In un giorno di pioggia e presagi, Virdimura venne al mondo. Il suo nome richiamava il muschio tenace che affiorava dalle mura di Catania, una città intrisa di storia e mistero. Ma della sua nascita, Virdimura sapeva poco. Fu suo padre, il maestro Urìa, a crescere la bambina. Urìa, medico ed ebreo, era “il più alto dei giudei, il più forte, il più santo”. Un uomo che conosceva i segreti delle spezie e i progressi delle scienze, un poliglotta che sapeva che ogni cosa poteva insegnare: dalla natura, alla strada, alla poesia.
Virdimura imparò da suo padre l’arte di guarire, non solo i corpi, ma anche le anime. Non faceva distinzioni tra musulmani, cristiani ed ebrei. La sua medicina non richiedeva bravura, ma coraggio. Questo era il segreto che Urìa le trasmise, e che Virdimura portò nel cuore per tutta la vita.
Anziana e saggia, Virdimura si presentò davanti alla Commissione di giudici, la stessa che avrebbe deciso se concederle la “licenza per curare”. Era la prima donna nella storia a chiedere tale riconoscimento. Di fronte a loro, ripercorse la sua vita in un racconto vivido e coinvolgente.
Ricordò la lotta di suo padre contro l’epidemia di tifo che aveva colpito la città. La solitudine che la avvolse dopo la sua morte. Gli studi instancabili sui libri che lui le aveva lasciato. Le donne che visitava in segreto, operando di notte. Le accuse di stregoneria che dovette respingere con forza.
Ma soprattutto, Virdimura parlò del suo legame con Pasquale, l’amico d’infanzia che tornò al suo fianco dopo un lungo apprendistato in Oriente. Anche lui medico, Pasquale fu il suo alleato fedele contro ogni avversità.
Tutto questo si svolgeva sullo sfondo di una Catania vibrante di vita, commerci e religioni. L’Etna, sempre in agguato, gettava la sua ombra su destini incrociati. Simona Lo Iacono ci regala il ritratto di una protagonista indimenticabile: Virdimura, fiera e coraggiosa, che lottò contro superstizioni e leggi degli uomini per affermare il diritto di tutti a essere curati e delle donne a essere libere.
