A Porto il primo museo dell’Olocausto

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Il museo sorge nella zona di Campo Alegre, un quartiere in pieno centro della “Invincibile”, come si designa un po’ retoricamente la città, con riferimento – ricorda Giacobbe – alla vittoriosa e definitiva resistenza opposta prima ai Mori, nel nono secolo, e – quasi un millennio dopo, al tempo delle “Guerre liberali” – alla sconfitta inflitta alle forze assolutiste dei miguelisti, che avevano cinto Porto di un inutile assedio durato oltre due anni.

Il nuovo Museo dell’Olocausto ripercorre la storia degli ebrei della diaspora prima del nazismo, e, finita la guerra e fondato Israele, fa il punto sulla presenza degli ebrei nel loro Stato e fuori di esso.  Oggi, secondo stime ufficiose, in Portogallo vivono alcune centinaia di cittadini di religione ebraica, circa 300 a Lisbona e 150 a Porto. Appena una reminiscenza – ricorda Giacobbe – dei tempi gloriosi dell’epoca delle scoperte, nei secoli XIV e XV e in parte XVI, quando il paese lusitano ebbe la supremazia nella navigazione che portò alle grandi imprese marinare. Gli ebrei, al tempo, erano in molti settori della società lusitana. Banchieri e commercianti, naturalmente marinai, cartografi e studiosi, tra i quali biblisti e talmudisti. Molti tecnici dei metalli e fonditori, impiegati soprattutto nelle reali fabbriche di armi e negli arsenali. Particolarmente numerosi erano i commercianti lanieri, molti dei quali abitanti nella zona di Covilhã, una città montana presso la Serra d’Estrela. 

Ancora negli anni Trenta del secolo scorso, sebbene il loro numero fosse drasticamente calato con la dittatura salazariana, sopravvivevano in quell’area parecchie famiglie di cripto-ebrei, ricordo dell’espulsione avvenuta nel 1496 a seguito dell’analogo provvedimento adottato in Spagna nel 1492. Forse di lanieri non ce ne sono più – argomenta il giornalista – ma alcuni di loro sono rimasti in quel settore e fanno i venditori ambulanti in fiere e mercati itineranti che girano il Portogallo. Un censimento effettivo degli ebrei oggi presenti in Portogallo risulta quindi piuttosto difficile. Nessuno li chiama più “marrani” – scrive Giacobbe – e non hanno certo bisogno di celare la propria identità ebraica. Per una strana forma di attaccamento alla tradizione, gli eredi di antichi mercanti, cartografi, marinai e talmudisti preferiscono però restare segretamente ‘giudei’, anche se non hanno più motivo di professare un cristianesimo di facciata.

Nel museo di Porto la parte più significativa è quella dedicata ai campi di concentramento e di sterminio, con ricostruzioni di luoghi particolarmente emblematici della barbarie nazifascista, tra le quali uno spaccato di Auschwitz. Come allo Yad Vashem, il sacrario che Gerusalemme ha dedicato alla tragedia degli ebrei, c’è una sala dedicata ai “giusti tra le nazioni” che hanno salvato ebrei o alleviato le loro sofferenze.

E poi, una sala di proiezioni cinematografiche sulla Shoah e l’ebraismo, sale per conferenze e un centro di studi.

Il Museo dell’Olocausto ospiterà anche mostre tematiche in collaborazione con altre istituzioni consimili in varie città del mondo. 

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