Elisabetta. La più amata.

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Aveva da poco festeggiato il Giubileo di platino, il 70esimo anniversario dello storico regno della regina Elisabetta II è terminato qualche giorno fa. Cala il sipario su Buckingham Palace, i riflettori si spostano sul Castello di Balmoral, luogo in cui la regina si è spenta. È stata la sovrana più amata, e pensare che non doveva neanche diventare regina, ma è stata l’unica capace di unire il Paese in momenti difficili. Uno stile molto riservato, un sorriso poco abbozzato. Carattere forte da vero conservatore british. La regina Elisabetta II è il simbolo del Regno Unito e anche di tutto il Commonwealth, l’organizzazione che si occupa di tutte le ex colonie e i possedimenti britannici oltre l’Isola. Nonostante un’immagine severa e di rigore, è assai amata, osannata a ogni passaggio, salutata dai suoi sudditi. Regina estremamente popolare, non risparmia la sua presenza in pubblico, con una devozione alla “causa” veramente encomiabile e molto apprezzata dai suoi sudditi. 


Quando Elisabetta salì al trono, nel 1952, Truman governava gli Usa e Stalin guidava l’Urss. Sette decenni più tardi, dopo la fine dell’Impero britannico, il crollo del comunismo, diverse tragedie collettive e da ultimo perfino la peggiore pandemia da un secolo in qua, lei è ancora al suo posto, anacronistica nei suoi completi pastello come nella sua rigida etichetta, impassibile di fronte alle tempeste e agli scandali che si sono accumulati nella vita della famiglia reale: dai vari divorzi alla morte di Diana, dai sex affair del principe Andrea alla ribellione di Harry e Meghan. Se gli avvenimenti sollevano più di un interrogativo sulla sopravvivenza della Corona, è innegabile però che la regina, dopo aver consacrato la sua lunga vita alla monarchia, sia ormai universalmente il simbolo del suo Paese.

The Queen, Lilibeth per gli intimi, Brenda nei salotti dell’aristocrazia britannica appare sempre uguale a se stessa: un’icona che non vacilla. Anacronistica borsetta al braccio, mise pastello, cappellino d’altri tempi. Anche in questa fedeltà alla propria immagine risiede il segreto della sua longevità, monarchica e biologica insieme. Per due inglesi su tre, confermano recenti sondaggi, è un’istituzione intoccabile. Non importa che l’aura sacrale e misteriosa faccia velo a una donna quadrata e, tutto sommato, ordinaria: «Agli inglesi piacciono pompa e orpelli della regalità» sancisce il corrispondente Rai da Londra Antonio Caprarica. «Sanno perfettamente che si tratta di uno spettacolo teatrale con lo scopo precipuo di conservare e rassicurare».


Del resto, Lilibeth ha preso sul serio il suo ruolo prima ancora di esserne investita: fin da piccola si è sentita predestinata.


In questa nuovissima biografia della sovrana più longeva della storia britannica, Matthew Dennison ripercorre la sua vita e il suo regno attraverso un’era di cambiamenti sociali senza precedenti e spesso sismici. Elegante nella sua scrittura e sfumato nei suoi giudizi, l’autore traccia le gioie e i trionfi, nonché le delusioni e le vicissitudini di una vita straordinaria e valuta anche il successo di una donna considerata la paladina di quei valori essenziali avallati, se non più praticati, dalla maggior parte della sua nazione: servizio, dovere, fermezza, carità e stoicismo. Per milioni di persone, sia in Gran Bretagna che nel resto del mondo, Elisabetta II è stata l’incarnazione della monarchia. La sua lunga vita ha abbracciato circa un secolo di storia nazionale e mondiale, dalla Grande Depressione all’era del Covid-19. Il suo regno si è esteso per quasi tutta la storia britannica del secondo dopoguerra: ha accolto quindici primi ministri del Regno Unito, da Winston Churchill a Liz Truss, e ha assistito alle amministrazioni di quattordici presidenti degli Stati Uniti, da Truman a Biden. La stragrande maggioranza di noi non riesce a ricordare un mondo senza Elisabetta II come capo di stato della Gran Bretagna e del Commonwealth. 


A cura di Alice Grieco

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