrorismo islamico che ha compattato tutta la popolazione contro un unico nemico e che di fatto ha permesso il controllo del territorio lasciato indifeso dall’esercito nazionale iracheno, discioltosi all’avanzare delle bandiere nere.

Il Presidente Barzani  però non riesce ad ottenere il sostegno internazionale che pensava di avere, Trump  non ha voluto schierarsi con i Kurdi  come molte delle cancellerie occidentali, solo Israele ha dichiarato il suo sostegno all’indipendenza Kurda con l’evidente obiettivo di  bloccare il piano Iraniano di sviluppare il famoso corridoio sciita.

Oltre confine invece la Turchia è assolutamente contraria per il timore di vedere convergere su questo stato indipendente anche i curdi di Turchia, Siria e Iran con evidenti problemi politici e di sicurezza nazionale.

D’altronde solo in questo momento Barzani poteva provare ad incassare il credito speso con la difesa e liberazione di Kirkuk prima e Mosul poi con grande dispendio di vite umane.

Attendiamo allora la chiusura delle urne per capire come si muoverà il governo centrale di Bagdad nei confronti della Regione Autonoma alla quale non permetterà certo di appropriarsi dei pozzi petroliferi di Kirkuk e delle relazioni con i principali attori della zona, Siria, Iran, Truchia e la coalizione internazionale

Catalogna, si accende lo scontro Barcellona -Madrid

EUROPA/Senza categoria di

Livelli di tensione fuori limite quelli fra Barcellona e Madrid quando ormai mancano pochi giorni all’1 di Ottobre, data fissata dalla Comunità catalana per il referendum sull’indipendenza della regione. Nella mattinata di mercoledì 20 settembre gli agenti della Guardia Civil spagnola hanno arrestato 14 elementi di spicco tra funzionari ed esponenti del governo catalano, compreso Josep Maria Jové, il braccio destro del vice presidente catalano, con l’accusa di essere fra i principali organizzatori del referendum non riconosciuto e ritenuto illegale dal governo centrale di Madrid. Sono state inoltre sequestrate milioni di tessere elettorali che dovevano essere utilizzate durante il referendum, e le perquisizioni hanno avuto luogo anche negli uffici delle Entrate, del Welfare  e del Centro Telecomunicazioni regionale, oltre naturalmente agli uffici dell’esecutivo catalano.

Poche ore dopo gli arresti, si sono radunati migliaia di persone per protestare contro l’azione del governo centrale e sei suoi militari. La protesta prosegue da giorni, con striscioni e cori a favore del referendum e dei diritti democratici e contro le’ “forze di occupazione autoritarie”.

Il primo ministro Rajoy difende la decisione del governo, dichiarando che tale operazione è a difesa dei diritti di tutta la Spagna e del suo popolo, che tale referendum è stato bocciato dalla legge e che per tale ragione bisogna difendere la democrazia facendo rispettare le sentenze giudiziarie. In risposta agli arresti e perquisizioni, il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, ha convocato una riunione d’urgenza dichiarando “che la democrazia è stata sospesa in Catalogna, che il governo ha oltrepassato la linea rossa e si è convertito in una vergogna antidemocratica”, il tutto seguito dalla conferma che il primo di ottobre il referendum si farà e da un richiamo al popolo catalano di rispondere in modo fermo ma sempre in maniera civile e pacifica. Anche la sindaca di Barcellona, Ada Colau, ha definito “scandaloso” ciò che avvenuto nella mattinata di mercoledì, definendo “uno scandalo democratico la perquisizione di istituzioni e gli arresti di cariche pubbliche per motivi politici”.

Tutto ciò rappresenta solo l’ultima azione intrapresa da Madrid per cercare di fermare lo svolgimento del referendum fissato per il primo di ottobre. L’ultimo tentativo era stato il blocco dei fondi federali di Madrid, per evitare che soldi pubblici venissero utilizzati per l’organizzazione del referendum. La Corte Costituzionale, inoltre,  aveva sospeso l’efficacia del referendum, su richiesta del governo centrale: il referendum è ritenuto illegale e non verrà tenuto conto dell’esito di un risultato che potrebbe mettere in discussione l’indivisibilità e l’unità della Spagna, sancite, appunto, dalla Costituzione. Il presidente catalano, nonostante i continui ostacoli, aveva firmato il decreto per convocare la consultazione popolare. Questi ha ottenuto l’approvazione di circa settecento sindaci catalani che hanno promesso l’apertura dei seggi e il regolare svolgimento delle votazioni.

Non siamo al primo caso di organizzazione di un referendum in Catalogna. Tre anni fa si era cercato di organizzarne un altro, bloccato dal Tribunale Costituzionale spagnolo, e trasformato in una consultazione informale da parte delle istituzioni catalane. L’indipendentismo catalano è un argomento al centro del dibattito da molti anni, ma negli ultimi anni ha acquisito nuova linfa vitale e nuova forza, oltre che essere, naturalmente, fonte di forti tensioni fra Barcellona e Madrid. Il tentativo del 2014, anche se del tutto informale ebbe un’affluenza stimata attorno al 36% degli aventi diritto, con l’80% favorevoli all’indipendenza. Naturalmente, la consultazione non ha avuto nessun valore legale, visto il blocco del Tribunale Costituzionale. Al centro dell’attuale scontro abbiamo una legge approvata dal Parlamento catalano “La ley del referéndum de autoderminación vinculante sobre la independencia de Cataluňa”, che come può dedursi è stata pensata e creata per essere vincolante. Nello specifico, in caso di vittoria dei favorevoli, le autorità catalane dovrebbero dichiarare l’indipendenza della Catalogna. Per i partiti indipendentisti i problemi iniziano il 7 settembre, quando il Tribunale Costituzionale spagnola sospende la legge sul referendum approvata  dal Parlamento catalano e vietando ai sindaci catalani e ai funzionari del governo di partecipare all’organizzazione del progetto. Il giorno successivo, l’8 settembre, interviene anche il Tribunale superiore di giustizia della Catalogna, ordinando alle forze di sicurezza (Guardia Civile, Polizia Nazionale, Mossos d’Esquadra e polizia locale) di iniziare le operazioni di sequestro del materiale del referendum. Lo stesso giorno sono iniziate in diversi comuni alcune operazioni compiute soprattutto dalla Guardia Civil, un corpo di natura militare che dipende da Madrid, culminate in perquisizioni, sequestri e gli arresti di Barcellona. Il corpo di polizia che è rimasto sostanzialmente defilato in tali operazioni è stato quello dei Mossos d’Esquadra, che dipende dal ministero degli interni catalano. Questi sono stati accusati anzi di non fare abbastanza per impedire il referendum e quindi seguire la linea imposta da Rajoy. A oggi non è chiaro come si comporteranno il giorno del referendum: se seguiranno gli ordini della magistratura e impediranno il normale svolgimento delle votazioni o se garantiranno le operazioni di voto e la sicurezza dei seggi.

Dal punto di vista catalano, non c’è stata nessuna trattativa da parte di Madrid, ma solo una repressione immediata, come nei regimi autoritari che coprono le loro decisioni con atti giudiziari. La questione, secondo molti, non è la repressione dell’indipendentismo catalano o meno, ma lo svolgimento di un referendum in cui i cittadini possono esprimere in maniera del tutto libera la loro opinione sullo stato attuale e futuro del loro paese. Non si tratta di una semplice distinzione buonista, perché secondo gli ultimi sondaggi meno della metà dei catalani sarebbe favorevole all’indipendenza, mentre quasi tutti sono a favore del diritto di decidere. Se si seguisse l’esempio di altri paesi, come nel caso scozzese nel Regno Unito, gli indipendentisti magari perderebbero il loro referendum (visto i sondaggi appena citati) e in quel casi si aprirebbe una trattativa per garantire maggiore autonomia alla Catalogna. Ma se si continua con umiliazioni e provocazioni, nell’arco di poco tempo, la questione potrebbe cambiare con un aumento della forza dei favorevoli all’indipendenza.

Nel frattempo arrivano dichiarazioni da Bruxelles, dove l’UE prende posizione a favore del governo spagnolo: “l’UE rispetta l’ordine costituzionale della Spagna come con tutti gli stati membri ed è in seno a questo che tutte queste questioni potranno o dovranno essere affrontate”. Anche Parigi si schiera “per una Spagna unita e forte”.

È difficile prevedere quale sarà il risultato del referendum, se dovesse effettivamente svolgersi. Nel corso degli anni passati i sondaggi sull’indipendenza sono stati parecchi, con risultati molte volte diversi, a secondo dell’istituto che li realizzava e dei quesiti posti. Non è da sottovalutare nemmeno l’impatto degli eventi degli ultimi giorni sulle intenzioni di voto  dei cittadini catalani. Per ora, l’unico fatto certo è che non sembrano esserci  margini di negoziato tra il governo centrale spagnolo e quello catalano. Non ci resta che aspettare.

 

Mario Savina

Bookreporter, puntata del 22 settembre 2017

BOOKREPORTER di

Un nuovo appuntamento con il nostro programma radiofonico Book Reporter, in onda su Radio GODOT

Come sempre in compagnia di Alessandro Conte,Laura Sacher,Aurora Vena e Laura Laportella, quelli di BookReporter !

Nella prima parte della puntata con l’ospite Fulco Lanchester, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso “La Sapienza” Università di Roma, con cui parleremo della Germania.

Nella seconda parte della programmazione, dopo la biografia della Premier Merkel redatta da Aurora e la presentazione del film “The arrival” con Laportella avremo modo di confrontarci con il nostro Testimone, Fabio Polese, giornalista e fotoreporter, che ha realizzato reportage in Irlanda del Nord, Belgio, Libano, Kosovo, Birmania, Thailandia, Cambogia e Vietnam.

Buon ascolto!

 

Mosul, gli alpini della Task Force Presidium addestrano le forze Curdo-irachene all’operatività in montagna

ASIA PACIFICO/SICUREZZA di

Presso la diga di  Mosul è stata inaugurata una nuova area addestrativa mirata ad aumentare la capacità operativa delle truppe Curdo –Irachene nel combattimento in quota.

La palestra di Roccia realizzata dalla Task Force Presidium e battezzata “Monte nero” in onore della battaglia del 3° Alpini nella prima Guerra Mondiale è in gardo di fornire un ampio ventaglio di scenrai utili alla formazione montana, la parete messa in sicurezza e dotata di 12 vie ferrate con difficoltà variabile sarà utilizzata per l’addestramento delle truppe operanti  nell’area.

La cerimonia è stata presieduta dal Comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, accompagnato dal Comandante del Contingente Italiano e Deputy Commanding General for Training presso il Combined Joint Force Land Component Command – Operation Inherent Resolve, Generale di Brigata Francesco Maria Ceravolo.

In questa area  sotto il  coordinamento del Kurdistan Training Coordination Center (KTCC), l’Unità addestrativa multinazionale a guida italiana, sarà avviato prossimamente il primo corso di di Mountain Warfare Basic Skills, svolto dagli istruttori alpini a favore del Battaglione Kommando degli Zaravani delle Forze di Sicurezza Kurde.

La missione italiana

L’Italia partecipa con la “Missione PrimaParthica, secondo contributore dopo gli USA, all’Operazione “Inherent Resolve” di contrasto al terrorismo internazionale”: 1500 militari appartenenti a tutte le Forze Armate, impiegati nelle sedi di Baghdad e Erbil nell’addestramento delle Forze di Sicurezza curde (Peshmerga) ed irachene, ed assicurando a tutta la Coalizione, con un Task Group aeromobile dislocato presso  l’aeroporto di Erbil, la capacità di Personal Recovery (PR) in tutto il quadrante settentrionale  del teatro iracheno.

Nell’ambito di tale missione, la Task Force “Praesidium”, con i suoi 500 uomini e donne dell’Esercito italiano, garantisce la sicurezza al sedime della diga dove la ditta italiana Trevi Spa sta operando per mettere in sicurezza l’infrastruttura idraulica e scongiurarne il rischio di una catastrofe ambientale.

Inaugurato il 18° corso NATO Regional Cooperation Course

EUROPA/SICUREZZA di

NATO Defense College di Roma, si ѐ tenuta la cerimonia di inaugurazione della diciottesima edizione del NATO Regional Cooperation Course (NRCC 18).
Per l’occasione, il Generale Chris Whitecross, Comandante del NDC, ha dato il benvenuto al Generale Salvatore Farina, Comandante del NATO Joint Forces Command di Brunssum (Olanda), il quale ha presieduto l’evento con un “Inauguration Lecture” nell’Auditorium del College.

Il NRCC e’ stato istituito il 2009, e da allora ha sottolineato il Generale WHITECROOS, e’ stato riconosciuto dai leader NATO come una pietra miliare dell’impegno dell’Alleanza nei confronti dei Paesi Partner.
Il corso NRCC, uno dei programmi educativi più importanti offerti dal NDC, annovera questa volta 46 partecipanti provenienti da 20 Paesi, tra cui Stati Membri della NATO, paesi aderenti al Programma Partnership for Peace (PfP), al programma Mediterranean Dialogue (MD), alla Istanbul Cooperation Initiative (ICI) e membri appartenenti ad altri Paesi Partner.

Gli obiettivi del corso comprendono il rafforzamento del dialogo e della cooperazione internazionale in merito alla sicurezza e alla stabilità della regione Medio-Orientale: la diffusione della conoscenza riguardo la realtà storico-politica dell’area: lo sviluppo della capacità analitica dei partecipanti attraverso discussioni e dibattiti e l’analisi dei punti chiave riguardanti la relazione tra l’Alleanza Atlantica ed il Medio Oriente. Nel sottolineare questi propositi, il Comandante del College ha inoltre ricordato come non vi sia alcun dubbio che la stabilità e la sicurezza dei paesi NATO sia cruciale per il resto del mondo e dunque lo stesso principio valga per il Medio-Oriente e i suoi Partners.

Successivamente il Comandante ha dato la parola al Generale Farina, oratore principale dell’evento, per la sua lezione inaugurale. Durante il suo intervento il Generale Farina ha illustrato il processo di adattamento dell’Alleanza per fronteggiare le nuove sfide, offrendo la prospettiva del Comandante Operativo Joint di Brunssum.

In particolare nell’esporre il focus dei 3 Core Tasks della NATO: Collective Defence, Crisis Response Operations e Cooperative Security il Generale Farina ha sottolineato come a fattor comune la prevenzione, la dissuasione e il dialogo debbano sempre accompagnare qualsiasi misura di adattamento dell’Alleanza.
Altrettanto importante il ruolo della NATO nella Cooperative Security e nel supporto alla lotta contro il terrorismo.Si dovranno quindi prevedere forze credibili, pronte e ben addestrate unitamente a chiari messaggi ed iniziative non escalatorie e non provocative.

Infine, rispondendo a specifici quesiti il Comandante di JFC Brunssum ha elogiato la decisione di costituire l’HUB for the South in seno al Comando “gemello” di Napoli, riconoscimento dell’iniziativa dei Paesi del fianco Sud e chiaro successo della leadership italiana nel portare avanti detta proposta.

 

 

Redazione
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