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Elena Bittante - page 2

Elena Bittante has 39 articles published.

“The Grand Balls of the 19th Century”: la magia della danza si racconta nella storia, anche in inglese

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Il fascino incantato dei balli d’altre epoche si vive o si racconta. Dopo cinque ristampe di “Gran Balli dell’800”, arriva la versione tradotta “The Grand Balls of the 19th Century”, un libro da leggere tutto d’un fiato, anche in inglese. Un valzer di parole che ci accompagna nella cultura d’altri tempi: la danza come archetipo di socializzazione, un linguaggio universale che univa la borghesia e l’aristocrazia in una rosa di coreografie e di intese. Capitolo dopo capitolo scopriremo che la storia è stata scritta anche nei saloni da ballo.

Non solo un racconto per entusiasti estimatori o appassionati ballerini, “Gran Balli dell’800” (ediz. Armando Curcio Editore, 2009) racconta uno spaccato della società del XVIII – XIX secolo che può interessare un vasto pubblico. Un meticoloso lavoro di ricerca svolto dal Presidente della Compagnia di Danza StoricaNino Graziano Luca,un’analisi di importanti documenti e manuali storici che ha portato al recupero e alla valorizzazione di cimeli della letteratura europea. Testimonianze che dalla danza riconducono a preziosi dettagli della società, un menabò del ballo che abbraccia un periodo storico dal tardo ‘700 sino al ‘900. Il libro riassume 30 anni di appassionata e approfondita ricerca. Presentato alla Camera dei Deputati e all’Ambasciata d’Austria, è ora disponibile anche la versione in lingua inglese per condividerlo senza confini, una scelta coerente al suo contenuto: la danza è un linguaggio universale.

Nino Graziano Luca, dopo cinque ristampe in italiano il libro “Gran Balli dell’800” arriva anche la versione in inglese “The Grand Balls of the 19th Century”. Da dove nasce questa idea e cosa racconta?

“L’idea di una versione in lingua inglese è nata da un incontro con il professore Alkis Raftis, presidente del consiglio internazionale della danza Unesco. Da grande estimatore del lavoro che ho svolto in questi anni, mi ha spronato a scrivere una versione in inglese perché condivisibile e sempre attuale. “The Grand Balls of the 19th Century” descrive un arco temporale dal tardo ‘700 all’inizio del ‘900 e dei relativi cambiamenti sociali, i quali hanno consentito che il ballo diventasse il “luogo” centrale della vita sociale ottocentesca. Nel libro racconto quali erano le danze richieste per poter partecipare ad un ballo, quali erano le danze che non potevano mancare in un carnet de bal ma anche dell’etichetta, della toiletta e quali erano le nozioni comportamentali e relazionali che dovevano essere osservate e stabilite tra i partecipanti. Il libro è pieno di aneddoti storici ma anche di curiosità sfiziose. Non mancano alcuni spunti tratti dai più celebri romanzi ottocenteschi che animano il racconto oltre alla “didattica” del suo contenuto. Mi piace dire che questo lavoro nasce come un saggio ma è scritto con i toni del romanzo. Il mio desiderio è quello di coinvolgere tutti i lettori attraverso un parlato semplice e proiettarli in un contesto attraente e affascinante, quello della danza sociale e della danza storica. Questa scelta ripropone la stessa “chiave di lettura” di tutte le iniziative che ho organizzato e descritto in questi anni, finalizzate alla promozione della danza storica e della danza sociale.

Aneddoti e curiosità sembrano il modo più interessante per descrivere la storia della danza, anche quella del costume e della società?

“Il libro è ricco di aneddoti molto divertenti che introducono un’attenta analisi legata a come nel sociale ci sia stata l’affermazione della borghesia e la condivisione degli spazi di divertimento tra borghesia e aristocrazia. Questo aspetto emerge chiaramente in un passaggio descritto nel libro che cita “Il modo più acconcio di stare in iscelta società”, scritto nel 1839 da Luigi Bortolotti. Da questo estratto evidenzio come per la prima volta in un manuale, oltre a trovare delle indicazioni su come si danzava, c’erano anche dei suggerimenti su come comportarsi in un ballo.

Ovviamente questo libro era destinato ai borghesi, un vademecum delle “buone maniere” che l’aristocrazia acquisiva nelle proprie dimore grazie agli impeccabili insegnamenti dei precettori. La scelta di citare questo manuale e una serie di altri libri è indispensabile per testimoniare la coesione sociale nei balli. Nel lavoro svolto cerco di descrivere tutti gli avvenimenti che hanno contraddistinto questo mondo di intrattenimento evidenziando come il ballo sia stato anche il luogo d’espressione delle mode dal tardo ‘700 all’inizio del ‘900. La danza era un vero e proprio linguaggio condiviso. Oggi sono i magazine e i social che influenzano il costume, all’epoca era il ballo a consentire la coesione sociale e la condivisione delle mode, a differenza del teatro e della sala dei concerti che mantenevano le differenze sociali. Il documento più antico di vera coesione sociale che ho trovato nella mia lunga ricerca risale al 1805: un ballo a Bologna in cui la coesione nasceva dall’obolo che veniva pagato, il medesimo per gli aristocratici, per i borghesi e per gli ecclesiastici in quanto il ricavato sarebbe stato devoluto in beneficenza. Sono questi gli aneddoti speciali che ricreano il contesto attraverso la realtà dei fatti, un’informazione che non rinuncia alle emozioni e alle sensazioni. Ne è la prova tangibile la citazione che apre il libro: “Un ballo, quale magica parola per i giovani di venti anni, un paradiso in terra ove tutto pare etereo…”. Parole sognanti per introdurre il ballo come poesia ma soprattutto come centro della vita sociale per eccellenza.”

Le fotografie di “ The Grand Balls of the 19th Century” sono tutte attinenti ad eventi e gran balli storici organizzati dalla Compagnia Nazionale di Danza Storica. La scelta delle immagini è a cura di Nino Graziano Luca e di Armando Curci Editore. Le illustrazioni appartengono alla pinacoteca personale di Armando Curci Editore.

The Grand Balls of the 19th Century”, è disponibile nella piattaforma libri dell’Unesco.

Hundertwasser House, l’edilizia popolare come opera d’arte

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La città dell’eleganza innata, dei walzer sognanti e della storia imperiale si racconta anche nella trasgressione architettonica del ‘900: la Hundertwasser House spicca tra i delicati toni pastello di Vienna inebriandola con i suoi colori vibranti. Il rigore asburgico cambia linguaggio e si racconta con ironia.

Un sognatore razionale Friedensreich Hundertwasser, pioniere dell’architettura sostenibile che sin da tempi non sospetti realizzò numerosi edifici ispirati alla natura e alle sue forme con progetti virtuosi per l’ambiente. La sua tecnica spaziò nelle più sfrenate fantasie creative, in costante bilico tra fisica e metafisica teorizzando concetti a tratti surreali come “I diritti delle finestre”, convinto sostenitore che gli edifici non fossero costruiti da pareti murarie ma proprio dalle finestre, per l’artista, occhi attraverso i quali guardare il mondo nell’intimità della propria casa. Architetto visionario ed esponente dell’architettura organica, descrisse la sua ricerca con linee irregolari e forme ispirate alla natura più che alla ragione. La Hundertwasser House ne è l’esempio perfetto nonché la sua opera architettonica più famosa che stacca dalla trama urbana viennese catalizzando migliaia di visitatori curiosi.

Un edificio d’avanguardia stilistica ma anche un progetto virtuoso e morale. La Hundertwasser House nasce infatti come social housing, un complesso residenziale creato nel 1985 per i meno abbienti. Ospita 50 appartamenti, 16 terrazze private e 3 comuni, alcuni negozi, un ristorante, un parco giochi per bambini e una palestra. Vere e proprie case popolari con vezzo creativo e struttura innovativa. L’architetto desiderava rompere con lo stile dell’edilizia moderna, da lui ritenuta istituzionale, fredda e spesso banale, ideò così un’alternativa unica e originale che potesse rispondere anche ai canoni della sostenibilità ambientale, sensibilità molto meno diffusa a quel tempo. L’edificio venne infatti costruito con materiali ecologici di origine naturale: spesse murature in argilla per la coibentazione, legno per gli infissi, ceramica per i pavimenti, vernici e colle di origine naturale e piante ed alberi come elementi architettonici. La vegetazione è un elemento imprescindibile per Hundertwasser e nella House viennese ammanta il tetto, le terrazze e i loggiati. Le strutture sono state progettate con fogli anti–radice per la protezione dei solai e pannelli isolanti, presentano inoltre strati di pomice e ghiaia per drenare l’acqua e apposite griglie di acciaio inossidabile per contenere le radici. La Hundertwasser House ospita dei veri e propri giardini pensili, microcosmi naturali nella dimensione urbana che si sostentano grazie ad un sistema di irrigazione che veicola l’acqua piovana raccolta da una cisterna.

Questo atipico complesso residenziale unico nel suo genere si presenta come un elemento di rottura nell’edilizia di Weissgerber, composto quartiere nel centro della capitale austriaca. Spicca tra gli edifici dalle linee brutaliste e nostalgici condomini in stile ottocentesco, un paese dei balocchi nel rigore viennese. Le sue forme singolari e i suoi colori vividi appaiono come un miraggio urbano, simile ad un set cinematografico più che ad un complesso di case popolari, capace di catturare anche l’attenzione dei passanti più distratti ed attrarre orde di turisti che aspettano il loro turno per scattare una foto ricordo con sfondo multicolor, spesso ignorando l’entità del progetto. Gli appartamenti si distinguono per le diverse tonalità, una caratteristica che i veneziani possono riconoscere facilmente associando la Hundertwasser House alle case variopinte dell’isola di Burano, il concetto è il medesimo ma sviluppato in altezza. Un rincorrersi di finestre irregolari e un menabò di ceramiche di recupero volutamente diverse nelle forme, un puzzle scomposto che si rivela nell’armonia totalizzante di un incastro perfetto. Hundertwasser concepì questo progetto secondo una tecnica conosciuta come “transautomatismo”, la capacità dell’artista di attingere al suo subconscio e trasferire le sue emozioni su tela facendo dei movimenti automatici. Una sfida vinta quella dell’eclettico architetto che ha saputo tradurre in tecnica strutturale lo slancio emozionale, una progettazione che coniuga l’istinto alla razionalità ispirandosi alla natura. La Vienna sognante non vive solo nelle storie dei reali ma anche ai piani bassi della società dove ribolle una creatività capace di trasformare delle case popolari in un’opera d’arte.

Nota di viaggio

Dopo il complesso residenziale non perdete una visita al Museo Hundertwasser dove ammirare i dipinti, i disegni e i progetti architettonici di Freidrich Hundertwasser.

Immagine copertina: Hundertwasser House, Weissgerber, Vienna.

Photo credits: Elena Bittante

Il Gran Ballo di Carnevale tra le Epoche, alla Pinacoteca del Tesoriere un viaggio nel tempo e nelle emozioni

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La Compagnia Nazionale di Danza Storica racconta il passato narrando una favola, un susseguirsi ipnotico di volteggi tra nuvole di cipria e abiti principeschi delle sue dame. Il Gran Ballo di Carnevale tra le Epoche organizzato magistralmente da Nino Graziano Luca, ha aperto il sipario sabato 16 febbraio tra i saloni della Pinacoteca del Tesoriere nel cuore di Roma. Un atelier danzante tra i capolavori del Guercino, una grande festa con abiti del ‘700 ma non solo. Il ballo come una girandola nella storia del costume, dall’eleganza composta delle principesse rinascimentali accompagnate da prodi paladini, sino al fascino ardito delle protagoniste del charleston vegliate da lord con bombetta di un nostalgico ‘900. Un viaggio tra le epoche in punta di piedi, a ritmo di musica e all’insegna dell’eleganza innata della danza.

Un carillon appassionato che ha alternato le armonie dei valzer classici come il “Carnival Waltz” di apertura, al motivetto ironico di “The Waltzing Cat” dalle note simili a miagolii: la danza storica è un omaggio all’allegria e il segreto è quello di lasciarsi andare. Lo conferma l’Organizzatore dell’evento, Presidente Direttore artistico della Compagnia Nazionale di Danza Storica Nino Graziano Luca che sottolinea le potenzialità della danza come espressione personale e collante sociale: “Roger Garaudy diceva: “Danzare la vita”. Se superi la fase iniziale dell’imbarazzo, la danza ti consente di essere veramente te stesso. Diventa una parte fondamentale della vita se credi che questa sia fatta di naturalezza. Una sorta di magia che coinvolge tutti, anche chi non è un ballerino provetto può trasmettere gioia. L’idea di ballo deve essere condivisa a vari livelli, danzare ti consente di metterti a contatto con il bello e con l’armonia che ci circonda.” La danza storica dunque non solo fa sognare con abiti da fiaba e viaggiare tra le epoche ma è un’opportunità per far emergere le proprie consapevolezze ed entrare in empatia con gli altri partecipanti, un equilibrio che si riassume nell’armonia dei suoi passi.

Il Gran Ballo di Carnevale nasce come un excursus storico tra le epoche, quale migliore occasione per stimolare l’estro dei suoi partecipanti nell’accurata scelta dell’abito ma soprattutto raccontare in un’unica grande festa gli intenti della Compagnia che da tanti anni si ripropone di seguire un attento lavoro filologico. Come spiega il maestro Nino Graziano Luca: “Per me la danza storica riconduce a tutto ciò che è rintracciabile nei manuali dalla metà del ‘400 in poi. Un lavoro di ricerca che seguo da ormai 30 anni, un percorso documentato nei manuali scritti dai grandi maestri di ballo a partire dal primo Rinascimento. Il primo manuale che è stato rintracciato è il “De arte saltandi et choreas ducendi” di Domenico da Piacenza databile tra il 1445 – 1447. Questo manoscritto è considerato il primo manuale di “danza sociale”. Il mio desiderio è quello di riproporre le danze che sono rintracciabili nei testi, quindi dal ‘400 sino all’inizio del ‘900. La scelta segue un percorso che si attiene agli scritti ma non intende declassare le tantissime danze occitane del periodo antecedente che non sono rintracciabili nei manuali.”

Un ballo come una macchina del tempo, azionata da un repertorio che spazia nei secoli. La Compagnia, dopo un’assidua preparazione dei suoi partecipanti nelle sue scuole presenti in tutta Italia (con sede principale a Roma), ogni mese è solita organizzare degli appuntamenti danzanti ambientati nelle varie epoche senza mai tralasciare una giusta causa, coerente in tutto e per tutto alla definizione di “danza sociale”. Alcune serate rendono protagonisti anche quei ballerini che nella loro vita devono affrontare un quotidiano difficile. Che siano balli ispirati alle favole principesche di Sissi oppure ai saloni con vista sulla Neva della regale San Pietroburgo, la condivisione resta il comune denominatore negli intenti della Compagnia. Come sottolinea Nino Graziano Luca: “Alcuni balli prevedono di coinvolgere anche chi non ha mai ballato, farlo è estremamente semplice, la cosa importante è avere voglia di mettersi in gioco.” Continua il maestro: “Esiste un repertorio storico e filologico ballabile da chiunque, d’altronde la danza sociale aveva questo come obiettivo principale, mirare a creare socializzazione. Oggi io parlo di “socializzazione culturale”, all’epoca era una normale pratica: attraverso la danza riuscivi ad avere contatti”. Alle sue parole appare esaustivo il detto che si bisbigliava nei saloni dell’800: “Tre balli fanno una sposa”. Nell’epoca del 2.0 potrebbe sembrare una forma di conoscenza esuberante, eppure il ballo ripropone una socializzazione più reale della dimensione virtuale alla quale siamo spesso soggiogati.

Il Gran Ballo di Carnevale tra le Epoche, una serata magica all’insegna della cultura che ha coinvolto davvero tutti, anche due splendide stelle nascenti del panorama cinematografico italiano, Miriam Galanti e Katia Greco. Miriam, incantevole in un abito settecentesco blu e oro, ha dichiarato: “Partecipare al Gran Ballo di Carnevale tra le Epoche è una splendida opportunità, una favola ad occhi aperti. Mi sembra di tornare bambina, voglio lasciarmi trasportare dalla magia di questa location e dai suoi partecipanti, tutti con abiti bellissimi e curati sino ai minimi dettagli. Sono davvero felice di condividere la passione di tante persone che vivono questo mondo con orgoglio e desiderano condividerlo.” Anche Katia è stata attratta dal fascino settecentesco e per la serata ha scelto un bellissimo abito rosa e verde menta: “Voglio farmi travolgere dall’energia della serata e dai suoi protagonisti. Facendo l’attrice mi è capitato di studiare qualche coreografia ma è la mia prima volta in un ballo di danza storica. Un’esperienza davvero unica”.

Il Gran Ballo di Carnevale tra le Epoche è stato un appuntamento con la cultura e la bellezza, un viaggio nel tempo e un gioco entusiasmante che indovina le rievocazioni di un passato che ci appartiene. La danza storica racconta con leggerezza un’intensa ricerca filologica che avvalora quella personale. Chiunque può ballare e lasciarsi andare.

Prossimi appuntamenti

23 febbraio 2019: DANZAINFIERA celebra i trent’anni di attività di Nino Graziano Luca e le Danze Storiche. Presentazione in anteprima della traduzione in inglese del libro di Nino Graziano Luca sui Gran Balli dell’800  “The Grand Balls of the 19th Century”, il quale sarà venduto nella piattaforma libri dell’Unesco. 

Fortezza da Basso, Firenze.

2 marzo 2019: Gran Ballo in Maschera, Distretto militare di Catania.

4 maggio 2019: Gran Ballo dll’800 sul Lago di Como,Teatro Sociale, Como. 

Immagini

“Gran Ballo di Carnevale tra le Epoche”, Compagnia Nazionale di Danza Storica, diretta da Nino Graziano Luca.

Sabato 16 febbraio, Pinacoteca del Tesoriere, Roma.

Muscat, tra incenso, datteri e madreperla. La tradizione mercantile dell’Oman nel quartiere di Mutrah

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Muscat si rivela una città del sogno, un viaggio da mille e una notte nell’atmosfera autentica di un mondo arabo dove il tempo sembra essersi fermato. La sua posizione strategica, protetta dalle montagne del deserto e affacciata sulle acque dell’oceano Indiano, permise lo sviluppo di un’antica tradizione commerciale che oggi vive nel porto e nel souq, il mercato coperto dove i turisti amano perdere l’orientamento tra le nuvole d’incenso e il caleidoscopio delle merci variopinte.

La capitale dell’Oman anticipa la sua identità priva di contaminazioni avveniristiche dettate da ricchezze repentine. L’effetto dell’ “oro nero” non ha distorto la sua dimensione urbana fatta di case basse ed arabeschi, a differenza della vicina Dubai. Il profumo d’incenso misto ai fiori di ibisco mischia la sua essenza all’odore pungente del mare: è la città che accoglie il suo porto, il luogo che ha fatto la sua storia e racconta un presente votato al commercio. Oggi come allora Muscat vive dei suoi traffici mercantili, motore dell’economia locale e attrazione irresistibile per i visitatori.

La passeggiata lungo la Corniche
Mutrah Fort

Nel II secolo la città era un importante centro per il commercio del pesce, dei datteri, della madreperla e del frenchincenso, una pregiata resina aromatica richiesta sin dall’altra parte dell’ecumene conosciuto. I traffici con il Mediterraneo erano continui, anche il suo nome lo testimonia: furono i greci a battezzarla Muscat che significa “ancoraggio”. A raccontare la vocazione mercantile anche il postumo Mutrah Fort, avamposto portoghese di fine ‘500 che tutt’oggi si ammira abbarbicato sulla collina che sorveglia Mutrah, all’estremità orientale del porto.

Lo sviluppo della città avvenne lungo la costa, in uno stretto lembo di terra che alterna i sobborghi residenziali ad ampi spazi aperti di montagna. Le brulle alture la incorniciano e a tratti penetrano il territorio abitato rendendolo un centro dispersivo, unico nel suo genere. Il quartiere di Mutrah è una delle aree di questo tessuto urbano “segmentato”, dove è racchiusa l’essenza più autentica della capitale omanita, legata al commercio e alla vita di mare distante dai frenetici ritmi capitalistici. La Corniche, è la lunga passeggiata che costeggia la zona, conduce al porto e al souq. Bastano gli scorci che si susseguono lungo il percorso a descrivere l’identità di questa città in simbiosi con l’oceano: il via vai di barche che anima il golfo e il lungo mare che accoglie turisti e pescatori con le sue case ornate da finestre graticolate, una caratteristica ricorrente in tutta Muscat. Gli edifici si rifanno a delle rigorose norme edilizie che richiedono almeno la presenza di una cupola o di finestre con arabeschi. Questa politica urbana rende il profilo cittadino ordinato ed uniforme, affine all’iconico gusto locale. L’orario migliore per visitare la zona del porto è all’alba quando si anima il mercato del pesce (situato accanto al Marina Hotel, si svolge ogni giorno dalle 6 alle 10), oppure al tramonto, quando le ombre delle cupole civili e delle mezze lune religiose si allungano verso il mare mentre le creste dei monti si delineano in lontananza. Uno spettacolo da non perdere all’inizio o al volgere del dì.

Il mercato coperto di Mutrah
Artigianato locale
Nuvole di frenchincenso, Mutrah souq

Il mercato coperto di Muscat a Mutrah è tra le mete più gettonate della città e si rivela straordinariamente effervescente ma non caotico. Si distingue dall’esagitato caos compulsivo che caratterizza i commerci arabi. Il suo souq è coerente alla tradizione composta di popolo omanita, gentile ed accogliente, che lo distingue dalla frenesia che spesso attanaglia le altre capitali della regione. Ma non lasciatavi ingannare, l’intraprendenza mercantile non manca. La contrattazione è d’obbligo ed è previsto perdersi tra il dedalo di banchetti, smarrire la bussola è incluso nel gioco nonché il bello dell’esperienza. Il mercato è una meta imperdibile per i collezionisti e gli amanti dell’antiquariato, tra ninnoli e vecchie cornici, mandu, i tradizioniali cassettoni da dote, e khanjar, i tradizionali pugnali ricurvi. Vere e proprie opere in miniatura spesso decorate in madreperla, vezzo locale che li rende dei souvenir preziosi. Immancabile il souq dell’oro, strabiliante opulenza meno alla portata di tutti i portafogli, qui non sono previste soddisfacenti contrattazioni ma ammirare l’arte orafa non ha prezzo.

Mutrah è una meta perfetta tra caos moderato e fascino, ideale per riscoprire le tracce di un passato coloniale e l’orgoglio di un presente commerciale che non travalica la tradizione. Un luogo dove respirare il profumo del mare immergendosi nell’atmosfera locale: è facile lasciarsi trasportare dal ricordo delle avventure di Sindibàd, inebriati dal profumo dei fiori di ibisco e del sale che si diffonde lungo le sue vie.

Quando visitare il suq

Dal sabato al giovedì 8-13 e 17-21.

Il venerdì 17-21.

Photo credits: Elena Bittante

“World of Fashion”, un viaggio di stile a Palazzo Brancaccio

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L’eleganza si racconta con la creatività. Stilisti italiani ed internazionali hanno presentato le loro collezioni a Palazzo Brancaccio animando i suoi saloni da fiaba. Un carillon di creazioni uniche, un susseguirsi di abiti e dettagli preziosi, quelli della ventunesima edizione del “World of Fashion.

Abito Addy Van Den Krommenacker

Una serata dedicata all’haute couture che si è svolta domenica 27 gennaio nell’incantevole location di “classicismo barocco”, tra le più prestigiose della Capitale. Evento immancabile di AltaRoma che si distingue per la ricercata direzione artistica di Nino Graziano Luca. Un appuntamento con l’alta moda declinata in stili e culture differenti, in questi anni la kermesse ha ospitato più di 60 stilisti provenienti da 25 nazioni. Anche in questa edizione ha seguito la sua vocazione internazionale confermandosi un viaggio per il mondo attraverso l’arte e le tradizioni dei diversi paesi. Ha aperto il sipario il défilé dello stilista olandese Addy Van Den Krommenacker, creazioni ispirate all’Africa con trame e stampe come narrazioni itineranti, dal color sabbia del deserto alle nuance tropicali. A seguire un omaggio alla pittura impressionista con i modelli eterei della talentuosa Azzurra Di Lorenzo, ispirati alla delicatezza dei fiori e ai giochi di luce dei maestri ottocenteschi. Dalla creativa italiana all’estro deciso di Marcela De Cala che ha riproposto nella sua collezione le tradizioni di Spagna descrivendole in modelli dall’orgoglio iberico con linee decise e dettagli preziosi. Non è mancata la raffinatezza dell’arte orafa con le creazioni di Marina Corazziari Gioielli e il fascino conturbante di una sensualità non ostentata delle proposte made in Italy di Giorgia Lingerie.

Giorgia Lingerie

La moda come splendido artificio ma anche come concreta possibilità e forma di comunicazione, la ricerca della bellezza e della tradizione diventano un messaggio universale e un buon proposito per immaginare il futuro. Degna di nota per creatività ed intenti la collezione della stilista Rujji by Raja El Rayes che dalla Libia ha condiviso il fascino della sua terra in una sfilata ritmata e divertente con ispirazioni sahariane. Creazioni che omaggiano la storia e le radici di un paese martoriato e conteso, spesso dimenticato ma che guarda avanti e pensa al futuro, anche attraverso la moda.

Il talento degli stilisti italiani ed internazionali è stato premiato con il “World of fashion award”, premio realizzato dal maestro orafo del Festival di Sanremo, Michele Affidato. L’AltaRoma a palazzo Brancaccio si è raccontata viaggiando, addentrandosi nel fascino e nella coscienza delle terre “attraversate”.

Lago di Resia, illusione d’inverno della Val Venosta

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La stagione del freddo è tutt’altro che morta, si rivela nelle possibilità alternative e nei privilegi inaspettati. La neve nasconde eppur valorizza i luoghi mentre il ghiaccio diventa un ponte per raggiungere l’impensabile, come una passeggiata al lago di Resia. In inverno il percorso non si limita al suo perimetro ma si addentra verso il centro del bacino dove è possibile toccare con mano le pietre di un campanile romanico. Sembra quasi un’illusione eppure questa costruzione si erge solitaria dalle acque lasciando la sua origine sommersa alla fantasia.

La storia del campanile 

Un’immagine da cartolina quella del lago di Resia, il più singolare d’Italia per il suo campanile. Questa costruzione risale al XIV secolo ed apparteneva alla chiesa di Santa Caterina. Oggi viene considerata un prezioso relitto solitario in quanto è l’unica parte della struttura rimasta, tutelata dalle belle arti.

Una visione quasi surreale interrotta dal triste racconto degli abitanti di Curon, il comune dove si trova il lago. Nel 1950 iniziarono proprio in questa zona i lavori per la costruzione di una diga per la produzione di energia elettrica. Il progetto prevedeva l’unione di tre bacini naturali, il lago di Resia, di Curon e di San Valentino alla Muta. L’opera venne fortemente contestata dagli abitanti locali in quanto prevedeva lo spostamento dell’intero paese di Curon. I residenti non vollero rassegnarsi tanto da recarsi a colloquio con Papa Pio XII per tentare di sensibilizzare e bloccare il progetto. Organizzarono anche una protesta davanti alla sede della Montecatini, l’azienda che presentò la domanda per una concessione di sfruttamento per la realizzazione dell’opera. Nonostante l’impegno, a nulla servirono le opposizioni a fronte dell’arrivismo produttivo: l’avvio dei lavori comportò inesorabilmente la sommersione del piccolo centro di Curon che venne trasferito più a monte. Case e coltivazioni vennero spazzate via, 150 famiglie contadine persero la proprietà e molte di loro furono costrette ad emigrare cercando fortuna altrove. Annegarono i ricordi delle consuetudini ma non la memoria dell’antico abitato grazie al suo campanile superstite, oggi simbolo della Val Venosta.

Una passeggiata al lago di Resia

Il lago di Resia è il più grande dell’Alto Adige (6,7 km di lunghezza e 1 di larghezza), si trova a pochi chilometri dal passo di Resia, nell’incantevole cornice della Vallelunga nel comprensorio della Val Venosta, ai confini con l’Austria e la Svizzera. Una meta idilliaca che offre ai suoi visitatori panorami meravigliosi tutto l’anno. Durante la primavera e l’estate ammalia con il verde delle sue maestose montagne, amata da escursionisti e dai kitesurfers. In autunno si accende con le tonalità sgargianti dei suoi boschi ma è solo nel periodo invernale che si può vivere l’esperienza più suggestiva, raggiungere il campanile camminando sul ghiaccio.

Una passeggiata al lago di Resia è un’occasione per rilassarsi ed alternare l’adrenalina degli sport invernali, ma anche per scoprire un capitolo di storia poco conosciuto di questo angolo ai confini d’Italia. Un racconto impietoso di arrivismo economico che solo oggi ritrova un risvolto positivo nella meraviglia del suo paesaggio e nel fascino della sua leggenda: si narra che verso il calar del sole durante le fredde giornate d’inverno sia possibile udire le campane del vecchio campanile, eppure le testimonianze scritte rivelano che l’ultimo rintocco fu poco prima dell’inondazione, nel lontano 1950.

Immagine copertina: il campanile che apparteneva alla chiesa di Santa Caterina, lago di Resia, Val Venosta.

Photo credits: Elena Bittante

Il Tempio del Cielo, armonia sulla terra. L’architettura della tradizione cinese simbolo di Beijing

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Il simbolo di Pechino ricalca la perfezione idealizzata dell’architettura Ming, una geometria senza asperità equilibrio del suo credo, il Confucianesimo. Il Tempio del Cielo e della Preghiera per un Buon Raccolto rimanda al concetto cinese di “Tiānyuán Dìfāng’” secondo il quale il cielo è rotondo e la terra è quadrata, ed è così che questo patrimonio della cultura si erge coerente con la sua struttura circolare da una terrazza di marmo quadrata a tre livelli.

Entrata sud, Tempio del Cielo

Per capire i dogmi del credo, qualsiasi essi siano, alle volte basta camminare sulla terra prestando un po’ di attenzione, l’uomo è capace di semplificarli alla perfezione. Non si notano imprecisioni al cospetto del Tempio del Cielo nel cuore di Pechino, limpido nella struttura e negli intenti di significato eppure la linearità e regolarità che lo contraddistinguono sono riferimenti indiretti rispetto alla visione diretta dell’osservatore. Una parte per il tutto, sineddoche nell’arte e nell’architettura cinese che si rispecchia anche nei suoi usi e costumi, un approccio curioso per noi occidentali, appassionati ricercatori di espliciti concetti anche nelle sfumature e sottigliezze.

Questo luogo di armonica bellezza racchiude tanti significati, risulta difficile conciliare questa grande concezione estetica con la devastazione culturale che portò l’avvento del comunismo dopo il 1949. Oggi il Tempio del Cielo resta un’icona sopravvissuta nella perfezione dello stile Ming in una delle aree più caotiche e impersonali della città, faro della tradizione che riporta alla luce l’epoca imperiale.

Parco del Tempio del Cielo, luogo di ritrovo per i pechinesi

Questa meta imperdibile di Beijing si trova nell’omonimo parco nel distretto di Dongcheng sud, un’oasi di pace di 267 ettari dove vivono indisturbati 4.000 splendidi antichi cipressi. Un luogo idilliaco distante dal ronzio del traffico, meta di pellegrinaggio per turisti e consueto ritrovo per cittadini. Il caratteristico tetto del tempio a tripla gronda ad ombrello di colore viola- blu spunta tra la flora locale e le alte mura che lo circondano. Si svela poco alla volta caricando di aspettativa i visitatori, curiosi di ammirarlo da vicino. Varcato uno dei quattro cancelli della sua cinta muraria ci si rende immediatamente conto che non si tratta di uno stereotipato luogo della fede ma di un’eredità lasciata dalla devozione dell’imperatore, un maestoso palcoscenico un tempo dedicato ai suoi riti solenni. Il “Figlio del Cielo”, si recava a pregare per chiedere il perdono e per invocare il favore degli dei per un buon raccolto.

Nelle giornate di sole l’edificio a struttura circolare svetta verso il cielo velato di smog metropolitano, eppure la foschia di questa città, tra le più inquinate al mondo, non svilisce i suoi 38 metri di magnificenza. Con un diametro di 30 metri si rivela ai visitatori come una struttura semplice ma al contempo ingegnosa: il soffitto non presenta chiodi né cemento ed è sorretto da pilastri in legno d’abete dell’Oregon. Al centro della struttura si trova l’altare dove pregava l’imperatore e sul soffitto un enorme drago dipinto, un simbolo a suo omaggio. Il tempio venne costruito nel 1420 durante l’epoca Ming ma nel 1889 un fulmine lo ridusse in cenere. Venne ricostruito l’anno successivo e oggi lo possiamo ammirare in tutto il suo splendore con gli stessi canoni architettonici della struttura originaria.

Dettaglio soffitto del tempio
Portale sud 

Il tempio del Cielo è l’edificio di maggior rilievo del parco, occupa la posizione centrale ed è protetto dagli alti muraglioni che lo circondano. Lungo il loro perimetro troviamo gli accessi principali in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Solo passeggiando ci si rende conto che nulla nell’architettura di questo luogo è lasciato al caso, ovunque si può intravedere l’intervento razionale ed armonizzante dell’uomo. La prevalenza della ragione si descrive perfettamente in questa meta imperdibile ma è una costante nell’architettura cinese della tradizione, ripropone la linearità e la regolarità che si rifanno ai principi del Confucianesimo: ordine e simmetria come imposizione dell’intelletto umano sulla natura.

Consigli per la visita

Il momento migliore della giornata per visitare il tempio è la mattina presto e il periodo più indicato dell’anno per evitare le lunghe file va da novembre sino ad aprile. Durante la bella stagione è consigliato il pranzo al sacco, un picnic al parco è una pausa ideale e una gradevole esperienza.

Non dimenticate il vostro passaporto, è richiesto per acquistare il biglietto e visitare le principali mete turistiche di Pechino. Il costo del biglietto è 15-35RMB in alta stagione e 10-28RMB in bassa stagione.

Gli orari di apertura sono: 8 – 17 dal 1 aprile al 31 ottobre, 8 – 16 dal 1 novembre al 31 marzo.

Come arrivare: metropolitana linea 5 fermata Tiantan Dongmen station (Exit A1 or A2).

Immagine copertina: Il Tempio del Cielo e della Preghiera per un Buon Raccolto, Beijing, Cina. 

Photo credits: Elena Bittante

La Grande Muraglia Cinese, limes del possibile

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Una delle Sette Nuove Meraviglie del Mondo Antico e dell’UNESCO, Patrimonio dell’Umanità. La Grande Muraglia Cinese appare come un ricamo che intarsia le montagne, trasforma le pendenze più aspre in dolci sinuosità rendendo il limite accessibile. L’occhio perde la via seguendola sino all’orizzonte per poi lasciare spazio alla surreale consapevolezza: quest’opera militare difensiva si estende per oltre 8.000 chilometri, più di 21.000 chilometri se considerati tutti i tratti misurati di fortificazioni collaterali. Uno dei monumenti più emblematici costruiti dall’uomo in tutto il mondo, capace di sorpassare la linea dell’orizzonte e della nostra immaginazione.

Località Badaling, a 70 chilometri da Beijing

La Grande Muraglia è la classica meta di un viaggio in Cina. A tratti turistica e affollata, in altri dismessa e difficilmente accessibile ma sempre presente negli intenti di chi desidera ammirarla, solo per una foto ricordo o per un trekking lungo qualche tratto. Visitarla è come conoscere un grande drago che serpeggia da millenni nella parte settentrionale del paese: attraversa sinuoso mondi diversi, quelli di una nazione con una natura eterogenea unica al mondo. Si snoda su e giù per le montagne seguendo anche la morfologia più estrema, attraversa deserti e praterie  dalla costa Est fino agli altopiani dell’Ovest percorrendo un totale di 21196,18 km.

La Grande Muraglia, in cinese 长城 (Chángchéng /channg-chnng/ “Lunga muraglia”), è simbolo di grandezza della storia antica della Cina e oggi come allora si rivela un’opera identitaria del paese nonché una delle meraviglie del mondo, dal 1987 inclusa nella lista dei Patrimoni dell’Umanità UNESCO.

Il muro “originario” risale a 2.300 anni fa nel periodo della dinastia Qin (221-207 a.C.), nel tempo subì numerosi cambiamenti e ristrutturazioni a discapito di innumerevoli vite umane: una macabra leggenda narra che gli scheletri degli operai morti vennero inglobati nella sua costruzione. La storia della Muraglia narra un lungo racconto, un susseguirsi di capitoli in bilico tra mito e realtà, ma sin dal principio affiora la certezza del suo scopo, la difesa del territorio dalle incursioni esterne, soprattutto mongole. Nel XII secolo le orde di Gengis Khan erano divenute una minaccia permanente. L’opera architettonica mantenne la sua funzione difensiva per i secoli a venire ma l’aspetto attuale risale alla dinastia Ming (1368- 1644), durante la quale venne attuata una monumentale opera di restauro dell’intero complesso. L’intera struttura venne rinforzata con pietre, mattoni e una merlatura alta 1.8 metri con scappatoie e feritoie e parapetti alti 1.2 metri.

Nonostante la grandiosità del progetto, questa struttura concepita come impenetrabile non si rivelò mai un’efficiente barriera difensiva contro gli invasori, come testimonia la conquista di Beijing nel 1215 da parte dell’esercito di Gengis Khan. Tuttavia, diversamente dal mancato scopo militare, si dimostrò un’eccellente via di percorrenza per il trasporto di materiale e di persone attraverso gli impervi territori montuosi, inoltre si rivelò molto efficace per le comunicazioni grazie al suo sistema di torri di segnalazione che permetteva di trasmettere rapidamente le notizie dei movimenti nemici sino alla capitale. Per rendere possibile questa operazione venivano utilizzati i segnali di fumo bruciando sterco di lupo, un chiaro indizio della fauna locale che ancora oggi vive indisturbata negli sterminati territori che la Muraglia attraversa.

A partire dalla metà del XVII secolo, il venir meno della temuta minaccia mongola fu paradossalmente l’incipit del rovinoso declino di questa opera monumentale. L’apice dell’abbandono avvenne nel ‘900 in quanto la tutela di questo patrimonio non rientrava nelle priorità di una stato votato al comunismo, che destrutturò la bellezza di questa ed altre meraviglie del paese rendendo la vita culturale cinese un arido deserto. Una perdita di valore che scalfì indelebilmente la grandezza della Muraglia assottigliandola nelle dimensioni e sfregiandola nell’identità: Mao Zedong incoraggiò i cinesi che abitavano nelle vicinanze ad utilizzarla come fonte di materiale gratuito per la costruzione di infrastrutture e di brutture edilizie in stile post sovietico.

Solo nel 1984 il successore di Mao, Deng Xiaoping, portò la sua tutela sotto la competenza dello stato. Il progetto di restauro cercò di ridarle dignità ristrutturando alcune sezioni. Tra i tanti luoghi oggi visitabili, un esempio è il suggestivo scenario che si può ammirare a Badaling, a pochi chilometri dalla Capitale. Qui si apre un percorso turistico molto gettonato con un paesaggio da cartolina che ha perso l’autenticità della storia ma che ha ricostruito la dignità della Grande Muraglia e soprattutto gli intenti di chi ama la millenaria identità di questo paese e desidera condividerla con il resto del mondo, un limes del possibile.

Immagine copertina: Grande Muraglia Cinese, Badaling, Cina.

Photo credits: Elena Bittante

I giardini Majorelle, l’eden impressionista di Marrakech

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La natura nell’Africa sahariana è un privilegio e i giardini sono concepiti come veri e propri paradisi terrestri. La luce a queste latitudini esalta il colore trasformandolo in un’entità dalla vitalità prorompente e dalla nitidezza assoluta, è forse questa la magia che rende i giardini Majorelle un luogo di suggestione, un tassello di pace incastonato nel mosaico berbero della “città rossa” di Marrakech. Un luogo di quiete dove passeggiare tra la flora lussureggiante e il canto dei fringuelli, un percorso evocativo fucina di ispirazioni, come un “giardino impressionista” dove il gioco di luci ed ombre sfuma i colori della natura con il declinare del sole. Un angolo di tranquillità ricco di fascino e di biodiversità, distante dal conturbante caos della città.

L’atelier dei giardini oggi sede del loro museo

Questo giardino venne progettato nel 1923 per volere dell’artista francese Jacques Majorelle che si trasferì nella città marocchina nel 1919 per motivi di salute. Fece costruire una villa liberty dall’eleganza moresca concepita come atelier con un grande giardino. Ben presto il creativo allargò i suoi spazi di lavoro oltre le mura lasciandosi ispirare dagli scorci del suo eden. Da sempre appassionato di botanica, Majorelle intarsiò quattro ettari della proprietà con specie arboree provenienti da tutto il mondo: gruppi di palme alternati a cespugli di bambù, cactus, yucca, gelsomini, bouganville e stagni punteggiati di ninfee. Sono numerose le protagoniste di questa biodiversità generosa che crea un dedalo di natura progettato secondo la razionalità dell’arte botanica descritta nel Corano.

In questo caleidoscopio di verde spicca il blu majorelle, identitario dell’architettura del luogo. Questa tonalità è un abbraccio vivido e sfrenato di oltremare e cobalto capace di accogliere e valorizzare i dettagli minuziosi dell’astrattismo dell’arte moresca e l’esuberanza di una natura sinuosa. Il visitatore che si addentra all’interno del perimetro del giardino dosa come un equilibrista emozioni contrastanti evocate dall’energia della luce e del colore e dalla quiete ritmata del soave canto degli uccelli e dal silenzio ovattato di alcune aree del giardino.

Quest’oasi urbana venne aperta al pubblico nel 1947 ma il suo splendore si affievolì all’incuria a causa dei problemi di salute e finanziari dell’artista sino al completo abbandono nel 1961. Il giardino ritrovò il suo splendore nel 1980 grazie all’imprenditore Pierre Bergé e allo stilista Yves Saint Laurent che già negli anni ’60 si innamorarono perdutamente di questo giardino e scelsero di salvarlo rispettando le regole dell’arte araba del giardinaggio. L’incontenibile ricerca del bello della coppia illuminò nuovamente quell’ipnotico blu che identifica questo luogo in tutto il mondo, un genius loci come una musa che diede allo stilista costante ispirazione tanto da associarla alla “magia del colore”, percezione radicata in una tradizione pittorica che rimanda a Paul Klee e Delacroix.

Il famoso blu majorelle

I giardini Majorelle sono una meta che stimola la vista ma accarezza anche l’udito, una meta polisensoriale dove convivono in armonia la forza del colore e la dolcezza dei suoni. Un mondo agli antipodi rispetto al caos della vicina medina dove il brusio del contrattare si impasta con i rumori dell’operosità artigiana. Marrakech è una città che offre tanti scorci diversi, un ossimoro sensoriale che evoca il confronto facendo apprezzare anche uno dei sensi spesso trascurato nel piacere del viaggio: l’udito, paradossalmente inascoltato alla scoperta di nuove realtà.

In questa città dove le sabbie del deserto confondono le linee dell’Atlante che svetta in lontananza, i giardini Majorelle sono un angolo di paradiso lussureggiante capaci di evocare affascinanti contrasti: sorgono sulle terre brulle del deserto tingendosi del blu dell’acqua e risuonano il silenzio nel crocevia di un centro urbano da sempre votato al commercio, un miraggio che si trasforma in realtà per il piacere dei sensi.

Immagine copertina: l’arte astratta dei giardini Majorelle. 

Photo credits: Elena Bittante

Suomenlinna, l’idilliaca isola fortezza di Helsinki

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Il mare che lambisce la città di Helsinki è disseminato di piccoli gioielli emersi, uno di questi risplende di storia e di natura, Soumenlinna. Nota come “la fortezza della Finlandia” è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Costruita dagli svedesi nel XVIII secolo a scopo difensivo contro l’invasione russa non passò alla storia per le sue glorie militari ma resta una pietra miliare del territorio finnico, terra contesa per secoli tra queste due potenze. Approdiamo in questo “atollo della storia” baciato dal vento del mar Baltico.

La fortezza a Kustaanmiekka  

Soumenlinna è un nucleo di isole collegate da ponti, meta imperdibile per chi visita la capitale finlandese, a pochi minuti di traghetto dal centro. Nonostante l’eredità di un passato difensivo, rivela nel rigore militare delle sue fortificazioni una natura generosa che addolcisce i suoi paesaggi regalando panorami incantevoli, attimi di relax e numerose visite culturali. Situata ad appena 15 minuti di traghetto dalla Kauppatori, la piazza del mercato di Helsinki, questo insieme di isole è considerato un grande giardino condiviso dagli abitanti della città e dai visitatori di tutto il mondo. Soumenlinna è una tappa obbligata soprattutto durante la bella stagione e in autunno per i colori vibranti della sua natura che la incornicia in un mix di sfumature che si impastano con il ceruleo Baltico che lambisce le sue coste. Dopo una breve tratta di mare si approda al piccolo porto nelle vicinanze del Rantakasarmi, la caserma del molo, un edificio ben conservato dell’epoca russa che addolcisce le sue linee austere con un caldo colore rosa, oggi sede dell’ufficio turistico.

Panorami di Soumenlinna, scorci che racchiudono la storia della Finlandia  

Entriamo nel cuore di Soumenlinna animato da un via vai di turisti e cittadini che godono dei suoi prati, delle sue mura che racchiudono un delizioso borgo e soprattutto dalla brezza marina che spira con forza pacata sulle coste che affacciano verso il Baltico. Un piccolo microcosmo urbano dove il tempo sembra essersi fermato: impossibile non cogliere l’atmosfera fiabesca del piccolo centro, percorso da stradine acciottolate che sbucano nella piazzetta identitaria dove riposa un eroe di guerra, la tomba di Ehrensvard. A poca distanza è possibile ammirare il cantiere navale emblema della dedizione della popolazione locale per il mare e omaggio alle fatiche di generazioni di costruttori, di velai e operai specializzati sin dalla metà del ‘700. Oggi è tuttora in attività come bacino di carenaggio per una ventina di navi, uno spettacolo da non perdere.

Cantiere navale attivo dalla metà del ‘700
Le gallerie all’interno delle mura

Per comprendere la storia dell’isola e dell’intera nazione, la tappa ideale è il Soumenlinna-museo nell’isola principale di Susisaari-Kustaanmiekka. Il passato si rivive non solo nelle sue sale ma anche nella realtà passeggiando nella parte più entusiasmante dell’isola-fortezza, a Kustaanmiekka dove è possibile aggirarsi tra i vecchi bunker e le fortificazioni ancora intatte. Vale un viaggio a Soumenlinna l’avventurarsi lungo il perimetro delle sue mura disseminate da vecchi cannoni superstiti e suggestivi scorci sul mare argentato, un’esperienza diretta per comprendere il suo ruolo nella storia.

Non mancano la chiesa, una biblioteca e accoglienti caffè per ritagliare degli attimi di relax e godere del verde, tanto verde che ipnotizza lo sguardo per la sua intensità durante l’estate e sfuma ai toni caldi di un quadro impressionista in autunno. La luce di queste stagioni è un privilegio che anima e riscalda le isole che verranno presto ricoperte da una coltre bianca di neve. Gli inverni rigidi della Finlandia esaltano la bellezza della natura estiva ed autunnale e valorizzano la piacevolezza di una vita all’aria aperta, per questa ragione i cittadini di Helsinki vivono in simbiosi con i parchi e i giardini. Soumenlinna è un’isola fortezza che racchiude una dimensione serena, urbana ma al contempo affine alla natura, come vuole la tradizione finlandese.

Abitazioni con “posto barca”
Uno dei numerosi caffè di Soumenlinna

Immagine copertina: vista sul mar Baltico da Soumenlinna

Photo credits: Elena Bittante


Elena Bittante
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