Il magazine della tua Città

Tag archive

Teatro Vascello

“Anelante”: Il corpo in rivolta, tra visione e paradosso

in CULTURA/European Affairs/PHOTOGALLERY/TEATRO by

La straordinaria alchimia teatrale di Antonio Rezza e Flavia Mastrella al Teatro Vascello di Roma

Roma, 19 dicembre 2025

Articolo e foto di Grazia Menna

Ultima rappresentazione oggi, 19 dicembre 2025 al Vascello di Roma, per l’opera teatrale Anelante.

“Anelante” è una parola che porta con sé un’idea di urgenza, di desiderio incontenibile, un movimento che cerca sempre qualcosa senza mai fermarsi. Questa tensione è incarnata alla perfezione dal teatro di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, che nel loro spettacolo creano un’esperienza unica, capace di scuotere lo spettatore e farlo riflettere.

Fin dal suo ingresso sul palco, Antonio Rezza cattura l’attenzione con la sua fisicità esplosiva. Al suono di una suoneria di cellulare che sa di un passato familiare, la sua presenza si impone in un vortice di movimenti febbrili e scattanti. È un corpo che non conosce sosta, che si fa veicolo di una narrazione frammentata e simbolica, dove non esistono limiti né logiche rassicuranti. Il pubblico, stordito e rapito, si trova a seguire una figura che trasforma ogni gesto in un linguaggio universale.

Ma il cuore pulsante dello spettacolo, cha ha visto il suo debutto nel 2015, non si esaurisce nella sola performance fisica di Rezza. Gli habitat scenici progettati da Flavia Mastrella sono un elemento fondamentale, non semplici scenografie, ma vere e proprie strutture concettuali che trasformano lo spazio teatrale in un mondo parallelo. Geometrie fluide, veli che si aprono e chiudono come sipari improvvisi, e materiali che sembrano vivere di vita propria creano un continuo gioco di nascondimenti e rivelazioni. Il palco diventa un luogo in cui il corpo si frammenta, scompare e riemerge, evocando immagini surreali e stranianti.

Grazie alla regia di Mastrella, questi ambienti non sono solo contorni visivi, ma parte attiva dell’azione scenica. Sono un’estensione del paradosso che anima l’intero spettacolo: la materia che si piega alle esigenze del movimento, rendendo concreto e tangibile un universo che vive fuori dalle regole della realtà.

Il testo di “Anelante” si allontana da qualsiasi struttura narrativa tradizionale. Non c’è una trama lineare, né un racconto da seguire: ogni scena è un frammento autonomo, una riflessione acuta e tagliente su temi che spaziano dalla religione alla matematica, dalla psicanalisi alla morte, passando per il sesso, la politica e le dinamiche familiari. Rezza, con il suo inconfondibile stile irriverente, smonta ogni certezza e porta alla luce le contraddizioni di un’umanità che si dibatte tra conformismo e caos interiore.

In questo teatro dell’assurdo, le figure di Copernico, Keplero, Pitagora e Freud diventano spunti di una satira feroce. Freud, in particolare, è ridicolizzato come un uomo d’affari che ha costruito un impero sulla confusione dei sogni. È un gioco continuo di sovversione, dove il pensiero si destruttura e lascia lo spettatore in bilico tra riso e riflessione.

Ad accompagnare Rezza in scena c’è un gruppo di attori – Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara A. Perrini ed Enzo Di Norscia – che non interpretano personaggi nel senso classico, ma funzionano come un coro spezzato, voci che si intrecciano e amplificano il caos controllato dell’azione. Tuttavia, anche quando dialoghi e voci si sovrappongono, la presenza di Rezza domina incontrastata: il pubblico riesce a seguire il suo discorso anche nel caos orchestrato, prova del magnetismo unico che il performer riesce a esercitare.

L’essenza di “Anelante” risiede nella sua capacità di trasformare l’inconscio in un’esplosione visiva e fisica. È un atto di ribellione contro le convenzioni sociali, un richiamo alla libertà che si traduce in un’arte cruda e diretta. Il corpo, centrale in ogni momento dello spettacolo, diventa una metafora potente della condizione umana: un essere lacerato tra ciò che la società impone di essere e ciò che si è realmente.

L’intera pièce è un viaggio che utilizza il paradosso e l’assurdo per rivelare una realtà più autentica, nascosta sotto la superficie delle convenzioni. Flavia Mastrella, con la sua visione registica e i suoi habitat scenici, conferisce a questo viaggio una profondità ulteriore, rendendo visibile l’invisibile e amplificando il senso di spaesamento.

In definitiva, “Anelante” non è solo uno spettacolo teatrale, ma un’esperienza totale, un grido che sfida ogni forma di omologazione e conformismo. Tra risate graffianti e immagini surreali, lo spettatore si trova costretto a fare i conti con le proprie fragilità, scoprendo che nell’assurdo c’è una verità più grande.

Si ringraziano Antonio Rezza, Flavia Mastrella, l’Ufficio Stampa nella persona di Chiara Crupi e il Teatro Vascello di Roma, per aver consentito questo racconto per immagini

Bahamut: se il teatro incontra l’assurdo e una riflessione sociale

in CULTURA/European Affairs/PHOTOGALLERY/TEATRO by

A Teatro Vascello torna il duo Mastrella-Rezza ed è sempre uno “spettacolo

Roma 7 gennaio 2025

Articolo e foto di Grazia Menna

Quasi due decenni sono trascorsi dal 2006, anno in cui Flavia Mastrella, con la sua genialità e la sua visione artistica, concepì l’intero apparato scenografico di questa rappresentazione. Grazie a questa intuizione, Antonio Rezza ha potuto esprimere appieno il suo talento unico nelle arti performative e nell’affabulazione.

La sera del 7 gennaio, la sala del Teatro Vascello, gremita di spettatori, ha confermato che i temi portati in scena, rivoluzionari all’epoca, restano straordinariamente attuali anche oggi. Bahamut non è solo una pièce teatrale, ma un’esperienza immersiva e onirica che scardina le regole del teatro tradizionale, fondendo in modo inedito arte visiva, performance e parola. L’opera non si propone di spiegare, ma di trasportare il pubblico in un universo fuori dai confini del tempo e dello spazio, spingendolo a confrontarsi con l’assurdo, il grottesco e il genio.

La scenografia di Flavia Mastrella non è un semplice sfondo scenico, ma un vero protagonista al pari degli attori. Essa stessa è un’opera d’arte che trasforma ogni scena in un quadro tridimensionale, dove estetica, funzione e simbolismo si intrecciano. La struttura scenica muta costantemente, adattandosi alle imprevedibili esibizioni di Rezza e diventando lo spazio ideale per la sua creatività.

La regia che la stessa Mastrella ha ideato e realizzato, consente agli ambienti, pensati per limitare e allo stesso tempo ampliare i movimenti dell’attore, di dare vita a un’interazione continua tra il corpo e lo spazio. Tendaggi mobili e forme insolite fungono da strumenti narrativi, creando un dialogo visivo che stimola lo spettatore a una costante reinterpretazione. Rezza si destreggia in spazi stretti, come un equilibrista, sfruttando ogni angolo della scenografia. Si piega, si contorce, si infila in aperture minuscole o rimane bloccato in strutture che limitano i suoi movimenti, trasformando il conflitto tra corpo e materia in una tensione comica e surreale.

Questo gioco fisico è amplificato dalla maestria di Rezza nell’uso del linguaggio, sia verbale quanto non verbale. Le sue parole fluiscono ininterrottamente, oscillando tra il nonsense e una critica tagliente alla società. Suoni, pause, ripetizioni e variazioni di tono rendono il linguaggio uno strumento performativo tanto quanto il corpo. Le pause, intense quanto i dialoghi, immergono la sala in un silenzio carico di attesa, mentre il pubblico rimane sospeso, in curiosità, aspettando il prossimo gesto improvviso o la successiva battuta surreale.

Accanto a Rezza, Manolo Muoio e Neilson Bispo Dos Santos completano il quadro scenico, assumendo il ruolo di co-protagonisti e arricchendo ogni momento con la loro presenza. La loro interazione con Rezza crea un gioco scenico armonioso, che enfatizza la potenza espressiva di uno spettacolo capace di sfidare le convenzioni e rimanere indimenticabile.

Si ringrazia l’Ufficio Stampa nella persona di Chiara Crupi

La prima di “Cime tempestose” di Martina Badiluzzi

in COMUNICATI STAMPA/CULTURA/European Affairs/TEATRO by

CIME TEMPESTOSE

di Martina Badiluzzi

1920 ottobre 2024

Teatro Vascello | Roma

Prima nazionale

regia e drammaturgia Martina Badiluzzi

con Arianna Pozzoli e Loris De Luna

dramaturg Giorgia Buttarazzi
collaborazione alla drammaturgia Margherita Mauro
scene Rosita Vallefuoco
costumi Giuditta Verderio
suono e musica Samuele Cestola
luci Fabrizio Cicero
drammaturgia del movimento Roberta Racis
realizzazione scene Alovisi Attrezzeria
foto di scena Laila Pozzo

produzione CRANPI, CSS TEATRO STABILE DI INNOVAZIONE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA, ROMAEUROPA FESTIVAL con il contributo di MIC – MINISTERO DELLA CULTURA con il sostegno di TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO

È ispirato al celebre romanzo di Emily Brontë, lo spettacolo teatrale Cime tempestose di Martina Badiluzzi, giovanissima artista eclettica che si è imposta all’attenzione della critica e del pubblico dividendosi tra recitazione, scrittura e regia. Il debutto in prima nazionale è al Teatro Vascello di Roma, nell’ambito del Romaeuropa Festival, il 19 ottobre (replica il 20, poi in tournée). Un lavoro che vuole essere un omaggio al potere catartico della letteratura, alla magia dell’arte e del teatro e che prosegue il processo di riscrittura di figure femminili della drammaturga e regista friulana.

Cime tempestose è infatti il quarto capitolo di una quadrilogia, assieme a Cattiva sensibilità, The making of Anastasia (vincitore del bando Biennale di Venezia Registi Under 30 nel 2019) e Penelope (co-prodotto da Romaeuropa Festival 2022), interpretata dalle stesse cinque attrici: Barbara Chichiarelli, Viola Carinci, Federica Carruba Toscano, Arianna Pozzoli e Martina Badiluzzi, a cui si aggiunge Loris De Luna. Trasportando gli spettatori al centro dell’universo tormentato di Catherine e Heathcliff, qui interpretati da Arianna Pozzoli e Loris De Luna, Badiluzzi conclude il suo discorso sul corpo femminile che attraversa i temi dell’identità, dell’amore e dell’educazione delle giovani donne.

Lo spettacolo è una coproduzione tra Cranpi, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Romaeuropa Festival, con il contributo di MiC – Ministero della Cultura e il sostegno del Teatro Biblioteca Quarticciolo.

«Sono scrittrici come Emily Brontë ad aver cambiato la nostra storia», spiega Martina Badiluzzi. E aggiunge: «È nella letteratura di queste donne che si è formato l’immaginario di generazioni di ragazze ed espresso il ribollire dei desideri di emancipazione che ha riscritto il destino delle donne e degli uomini. Sulle pagine di questi libri abbiamo sviluppato il nostro pensiero critico e a queste storie, scritte da donne in tempi in cui non era permesso loro scrivere, che desideriamo tornare ora che siamo adulte».

Cime tempestose (1846) è un romanzo complesso e simbolico, unico scritto di un’autrice cresciuta in una cittadina dello Yorkshire inglese, in epoca vittoriana, sulla soglia della rivoluzione industriale.

Non è difficile immaginare perché una donna di quell’epoca, cresciuta nella brughiera sferzata dal vento e circondata dalla bellezza misterica di una natura violenta e radicale, guardi con sospetto la città e con preoccupazione la società capitalista che si andava costruendo. Emily tenterà per i primi anni della sua giovinezza di uscire dalla casa paterna ma mai ci riuscirà, preferendo alla civiltà la brughiera, la compagnia degli animali e quella dei fratelli: Charlotte Brontë, autrice di Jane Eyre, Anne Brontë, anche lei scrittrice di successo, e Branwell, pittore.

«Per comprendere la scrittura di Emily Brontë – prosegue Badiluzzi – serve inserirla in una geografia precisa, prima all’interno della sua casa, la canonica del pastore anglicano di origini irlandesi Patrick Bruntye, poi, allargando l’immagine, osservare quella casa nella brughiera accanto al cimitero cittadino. In casa scrive coi fratelli e “su di loro”, sui loro racconti e sulle loro biografie prendono forma i personaggi dei sui romanzi. Nella brughiera Emily vive, cammina e conosce ogni essere vivente per nome: fiori, alberi, arbusti, uccelli. La tassonomia dell’ambiente circostante le appartiene. Conosce il nome degli elementi naturali che abitano l’esterno della sua casa e con la stessa meticolosa indagine descrive i sentimenti umani, scava nella propria anima e restituisce al mondo due personaggi grandiosi, tragici e passionali come Catherine e Heathcliff. Per Emily Brontë “essere umano” significa essere della natura, nella sua cosmologia non ci sono sfumature tra umano e naturale, tra maschile e femminile, privato e sociale, interno ed esterno; tutto suggerisce un senso onnicomprensivo del vivere, dell’abitare il mondo in comunità con tutti gli esseri viventi».

Cime tempestose è il modo in cui viene chiamata una casa e la vegetazione circostante, fa riferimento a un paesaggio che è allo stesso tempo un luogo dell’anima e il titolo del romanzo. Racconta, in fondo, dell’interdipendenza corporea e spirituale tra corpi naturali e umani.

Note di regia -È a un’arte senza genere quella a cui tendiamo se la lente d’ingrandimento è un’opera come Cime tempestose. Un genere letterario che supera la barriera del genere e parla all’essere umano in conflitto, colto nel tentativo arduo di far dialogare la natura maschile con quella femminile, il privato col pubblico, il terreno con l’ultraterreno, la nascita con la morte.

Rileggere Cime tempestose da adulte è come tornare a casa. È un rito di passaggio quello a cui Emily Brontë ci sottopone come lettrici, lo sprofondare nelle viscere e nelle oscurità di una storia familiare dolorosa e violenta che si realizza, sul finale, nell’immagine consolante di due amanti senza paura: Cathy e Hareton

Il nostro spettacolo inizia da quei due amanti e da un ritorno a casa. Le figure che vogliamo in scena non sono più Catherine e Heathcliff; gli adattamenti hanno consumato i loro nomi e la critica abusato dei termini romanticismo e passione per raccontare la loro storia. Lasciamo spazio a Cathy e Hareton, la seconda generazione che abita il romanzo. Hareton è il “secondo” Heathcliff, l’ennesimo figlio non desiderato, e Cathy la copia identica della madre.

A questi due giovani è affidato il compito di gestire l’eredità delle proprie famiglie, non solo quella materiale, ma soprattutto quella emotiva. Di trasformare le disuguaglianze sociali, il razzismo e il maschilismo di quel piccolo mondo antico in qualcos’altro. 

Possono due bambini cresciuti in ristrettezza d’amore, in dinamiche familiari tossiche e violente riuscire ad amarsi? 

Non tutti ricordano che Cime tempestose è un luogo e il nome di una casa dai soffitti animati. Per andare avanti, per costruire un futuro insieme, Cathy e Hareton devono tornare nella casa dove si sono incontrati e riattraversare il proprio passato.

Le scene cardine di Cime tempestose, gli scambi tra Heathcliff e Catherine riemergono nei dialoghi tra Hareton e Cathy, è la casa ad agire su di loro, la casa a ripresentare i fantasmi del passato, a volte le case devono essere distrutte.

Martina Badiluzzi – Regista, autrice e interprete, si è formata studiando  con Anatolij Vasil’ev, il  duo  artistico Deflorian/Tagliarini, Lucia Calamaro, la  regista brasiliana Christiane Jatahy, Joris Lacoste e Jeanne Revel, Agrupación Señor  Serrano  e  Romeo Castellucci. Nel 2019 ha vinto il bando Biennale College Registi Under 30 della Biennale di Venezia con lo spettacolo The making of Anastasia, di cui ha curato regia e drammaturgia che si sviluppa  a cavallo tra teatro e cinema. Come interprete, è stata impegnata nella tournée internazionale di Avremo  ancora  l’occasione  di ballare insieme, spettacolo della compagnia Deflorian/Tagliarini. Nel  marzo del  2022 ha debuttato presso la Fondazione Haydn di Bolzano con l’opera di teatro musicale Silenzio: suo il libretto originale e la regia. Ha scritto e diretto Penelope, spettacolo co-prodotto da Romaeuropa  Festival, e  Cattiva sensibilità. Come aiuto regia di Nanni Moretti ha lavorato allo spettacolo Diari d’amore su testi di Natalia Ginzburg. Negli ultimi anni si è dedicata allo studio dei linguaggi performativi, alla ricerca di  un dialogo possibile tra la scrittura, l’interprete e la scena.

CIME TEMPESTOSE tournée 2024/25
Debutto/Prima nazionale
Romaeuropa Festival 2024/ Teatro Vascello, Roma
19 ottobre h 19:00 – 20 ottobre h 17:00
Biglietti € 25
Info tel 06 4555 3050 | promozione@romaeuropa.net
www.romaeuropa.net
Durata 140′

Date successive
7-8 febbraio 2025 Teatro S. Giorgio/CSS, Udine
25 febbraio – 9 marzo 2025 Piccolo Teatro Bellini, Napoli

Ufficio stampa Cime Tempestose

‘I Matt’attori’ in ‘Due x uno’ al Teatro Vascello

in CULTURA/PHOTOGALLERY/TEATRO by

Dal 28 maggio al 2 giugno al Teatro Vascello di Roma la compagnia “I Matt’attori” ha portato in scena la commedia teatrale “Due x uno”, adattamento di “Taxi a due piazze” del commediografo inglese Ray Cooney.

Ancora una volta, ed è la nona per l’esattezza, il gruppo si è adoperato in un lavoro teatrale per aiutare chi ha realmente bisogno.

Non solo amore per il teatro ma reale impegno al fine di raccogliere fondi a sostegno dei vari progetti di sviluppo sanitario che la SMOM Onlus porta avanti in Madagascar, Benin, Zanzibar.

Con l’adattamento e la regia di Guido Lomoro – direttore artistico Teatrosophia – la straordinaria verve di Mario Rosati & Co ha rallegrato e divertito gli spettatori che hanno riempito la sala durante tutta la settimana, con le esilaranti gag che ruotano attorno al protagonista principale della commedia, ovvero quel Mario Rossi, tassista, bigamo dalla doppia vita.

Personaggi e interpreti

Barbara Rossi ……………. Giorgia Tradico
Carla Rossi ………………… Laura Barluzzi
Mario Rossi ……………….. Mario Rosati
Brig. Percuoco ..………….. Leonardo Mennunni
Walter Fattore ……………. Giuseppe Tradico
Fotoreporter ………………. Roberto Giunti
Brig. Ferroni ………………. Flavia Rosati
Bobby ………………………… Manuela Renzulli

Adattamento e regia di Guido Lomoro
Aiuto regia Monica Ferrari
Scenografia Daniela Santolini

Alcune immagini di scena

Teatro Vascello – L’Uomo Calamita : Nemesi della lotta al Fascismo

in CULTURA/PHOTOGALLERY/TEATRO by

L’UOMO CALAMITA –  Nemesi della lotta al Fascismo

La tragedia del Fascismo prende corpo con la drammaturgia tridimensionale di Costantini

Roma 02 febbraio 2024

Foto e articolo di Grazia Menna

Oggi, 2 Febbraio 2024 : sono trascorsi cinque anni da quando al Teatro Vascello venne proposta al pubblico la prima de: L’uomo Calamita.

Cinque anni dopo lo spettacolo, seppur in minima parte rimodulato grazie all’esperienza scaturita durante questo periodo dalle tante rappresentazioni, continua a far vibrare di emozione, gioia, stupore, continua a far rimanere gli adulti con il “naso all’insù”, i giovanissimi spettatori “rapiti” dalle meraviglie acrobatiche di Giacomo Costantini.

Il lavoro teatrale scaturisce dalla collaborazione tra il Circo El Grito (https://www.elgrito.net/) , diretto e interpretato da Giacomo Costantini , Wu Ming 2 ( www.wumingfoundation.com) con i suoi testi e la sua voce narrante e Fabrizio “Cirro” Baioni  che contribuisce con le sue musiche dal vivo, scritte specificatamente per questa rappresentazione.

L’allestimento scenico ci presenta tre persone sul palco – musicista, circense, scrittore; a costui è demandata la narrazione della storia in parte vera, per quanto attiene la persecuzione della popolazione Sinti e Rom nell’Italia fascista (Normativa Antizigana nell’Italia Fascista ), in parte immaginaria che si sviluppa tra il 1940 ed il 1945;  periodo di guerra, invasione tedesca, il potere dei fascisti, fame, freddo e i rifugi nella montagna che nasconde. Tutti i componenti di un circo che ogni anno si ferma nel paese immaginario di Corniolo, ipoteticamente collocato sugli appennini, debbono fuggire ed abbandonare il loro tendone già montato. Vengono ricercati alla stregua degli ebrei e delle altre minoranze non gradite ai tedeschi e, di conseguenza, ai fascisti; il loro essere nomadi, giostrai, forse proprio zingari, gente prevalentemente proveniente dall’Est Europa, li accomuna al pericolo “comunista”.

Essi scelgono sì di nascondersi, ma anche di organizzarsi in un “improbabile” battaglione partigiano. Capitanati come sulla pista del circo dall’Uomo Calamita, un supereroe che si dice con poteri magnetici che può attirare a sé ferri da stiro e stoviglie, combattono con le “loro” armi: fantasia ed abilità circensi.

Mentre il narratore Wu Ming 2, alias di Giovanni Cattabriga, membro del collettivo italiano Wu Ming , avanza nella storia e nei suoi passaggi sempre più drammatici, gli esercizi di Giacomo Costantini si fanno via via più estremi e complicati, la musica di Cirro si fa più incalzante e narrante di un clima di pericolosità, con la sua batteria suonata su basi elettroniche

L’apoteosi della pericolosità nello spettacolare esercizio che chiude anche la rappresentazione:  l’Uomo Calamita esegue la “Tortura Cinese dell’Acqua”, esercizio di mesmerismo portato in scena  la prima volta dal grande Harry Houdini, che significa farsi calare a testa in giù in una vasca colma d’acqua, con le manette ai polsi, e provare a uscirne dopo tre minuti di apnea.

La vittoria dell’Uomo Calamita, che si libera dalle manette ed esce dalla vasca, simboleggia la vittoria o la speranza di essa, dell’Antifascismo sui tedeschi, sul regime di oppressione fascista di quell’Italia del 1940.

A conclusione dello rappresentazione gli artisti con la conduzione della foto-giornalista Laura Salvinelli, hanno condiviso con il pubblico un momento speciale di domande e risposte inerenti lo spettacolo; è stata data voce ai tanti bambini presenti in sala incuriositi dagli esercizi di Giacomo Costantini.  Ognuno degli artisti ha raccontato il suo percorso professionale che lo ha condotto a realizzare e partecipare a questo progetto teatrale.

La sfida che questo lavoro teatrale,  che ha esordito in teatro a Maiolati Spontini nel dicembre 2017, porta avanti ossia combinare acrobazie circensi, reading teatrale e musica dal vivo,  si può asserire sia assolutamente VINTA; i numeri parlano chiaro: ad oggi oltre ventimila spettatori per oltre cento rappresentazioni.

 

si ringrazia la GDG Press nella persona di Diletta Maurizi e Luca Pakarov Ufficio stampa della compagnia

Trent’anni di “Oylem Goylem” di e con Moni Ovadia al Teatro Vascello

in CULTURA/PHOTOGALLERY/TEATRO by

Moni Ovadia festeggia quest’anno il trentennale del suo famosissimo spettacolo Oylem Goylem, riportandolo ancora una volta a Roma al Teatro Vascello.
Ideatore e vivace interprete principale di quello che può definirsi un viaggio metaforico all’interno della lingua, della musica e della cultura Yiddish, Ovadia affascina e trascina il suo pubblico, accompagnando il tutto con le magiche sonorità Kezmer della Moni Ovadia Stage Orchestra.

Abile intrattenitore ed intelligentissimo affabulatore, il musicista diventato attore, presenta al suo pubblico uno spettacolo che spazia dalla narrazione di storielle umoristiche, a racconti di natura aneddotica, inframmezzati a canti e musiche della cultura ebraica. Quel che ne scaturisce è una kermesse variegata, vibrante, che rappresenta, nelle parole del suo stesso creatore: “il suono dell’esilio, la musica della dispersione”, metafora sempre attuale della diaspora ebraica.

A trent’anni dal suo debutto, prende vita sul palcoscenico del Vascello uno spettacolo che a tratti ricorda il cabaret, suscitando nel pubblico presente risate e sorrisi, ma portandolo al contempo a commuoversi e riflettere, cullato tra atmosfere da sinagoga e melodie zingare.

Centoventi minuti di show che non annoia mai, che si vorrebbe vedere e rivedere ancora, e che scalda il cuore con la sua continua alternanza di suggestioni e toni. “Oylem Goylem” attraverso il suo delicato ed arguto umorismo si fa simbolo di un messaggio universale di pace, contrario a tutti i tipi di razzismo ed intolleranza, e presenta agli ascoltatori una lezione sempre attuale per le generazioni presenti e future.
Al termine dello spettacolo la Moni Ovadia Stage Orchestra si sposta poi nel foyer, per un regalo inatteso, ed accompagna ancora per un poco gli spettatori verso il finale di serata con le musiche scaturite dai suoi strumenti come per augurare loro una dolce notte.

“Oylem Goylem” di e con Moni Ovadia
e con Moni Ovadia Stage Orchestra: Maurizio Dehò Violino, Luca Garlaschelli Contrabasso, Paolo Rocca Clarinetto, Alberto Mihai Fisarmonica, Marian Serban Cymbalon
Scene e costumi: Elisa Savi Progetto sonoro: Mauro Pagiaro
produzione CTB Centro Teatrale Bresciano e Corvino Produzioni 
durata 2 h

Al Teatro Vascello lo spettacolo di flamenco “Cohesion”

in CULTURA/PHOTOGALLERY by


Nella serata di mercoledì 1 novembre è andato in scena, nella sala del Teatro Vascello di Roma, al completo per l’occasione, lo spettacolo di flamenco dal titolo “Cohesion – baile, toque y cante” presentato dalla Compagnia FlamencoVivo di Lara Ribichini.

Sulle musiche di Matteo D’Agostino e le coreografie della stessa Lara Ribichini si sono esibiti i ballerini Andrea Lamberti “El Niño” e Stefano Arrigoni “El Farrubio”, e  le ballerine e i ballerini allievi della scuola della Compagnia.

In scena assieme ai danzatori gli spettatori hanno potuto ascoltare l’emozionante voce di Josè Luis Salguero e la sua ritmica (le “palmas”, ovvero l’arte percussiva delle mani).

Gli altri artisti presenti nella serata sono stati: Paolo Monaldi (percussioni), Sabrina Logué (palmas), Sergio Varcasia (chitarra), Juan Carlos Albelo Zamora (violino)

La galleria delle immagini

Roberto Bettacchi
0 £0.00
Go to Top