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Motta live all’Hacienda di Roma: quando tutto suona!

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Chi ha avuto l’opportunità di vedere Motta dal vivo, sa quanto la sua energia trovi la giusta cornice su un palco. Per il lancio del nuovo progetto “SUONA! VOL.1”, all’Hacienda di Roma il 7 e 8 novembre, Motta ha portato in scena uno spettacolo che supera i confini del concerto tradizionale, proponendo un’esperienza nuova e totale, in cui lo studio di registrazione e la dimensione live si fondono, avvolgendo il pubblico in un’atmosfera unica, fatta di sound sofisticati, psichedelici e di un’attitudine profondamente sincera e libera.

Il nuovo progetto in studio è infatti molto più di un semplice album: è un esperimento artistico audace che rimette al centro l’esperienza del live. Come ha spiegato Motta, l’obiettivo è quello di “riportare la musica live in uno studio di registrazione e non il contrario,” cercando di ricreare l’energia del palco anche nell’ascolto domestico.

E viceversa, durante il concerto, le tracce dell’album hanno preso vita in maniera del tutto inaspettata, con la band all’interno di un cerchio al centro della sala, riportando dal vivo l’atmosfera di uno studio di registrazione. Le canzoni hanno attraversato una trasformazione, con arrangiamenti nuovi, nudi, che hanno ipnotizzato il pubblico che accerchiava la scena, mostrando la piena potenza espressiva della sua musica, capace di toccare corde profonde e trasportaci fuori dal tempo. Una magia sostenuta dalla perfetta sinergia artistica tra Motta e i suoi compagni di viaggio, che hanno resto la performance unica e irripetibile, con due ospiti d’eccezione per questa prima data romana come Truppi e Danno.

Motta è accompagnato in questo viaggio da Roberta Sammarelli (Verdena) al basso, Cesare Petulicchio alla batteria e Giorgio Maria Condemi alla chitarra, che hanno contribuito a dare al progetto un tocco personale e una profondità sonora che raramente si ascolta nel panorama italiano. Una varietà stilistica che intreccia suoni distorti e contaminazioni, ridando vita a ogni brano con l’attitudine di libertà e oscura ribellione che è il cuore della musica di Motta. Ogni canzone è un’espressione senza filtri, e l’album “SUONA! VOL.1”, distribuito da Sona Music Records e ADA Music Italy, rappresenta il primo capitolo di un percorso nuovo per Motta, che esplora una dimensione musicale quasi sperimentale. È un invito a scardinare le convenzioni, a reinventare la musica non solo per il pubblico, ma anche per il piacere stesso di farla.

Con questo progetto, Motta inaugura la sua etichetta discografica, Sona Music Records, un’idea che trae origine dalla sua esperienza iniziale nella provincia italiana, dove la musica era una forza liberatoria e spontanea. “Il nome SONA è un riferimento a quando ho iniziato a suonare,” racconta Motta. “Era un modo per ricordare l’importanza di fare musica senza compromessi, senza parlare troppo, lasciando che fosse la musica a farlo.” E non sono mancati anche questa sera i “sona!” urlati dal pubblico quando Francesco si dilungava un po’ troppo nelle introduzioni.

In sintesi, il concerto all’Hacienda di Roma è stato pensato per immergere i presenti al centro del processo creativo, creando una connessione diretta e potente tra artista e pubblico. Da sempre, la dimensione live è quella che esalta al meglio l’energia e il carisma di Motta, mettendo in luce non solo le sue doti artistiche, ma anche l’impatto emotivo delle sue canzoni. In questo evento Motta ha dato il massimo, trasformando il concerto in un’esperienza irripetibile che ha segnato un momento memorabile per tutti i presenti e un’importante tappa della sua carriera.

Dopo le date di Roma, il tour proseguirà a Milano, presso il BASE, il 27 e il 28 novembre. Un totale di soli quattro appuntamenti unici e intimi, organizzati da Magellano Concerti, pensati per chi apprezza la dimensione sperimentale e l’innovazione di questa rilettura in chiave pura e sincera delle più belle canzoni di Motta. Imperdibile!

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I BSBE riempiono il MONK

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Chiudono il loro Next Big Tour a casa i Bud Spencer Blues Explosion, band alternative rock-punk blues formatasi nel 2006, ed anche il MONK, come molte delle altre date, registra un sold out.
Adriano Viterbini e Cesare Petulicchio ci hanno oramai abituato a performance di alto livello, che portano il pubblico dentro un’altra dimensione, la loro dimensione, dove una chitarra, una voce ed una batteria ricreano quel caratteristico sound graffiante ed immersivo che tanto colpisce ed affascina.
Pezzi provenienti dal loro ultimo album Next Big Niente ma anche i “loro classici”, come la versione personalissima di “Hey Boy Hey Girl” con la quale aprono ed infiammano fin da subito il MONK.
è sempre un grande piacere partecipare ad un loro concerto!

Ad aprire la serata sono stati i Bento, duo molto interessante in cui tastiere, sint e batteria danno vita ad una miscela esplosiva di diversi generi musicali: triphop, rock, elettronica, pop. Bravi Francesco Barletta ed Umberto Coviello, vi auguro di fare molta strada sui palchi d’Italia!

Gazebo Penguins – Frammenti discreti e indivisibili

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È passato quasi un anno dall’uscita del loro ultimo album quando i Gazebo Penguins annunciano una nuova data,  all’ Orion Club di Ciampino all’interno delle serate Blackout.

Ad aprire la serata la band romana dei Wake Up Call, per promuovere il loro primo album in italiano “Doveva essere un disco indie”. Un titolo che preannuncia quello che la loro musica non è. Un album, come una raccolta di fotografie, che racconta undici storie diverse in formule che non si ripetono: tante sfumature, dalle canzoni più introspettive a quelle in cui l’ironia la fa da padrona, dalle sonorità più dure ai brani di più facile ascolto.

Dopo aver girato l’Europa e l’Asia con i loro brani in inglese, hanno deciso di tornare a casa e raccontarsi nella loro lingua madre.

Sul palco hanno una grande energia che, nonostante l’ora avanzata, accende gli animi del pubblico in attesa della seconda parte del live di questa sera. Si divertono, fanno divertire il pubblico e si portano a casa un concerto senza incertezze.

Dopo una manciata di minuti salgono sul palco gli headliners.

Di ritorno sulle scene a quasi un anno dall’uscita dell’ultimo album “Quanto” – pubblicato lo scorso 16 dicembre per Garrincha Dischi, con la collaborazione di To Lose La Track, storica etichetta della band, i GAZEBO PENGUINS si confermano uno dei gruppi più interessanti del post-hardcore/emo-core italiano.

Quanto” è un viaggio lungo 7 canzoni che attraversano l’obliquità dello spazio e del tempo, l’inesistenza del vuoto, i buchi neri, per raccontare concezioni del mondo inedite attraverso una visione sfocata, sfuggente. Come lo è l’atmosfera in cui veniamo proiettati durante il concerto, sepolti sotto un muro di suono denso e spesso, generato da sferzate di chitarra e colpi di batteria da cui si staglia un cantato urgente e urlato, quasi un grido disperato: un caos primordiale dove la tensione sonora è vivissima e sempre sul punto di esplodere.

Il titolo del nuovo album è legato alla meccanica quantistica, alle sue possibilità di mondi infiniti, e sia le tematiche che il loro approccio dal vivo si discostano in vari aspetti dai tanti altri gruppi che seguono lo stesso genere.

Esplorando concetti cari alla fisica moderna e alla filosofia della scienza, il nuovo album della band emiliana traccia un percorso che oltrepassa la superficie della realtà per addentrarsi più nel profondo, verso ciò che ancora non conosciamo.

A livello sonoro il gruppo propone soluzioni innovative, sperimentando in alcuni brani fino a spingersi al limite della destrutturazione, pur mantenendo le coordinate care ai fan che li seguono da anni e che cantano con forza tutti i loro ricordi nei brani più popolari della band, da “Senza di te” a “Soffrire non è utile”, brani che, incredibile ma vero, hanno ormai superato i dieci anni, appartenendo di diritto a quel momento cruciale in cui la musica italiana ha preso quella curva inaspettata che la ha cambiata radicalmente.

La band di Correggio infiamma la platea con ogni brano, la scaletta mescola con sapienza brani estratti dall’ultimo disco con altri del passato, con una grande capacità di svincolarsi dai cliché che si potrebbero associare al genere.

Gazebo Penguins sono distantissimi dai vari stereotipi del post punk-hardcore o dell’indie. Il sound creato è massivo ma pulito, la batteria di Pietro Cottafavi è precisa, le voci unite di Malavasi e Andrea Sologni creano un impasto al contempo straziante ed energico. Un muro di suoni da cui trapassano tutte le emozioni, senza lasciar fuori niente.

Un concerto senza pause, energico, in cui la tensione non ha mai accennato a diminuire, tenendo la platea col respiro spezzato, fino all’ultima nota.

 

 

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Sei tutto l’indie (di cui ho bisogno)

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Sei tutto l’indie Fest

Si è festeggiato al Monk il decimo anniversario di “Sei tutto l’Indie”, community fondata da Giuseppe Piccoli e Gianmarco Perrotta nel 2013.

A rappresentare lo spirito della community, si sono esibiti Kuni, Soloperisoci, Clavdio e Management. È proprio degli allora Management del Dolore Postoperatorio il brano Pornobisogno, dal cui ritornello è stato coniato il nome del progetto.

Questo anniversario è anche l’occasione per riflettere sullo stato attuale del circuito indie, cosa è rimasto dello spirito e del sound originale e quali possono essere le evoluzioni attuali e future.

Apre i festeggiamenti un breve incontro nel cortile del Monk, con Exitwell, sul tema dell’Indie italiano. Come e quando è nato? A che punto è adesso? E’attivo, è morto, e soprattutto ha ancora senso parlare di Indie quando l’indie diventa mainstream (riferimento all’album di Calcutta assolutamente voluto)? Può avere senso universalmente, ò è un tipo di attitudine che può essere sincero e spontaneo solo nei localini di una città come Roma?

Potremmo filosofeggiare per ore, ma è giunta l’ora di tornare in sala e assistere all’eterea performance di Kuni, pop elegante tinteggiata di rock, di stampo prettamente (ahimé oserei dire) internazionale. A suo agio sul palco (a parte una battaglia persa con gli in ear), Eleonora ha stoffa e potremmo sentirne parlare a breve, quando il progetto sarà un filo più definito e pronto a decollare veramente.

La “festa” continua con i Soloperisoci (al secolo Ernesto e i Soci) in formazione ridotta e temporanea che scatena l’entusiasmo dei presenti. Presentano i brani del loro album di debutto “Ingresso Riservato” (posso stringere la mano virtualmente a chi sceglie nomi e titoli di questa band?). Le prime file cantano a squarciagola i testi delle canzoni, con frasi che sono già slogan, e sembra davvero di tornare a dieci anni fa, quando nei locali si esibivano gruppi e artisti che crescevano grazie ai loro seguaci. Pop rock scaltro, interessante, con venature post-punk, e che ti resta ben bene incollato al cervello, schiarendoci l’idea di quello che può essere la scena attuale. Se la cavano più che dignitosamente e non vediamo l’ora di tornare a vederli in formazione completa, indossando le loro iconiche magliette.

Dopo le nuove leve è il turno di un rinnovato e più profondo Clavdio. Notevoli doti di scrittura che rendono allegra ogni vena malinconica che trafigge i suoi brani.  Una scaletta che spazia dai brani dei suoi esordi, quando era ancora “Il Rondine” a quelli dei suoi album “Togliatti Boulevard” e il più recente “Guerra Fredda”. Grandi capacità di scrittura, una penna in apparenza semplice, ma piena di richiami e giochi di parole, capace di trasmettere una scarica di emozioni sincere. Nella sua esibizione solitaria, Clavdio ci fa ben sperare che l’indie respiri ancora a pieni polmoni, al di là di ogni più pessimistico pronostico.

Siamo ancora in questo stato semi-onirico, immersi nei ricordi e nelle evocazioni, quando sul palco esplode la furia dei Management.  E cambiamo totalmente registro. La staticità di Clavdio, che ci ha smosso un milione di colori nel cuore (riferimento al suo brano assolutamente voluto), è spazzata via, o meglio risvegliata bruscamente dal sogno, dalla folle energia dei Management. Adrenalina, teatralità, provocazione, un’esibizione che ti lascia i lividi addosso, e che ti piace. Innegabili il carisma (e la follia) di Luca Romagnoli, biondo-platinato di fresco, con la sua sovrumana carica adrenalinica, che travolge e stravolge tutto ciò che si trova davanti e infiamma letteralmente il Monk. Una carrellata di brani, principalmente dal loro album “Ansia Capitale”, fino alla conclusiva, immancabile, già citata “Pornobisogno”.

Ospite d’eccezione Niccolò Carnesi, stella del cantautorato italiano, che ha all’attivo molteplici collaborazioni tra cui Brunori SAS, Lo Stato Sociale, Dente, Dimartino, Luci della Centrale elettrica, Appino, etc. Romagnoli butta giù, o meglio invade, le barriere che dividono pubblico e artisti sul palco, in un’esibizione che resterà nella storia (annunciata una lunga pausa dai live per i Management) per la qualità sonora e per la carica emotiva condivisa in questa serata speciale di “commemorazione” di uno dei più solidi movimenti della musica italiana, nato senza sapere di esserlo.

Si spengono le luci al grido di “l’indie è morto”, ma non ne siamo così sicuri. La serata prosegue, il live lascia il posto alle selezioni musicali e al popolo danzante. Se ce ne andiamo senza aver trovato risposta ai nostri interrogativi, abbiamo assaporato quanto abbiamo ancora voglia di concerti nei locali, di scoprire nuova musica, di cantare i testi sottopalco e avere un senso di appartenenza a qualcosa che sta prendendo forma. In questa serata nostalgica, ha vinto tutto l’indie di cui abbiamo ancora bisogno.

 

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Ginevra Baldassari
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