Massimo De Vico Fallani presenta a Roma la sua opera: Le cancellate romane Sette-Ottocentesche. 

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Lo scorso 24 novembre, Massimo De Vico Fallani ha presentato “Le cancellate romane Sette-Ottocentesche” all’interno dell’Archivio Storico Capitolino, una scelta tutt’altro che casuale.

Massimo De Vico Fallani, un nome che è un’autorità nell’ambito architettonico e paesaggistico. È stato funzionario architetto della Soprintendenza ai Monumenti di Firenze e Pistoia (1980-1986) e di quella Archeologica di Roma (1986-2008) con l’incarico di direttore dei parchi e giardini. Coordina il Corso di Restauro di Parchi e Giardini storici della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio della ‘Sapienza,’ Università di Roma. È autore di diversi progetti di restauro di giardini storici e sistemazione di parchi archeologici, l’ultima “fatica letteraria” lo ri-porta a Roma, in particolar modo si sofferma sullo studio delle cancellate, dei portoni, dei cancelli singoli o multipli. 

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Non c’è trattatistica o metodo inerente allo studio delle cancellate, non in Italia, De Vico Fallani è un vero e proprio pioniere. Nella sua opera monumentale, frutto di un lavoro durato anni, il nostro Autore ha consultato archivi di Stato, biblioteche, ha approfondito la conoscenza di un tipo di manufatto artistico, di un tipo di artigianato che in Italia, a differenza di altri Paesi, non è adeguatamente preso in considerazione dalla letteratura professionale e dall’opinione pubblica. Dunque, fulcro dell’opera sono le cancellate romane, in particolar modo quelle settecentesche e ottocentesche. In realtà, l’Autore pone l’attenzione su cinque epoche: Medioevo, Rinascimento, ‘600 (ornato da cancellate gentilizie), ‘700 e ‘800 (animato da cancellate decorative). 

“Le cancellate romane” si presenta come un libro particolare, all’interno non è accademico, non è esclusivo, è un libro che nasce da una curiosità. A proposito di ciò è interessante partire da una recensione asprissima di Mario Praz nei confronti del Manierismo, uscì su “Il Tempo”. Praz vedeva la sua Roma come una città ancora affascinante, ma di fatto degradate, decaduta. Del resto credeva che l’arte, non fosse veramente arte, ma solo la documentazione di un’epoca. 

Quanto detto da Praz è tanto illuminante, quanto criticabile, basti solo chiudere gli occhi e tornare indietro nel tempo, in particolar modo al pontificato di Alessandro VII: il Pontefice amava lo scintillio dell’acqua, amava osservarla dalle spallette sul Ponte di Castel Sant’Angelo (spallette che crollarono nel 1450, anno del Giubileo cristiano a causa di un numero esorbitante di persone). Per evitare un’altra tragedia chiese a Bernini di ampliare la sezione delle spallette, di decorarle, la Musa ispiratrice del noto architetto fu la maglia delle reti da pesca. Dio viene riscoperto partendo da un elemento che, solitamente, si dà per scontato: la grata di ferro. Il ferro, materiale duro, violento, diventa malleabile, si lascia plasmare, si trasforma in un filo con il quale ricamare la città. Come il baco da seta ha un capo da tirare per svolgerlo e dipanarlo, così il libro ha un filo dorato che bisogna seguire per immergersi nell’evoluzione delle cancellate, un itinerario per percorrere anche l’evoluzione del gusto artistico

In conclusione, De Vico Fallani pone l’accento su una specifica tipologia di portoni: l’analisi critica di circa 17.0 cancellate ha portato a individuare il particolare valore e l’identità figurativa di questa produzione artistica. Soffermandosi sulle origini, lo sviluppo, i rapporti con paesi esteri quali Francia e Gran Bretagna; le innovazioni tecnologiche e produttive legate alle nascenti industrie siderurgiche e metallurgiche hanno portato allo sviluppo di un nuovo artigiano: il fabbro ferraio, a lui il merito della realizzazione della cancellate romane.

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