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European Affairs Roma - page 15

Anastacia – Evolution tour 2019

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Valmontone Outlet Summer Festival 15 Giugno 2019

– Live report di Claudio Enea
– Pregalleria e galleria fotografica di Claudio Enea

Terza edizione del Valmontone Outlet Summer Festival che anche quest’anno inizia alla grande. Di scena la regina del pop Anastacia, anzi dello “sprock” come lo definisce lei, un mix di soul, pop e rock, cantato da una voce calda e nera ormai inconfondibile.

Fama mondiale (un po’ meno nel suo paese di origine n.d.r), l’artista americana è felicissima di esibirsi nel nostro paese, dove è una vera star e lo fa presentando il suo ultimo album “Evolution” settimo della serie, registrato a Stoccolma.

La regina dello sprock è attesa da un numerosissimo e caldo pubblico, ci vuole ben poco a farli diventare un tutt’uno grazie anche alla carica dirompente della cantante.

E via, le emozioni passano per i tanti suoi successi ed iniziano con Left Outisde Alone, dove Anastacia parla del suo rapporto con il padre.
Brano dopo brano, da prova non solo di una potenza vocale ancora intatta a dispetto dei suoi cinquant’anni appena compiuti ma anche di una simpatia e disponibilità fuori dal comune.

Simpatico il siparietto improvvisato con una fan che fatta salire sul palco a fare una chiacchierata come tra vecchie amiche si è poi vista coinvolta a scattare un inaspettato selfie che crediamo rimarrà come un marchio a vita nella memoria della fortunatissima di turno.

Un live coinvolgente che ha fatto ballare ed emozionare il pubblico del VSF.
E così, continua a far divertire i presenti coinvolgendoli in uno spettacolo senza soluzioni di continuità, durato un’ora e mezza circa, a livelli sempre elevatissimi.
Anche per il cambio di abito tra il primo e secondo tempo, non c’è stata alcuna pausa, attorniata da artisti di primissimo ordine, dove in particolare Johanna Harman (tastiere e cori) e le due ballerine coriste Christine Andersn e Rosie Bell danno vita all’intervallo tra i due tempi, cantando e ballando un “Funky Medley” che non ha certo sfigurato con il resto della serata.

Tanti i pezzi nella scaletta che hanno fatto cantare e saltare le migliaia di persone presenti. Tanti i ti amo, i cuore e amore, tra un pezzo e l’altro, forse anche troppi, ma a lei si possono perdonare e quando il pubblico intona la famosissima e mondiale “Ti amo” di Tozzi facendogli intendere l’affetto nei suoi confronti, lei divertita risponde con il pezzo cantato in coppia con il suo amico Eros Ramazzotti, I belong to you, lei ovviamente nella sua parte ed il pubblico a sostituire l’artista romano, forse il momento più coinvolgente della serata.

Il concerto finisce con il suo brano più famoso I’m Outta Love, una carica di energia positiva che accompagna i presenti, riecheggiando in testa dopo il concerto sino all’uscita e che probabilmente resisterà anche per il giorno seguente.

Insomma, Inizia proprio bene questo VSF 2019, adesso attendiamo le prossime date.

Scaletta:
1) Left Outside Alone
2) Caught in the Middle
3) I Can Feel You
4) Redligh
5) Sick and tired
6) Before
7) Cowboys and Kisses
8) Funky Medley
9) One Day In Your Life
10) Nobody Loves Me Better
11) Not That Kind
12) You’ll Never Be Alone
13) I Belong To You
14) Why’d You Lie To Me
15) Stupid Little Things
16) Paid My Dues
17) Sweet Child o Mine
18) I’m Outta Love

(Pregalleria)



Band:
Orfeo Orakwue – Basso
Andrew Small – Batteria
Johanna Harman  – Tastiere/cori
Gary Sanctuary – Tastiere
Adam Goldsmith – Chitarra
Christine Andersn – Dancer
Rosie Bell – Dancer

Marco Iacobini Band feat Stuart Hamm

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Route 66 – Roma 09.06.2019

– Live report di Francesco Pozone e Claudio Enea
– Pregalleria e galleria fotografica di Claudio Enea

Si è concluso ieri sera il breve ma intenso Tour di Marco Iacobini, con gli storici collaboratori Cristiano Micalizzi e Stefano Sastro ed il grande bassista Stuart Hamm;

Bologna, Milano, Torino, L’Aquila e Roma, queste le cinque date che li ha visti protagonisti.
Gran parte della scaletta è incentrata sui brani di “The Sky There’ll Always Be” l’ultimo disco di Marco Iacobini, bellissimo concentrato di brani strumentali registrato tra Roma, New York e Los Angeles avvalendosi del contributo di alcuni “mostri sacri” (lo stesso Stuart Hamm, Billy Sheehan, Tony, Levin, Dave Weckl, Mike Terrana…).

Non possono mancare gli omaggi al Maestro e così la band ci regala due perle di Jeff Beck, “The Pump” (scritta dal batterista Simon Phillips) e nel bis “Freeway Jam”, magistralmente suonate da questa super-band.
Non può neanche mancare il momento dell’assolo del virtuoso bassista Stuart Hammm, che esegue una sua personale interpretazione di “Going to California” del Led Zeppelin: da brividi.

Ma torniamo all’album, bello, veramente bello tutto quest’ultimo di Marco, un mix esplosivo tra rock-prog e fusion veramente ben amalgamato. Toccante il momento per la dedica al papà della ballad “Where the Angels come down”.

Alcuni brani mi hanno riportato al primo Satriani ed alcuni incastri al CAB4 di McAlpine-Brunel, ma come mi confessa in seguito Marco: “Satriani e’ certamente una delle mie massime influenze anche se devo dire che la mia più grande fonte di ispirazione e’ certamente Steve Lukather dei Toto.
Amo molto anche Steve Vai, Steve Stevens, Malmsteen, Larry Carlton e Pat Metheny, passando anche per Scott Henderson ed Allan Holdsworth”.

Insomma, anche se il suo è uno stile del tutto personale e particolare non mancano le fonti di ispirazione e che fonti aggiungerei, ma anche le collaborazioni ormai, non sono di minor levatura per questo autentico talento nostrano a partire proprio da “Stu”, presente nella maggior parte dei brani dell’album e con 18F scritta proprio dallo stesso bassman statunitense.

Prossimi progetti, il nuovo disco a cui Marco sta lavorando già da tempo ed un nuovo tour che partirà prossimamente, noi attendiamo entrambi con trepidazione, alla fine ci sentiamo un po orgogliosi di avere in casa dei talenti che normalmente sono ad appannaggio di altre latitudini.

Nel frattempo vi consigliamo di dare un orecchio, ma magari anche due, all’ultimo lavoro “The Sky There’ll Always Be”, per gli amanti del genere vi possiamo garantire che non ve ne pentirete.

Un’ultima chicca per i chitarristi curiosi in ascolto, sveliamo il setup di Marco, del tutto analogico, Amplificatori Marshall e Bogner, pedali Truetone, Custom Audio Electronics devices e chitarre Carvin/Kiesel e Fender Custom Shop.

(Pregalleria)



Formazione:

  • Marco Iacobini – Chitarra
  • Cristiano Micalizzi – batteria
  • Stefano Sastro – tastiera
  • Stuart Hamm – basso

PFM canta De Andrè – Anniversary

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Auditorium Parco della Musica di Roma 26.05.2019
Open Act di Micol Arpa (Picchioni)

– Live report di Luis “Redwood” Almasi
– Pregalleria e galleria fotografica di Claudio Enea

26 maggio e ventiseiesimo concerto di questa fortunata ed acclamata tournée che dal marzo scorso attraversa in lungo e in largo tutta l’Italia, aggiungendo date su date. Secondo concerto romano, questa volta non al teatro Brancaccio (nel cuore di tanti faberiani soprattutto per il famoso video) bensì nella prestigiosa Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica.

Opening act di Micol e la sua “arpa rock” che suona in piedi esprimendo così, anche col corpo, la volontà di rinnovare e contaminare questo antico strumento. “Verranno a chiederti del nostro amore” viene accolta calorosamente da un pubblico in fondo sorpreso dal gradito preambolo; ma è con “Via del Campo” che si crea un feeling speciale. Strumento affascinante l’arpa che rievoca suoni ancestrali, memorie infantili di carillon e ninnenanne. Forse per questo Micol vola spesso sino alle note più acute dello strumento e ci sembra di sentir cantare le parole: ognuno nella mente; ognuno col cuore. Che bello l’Auditorium lasciato semi-illuminato. Micol ringrazia la PFM e tutti per averle regalato questo palco. Mentre suona “Canzone dell’amore perduto”, nell’aria si accendono centinaia di lucciole (LED, ndr) che ci fanno sognare questa primavera che sembra non voler ancora tornare.

La Premiata Forneria Marconi non è seconda a tante altre eccellenze italiane che ci rendono preziosi agli occhi del mondo. Unica band nostrana che negli anni ’70 riuscì ad avere successo anche all’estero, fu protagonista assoluta di una svolta storica per la musica d’Autore, unendo la propria energia rock progressive e l’enorme capacità tecnica alla poesia in musica di uno dei più grandi cantautori di tutti i tempi. “Fabrizio De André in concerto arrangiamenti PFM” fu una tournée prima ed un disco poi che ebbero un grande successo di pubblico e di vendite fino ad assumere, nel tempo, le caratteristiche di un vero e proprio mito. Era il 1979 e “PFM canta De André Anniversary” celebra e rinnova quella meraviglia, 40 anni dopo.

<<Cominciava così>>, ricorda Franz Di Cioccio, mentre parte l’arpeggio di “Bocca di rosa”. Subito ci immaginiamo proiettati in quel freddo gennaio del 1979 e la magia comincia nel modo più prevedibile e, proprio per questo, più diretto e giusto. C’è voglia di partecipare, di battere le mani ed esprimere calore, coinvolgimento ma “La guerra di Piero” cambia in un attimo l’atmosfera e il pubblico si tace. Lucio “violino” Fabbri ha un fraseggio di un’espressività unica: sempre fedele e preciso; sempre diverso come una meravigliosa voce fatta di legno, crine, corde, mani e cuore (e ce n’è tanto). Ora l’Auditorium pare stretto in un abbraccio collettivo e siamo appena all’inizio…

La fisarmonica è la stessa dei concerti del 1979 così come le mani che la suonano, quelle del tastierista storico della PFM Flavio Premoli. Curò personalmente molti degli arrangiamenti PFM per le canzoni di Fabrizio De André e “Un giudice” (preceduta da “Andrea”, ndr) si conferma uno dei pezzi migliori, anche questa sera. Appena il tempo per Franz di presentare i 9 membri della band e parte “Rimini” con il suo incedere dolcemente cadenzato dai contrappunti di chitarra. La musica ha una tale ricchezza di colori, di raffinati intrecci melodici, da superare in bellezza le parole peraltro stupende. Emozionante!

C’è attenzione ai suoni. Negli anni alcuni membri storici della band hanno preso altre strade ma Patrick Djivas è ancora qui, con il suo basso fretless a regalarci il suo stupendo arrangiamento di “Giugno ’73”. Il violino di Lucio Fabbri ed i campanelli (crotali) suonati da Franz Di Cioccio completano le tinte di questo affresco, realmente evocativo di quell’esistenzialismo francese che contraddistinse un’epoca ed il modo di fare arte anche di Fabrizio De André.

Ora la musica lascia il posto alle parole ed ai bei ricordi della Sardegna del 1978 quando il Poeta (Fabrizio, ndr) e la Premiata Forneria Marconi, impegnata in un concerto a Nuoro, si ritrovano, si divertono. Il Poeta invita tutti a casa sua così, complice l’Agnata (la tenuta di De André vicino a Tempio Pausania, ndr) ed un mare di Vermentino (<<una droga che si può consumare liberamente>>, dice Franz) prende forma l’idea di fare qualcosa insieme.

La PFM aveva già collaborato con Fabrizio, quando ancora non si chiamava PFM ma “i Quelli”. Furono infatti molti dei musicisti della band a suonare ne “La buona novella”, il concept album del 1970 tratto dalla lettura di alcuni vangeli apocrifi. “Maria nella Bottega di un Falegname” e “il Testamento di Tito” diventano, nell’interpretazione della PFM nei concerti del ’79, quasi un tutt’uno dando vita ad una lunga suite veramente in stile progressive che questa sera viene preceduta da due nuovi arrangiamenti di altrettanti pezzi tratti sempre da quell’album.

“L’infanzia di Maria” funziona alla grande. Il prog lascia a tratti spazio all’hard-rock, quasi al metal. Marco Sfogli alla chitarra elettrica è bravissimo. Un altro assolo di Djivas. Quando entra Lucio ti scoppia il cuore. Nella seconda parte del pezzo c’è posto addirittura per il blues e per sonorità arabeggianti verso la fine. C’è tanto ma ben pensato, ottimamente eseguito e il pezzo piace al pubblico: una vera ovazione (“vien giù il teatro” prima ancora che il pezzo finisca, ndr). “Il sogno di Maria” pare invece, per lo più, perdere tutta la sua dolcezza (a tratti sensuale) a favore di un approccio rock ed energico. Resta l’espressività, l’intimità nella parte finale (quando torna Giuseppe, ndr) dove peraltro il pezzo non è stato sostanzialmente riarrangiato. Il pubblico comunque apprezza.

Franz ci invita a metterci <<seduti sulla panchina del tempo>> e una piccola magia tecnologica fa cantare la voce registrata di Fabrizio De André mentre la band suona “La canzone di Marinella”. Applausi fragorosi sottolineano l’amore per Faber e soffocano il rimpianto di averlo perduto troppo presto. <<Eravamo in 10 su questo palco>> dice Di Cioccio con evidente emozione.

È il momento delle ballate. “Zirichiltaggia”, leggermente più lenta rispetto al ’79, cantanta dal bravissimo Alberto Bravin (voce, tastiere, chitarra) e “Volta la carta” con il pubblico che si diverte nel lasciarsi coinvolgere dal “gran cerimoniere” Franz di Cioccio: <<Branca, Branca, Branca… leon, leon, leon>>; <<Su le mani. Forte!>>.

Arriva “Amico fragile”. Il torrente di note che Fabrizio riusciva ad arpeggiare sulla chitarra classica con sorprendente fluidità è sostituito da uno strumming cadenzato. La voce di Franz è convincente, come può essere solo quella di chi sa realmente cosa significhi essere <<evaporato in una nuvola rossa>>. La band suona, eccome! Roberto Gualdi è bravissimo alla batteria che cede di buon grado alle graditissime incursioni di Franz, batterista frontman della PFM. Marco Sfogli (chitarra elettrica, ndr) evoca Franco Mussida (il chirarrista storico della PFM, ndr) ad ogni nota, facendoci capire di esserne stato permeato fin nel profondo. Non è imitazione ma interiorizzazione, rispetto ed evoluzione nel ricreare la magia di questi assoli che hanno fatto la storia della musica.

<<Bravi, bravi, bravi>>. Applausi fragorosi, incessanti. Il concerto è finito ma tutto il teatro grida come una sola voce: <<Fuori, fuori, fuori…>>. Eccoli.

La versione PFM de “Il Pescatore” fu la canzone con cui, sostanzialmente, Franz Di Cioccio convinse Fabrizio De André della bontà di questo progetto di collaborazione. Uno dei pezzi sacri della produzione De Andreiana che, a mio avviso, solo in questo arrangiamento trova il suo completamento, la sua pienezza. Ciò è vero al punto che Fabrizio non abbandonerà più questa versione facendone uno dei “cavalli di battaglia” che più identifica quella mitica tournée. Quale modo migliore di tornare sul palco per l’encore con il pubblico che canta i cori a squarciagola e pare un tutt’uno con chi è sul palco.

“È festa” in medley con “Impressioni in settembre”, due pezzi originali della PFM, suggellano la fine del concerto. C’è tempo solo per la foto di rito della band con tutto il pubblico alle spalle: <<Su le mani tutti! Domani la vedete su Facebook>>, ci esorta Franz.

Complimenti ai fonici per la resa sonora degna della PFM. Bellissime le luci che costituivano sostanzialmente l’unico effetto scenografico.

Consiglio a tutti di andare a vedere questo spettacolo almeno una volta perché è un pezzo di storia veramente importante della musica italiana. Si replica in tutta Italia e a Roma il 18 novembre 2019.

(Pregalleria)



Formazione:

  • Franz Di Cioccio – batteria, percussioni e voce
  • Patrick Djivas – basso
  • Flavio Premoli – tastiera, voce
  • Lucio Fabbri – violino, tastiera e chitarra
  • Roberto Gualdi – batteria
  • Alessandro Scaglione – tastiera, voce
  • Marco Sfogli – chitarra elettrica
  • Alberto Bravin – tastiere aggiuntive, chitarra acustica e voce
  • Michele Ascolese – Chitarra

Giorgia – Pop Heart Tour 2019

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Palazzetto dello Sport – Roma 16.05.2019

Un fuori programma 5 minuti prima dell’inizio concerto, un brusio poi grandi applausi nel primo anello alle spalle del parterre, molta confusione, tanto che credevamo che la produzione avesse voluto preparare una sorpresa modificando l’inizio del concerto, facendolo iniziare con una apparizione da mezzo il pubblico. Niente di tutto questo era solo un gran numero di persone che aveva riconosciuto e voleva salutare Carlo Verdone, che prendeva posto anche lui accorso da spettatore a questa magica serata.

Ma veniamo al live report.
Classe ed eleganza fatta cantante, è così invece che si presenta al “suo” pubblico, una tra le più belle voci del panorama Italiano ed internazionale, forse la migliore almeno in Italia secondo chi scrive (ndr).

Arriva finalmente, attesissima a Roma, l’affascinante Giorgia Todrani, in arte, semplicemente Giorgia, vestita per l’occasione da Dior per mano di Maria Grazia Chiuri, come scritto in più parti, un rimando agli anni 50 ed in particolare alla memoria di Grace Kelly, tre abiti caratterizzati da tute aderenti e gonne in tulle impreziositi da paillettes e cristalli Swaroski, insomma la maison di origine francese non poteva trovare cliente più adatta, carismatica e rappresentativa.

Compare così da una pedana salendo dal sottopalco in una silhouette da brividi a far urlare un gremitissimo Palalottomatica, inizia la serata del Pop Heart Tour di Roma che prende il titolo dall’omonimo album cover, primo per l’autrice-interprete romana.
Disco di platino che vede rivisitati brani come “Le tasche piene di sassi” di Jovanotti che apre il concerto, “Una storia importante” di Eros Ramazzotti” e tante altre. Oltre i brani dell’album anche molte pietre miliari, da “E poi”, a “Come saprei”, “Come neve” e molti altri per 2 ore e mezza di pura energia musicale, in una scenografia allestita magistralmente dove luci e pareti led aiutano ad accompagnare lo spettatore dentro i brani che hanno scandito la carriera dell’artista.

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel lontano ’93 in cui Giorgia vinse il San Remo Giovani, in questi 25 anni l’abbiamo vista duettare con le più autorevoli voci del panorama mondiale, raggiungendo una maturità vocale ed interpretativa fuori dall’ordinario, quando appare lei sulla scena ti aspetti sempre qualcosa di spettacolare, qualche cosa di unico. Così è, quando trasmette emozioni interpretando “Anima” di Pino Daniele, o quando in forma reverenziale dice “Ora vi chiedo scusa in anticipo per questo brano che proverò a cantare davanti a voi e spero che lei, anche se da lassù, lei potrà capirmi e scusarmi” prima di intonare “I Will always love you” di Withney Houston, ma ormai la cara Giorgia è arrivata ad un livello tale di maturità che non c’è pezzo che non possa cantare.

Su queste note finisce la serata romana che l’ha vista saltare, ballare, firmare autografi come nulla fosse mentre continuava a cantare coadiuvata da un band di elevato livello formata da Mylous Johnson alla batteria, Sonny Thompson al basso, Jacopo Carlini al pianoforte, Fabio Visocchi alle tastiere, Anna Greta Giannotti alla chitarra, Diana Winter cori e chitarra, Andrea Faustini cori, ultimi due con i quali duetta pure durante il concerto.

Di seguito la scaletta dei brani:

  1. Le tasche piene di sassi (Jovanotti cover)
  2. Una storia importante (Eros Ramazzotti cover)
  3. Gli ostacoli del cuore (Elisa cover)
  4. Credo
  5. Scelgo ancora te
  6. Sweet dreams (Eurythmics cover)
  7. Quando una stella muore
  8. È l’amore che conta
  9. Come neve
  10. Dune mosse (Zucchero cover)
  11. I feel love (Donna Summer cover)
  12. Il mio giorno migliore
  13. La mia stanza
  14. Ain’t nobody
  15. E poi
  16. Come saprei
  17. Strano il mio destino
  18. Un amore da favola
  19. Girasole / Tradirefare
  20. Easy
  21. Di sole e d’azzurro
  22. Vivi davvero
  23. Stay (Rihanna cover)
  24. Io tra tanti
  25. L’essenziale (Marco Mengoni cover)
  26. Oronero
  27. Anima(Pino Daniele cover)
  28. Tu mi porti suI
  29. will always love you (Withney Houston)

Pregalleria


(Pregalleria e galleria completa a cura di Claudio Enea)


Atene, le origini della storia occidentale tra pace e caos

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Frammenti di mito e pezzi di intonaco, una capitale votata al passato, dagli albori della civiltà al racconto dell’ultimo decennio trascorso. Tutto sembra vissuto, a tratti usurato, Atene non è la classica “bella città” ma gioca bene le sue carte con la complicità delle atmosfere suggestive e la luce avvolgente del Mediterraneo. Sorprende inaspettatamente chi si addentra nel dedalo del centro tra palazzi scrostati, gallerie d’arte e scorci sulla storia: da qualsiasi angolo si scorge l’Acropoli, fondamenta della cultura occidentale. Il Partenone, unico e immortale, veglia la città arroccato su un promontorio roccioso sovrastando la valle dell’Ilissos dalla fine del VII secolo a.C.

Il Partenone
Atelier nel quartiere di Monastiraki

Un viaggio alla scoperta delle nostre origini, un tuffo nella creatività e nella serenità che contraddistinguono la tradizione greca. Atene è storia e smussa il peso della sua eredità nella leggerezza della quotidianità rivelandosi una metropoli viva e originale che bypassa le ombre della crisi a ritmo di sirtaki e spunti creativi. L’incontro nelle grandi piazze, la vivacità rilassata della gente, il profumo di basilico fresco dei piatti tradizionali e l’estro degli artisti moderni che omaggiano il glorioso passato sono solo alcuni spunti per viverla a pieno. E’ dalle radici che inizia un viaggio nella culla della civiltà occidentale, per poi divagare in una realtà pittoresca al passo con i tempi.

Propileo all’entrata dell’Acropoli
Dettaglio del frontone orientale del Partenone 
Eretteo e loggetta della Cariatidi 

La prima tappa è l’Acropoli. Lì dove tutto ebbe inizio spiccano gli archetipi dell’architettura classica come eredità inestimabile. Il sito archeologico patrimonio UNESCO dal 1987, racconta la nascita della democrazia evocando suggestioni e riflessioni. Sulla collina dell’Areopago sorgono il Partenone, i Propilei, l’Eretteo e il Tempio di Atena Nike, circondati dalla possente cinta muraria di Temistocle. Il Partenone incorona il sito con candida magnificenza; progettato da Ictino e Callicrate, venne edificato tra il 447 e il 438 a.C. e consacrato alla dea Atena. La costruzione in marmo pentelico bianco scintilla sotto il sole, otto colonne dei lati corti e diciassette su quelli lunghi in stile dorico ingegnosamente inclinate per creare un effetto illusorio. Un tempo l’edificio era ricoperto di fregi e sculture, oggi si aggrappano ai frontoni occidentali e orientali i superstiti delle ere: Helios e il suo destriero raccontano la nascita di Atena dalla testa del padre e la lotta di Atena con Poseidone per il possesso dell’Attica. Lungo il perimetro del tempio spiccano le metope modellate da Fidia, le formelle quadrate con funzione narrativa scolpite ad altorilievo. Oggi come allora i Propilei si trovano all’entrata dell’Acropoli accogliendo da millenni i visitatori. Realizzati per volere di Pericle spiccano allineati con il Partenone in un gioco di geometrie perfette, con le facciate anteriori più basse di quelle posteriori per seguire il dislivello del terreno. Catturano l’attenzione la solennità del Tempio di Atena Nike dedicato alla dea della vittoria nel 425 a.C., e l’Eretteo che deve il suo nome al mitico re di Atene. Questo capolavoro dell’architettura ionica, costruito tra il 421 e il 406 a.C., ostenta le protagoniste dell’architettura classica nel suo portico: le Cariatidi, intente a sorreggere il peso della storia e della cultura (le statue esposte sono una riproduzione delle donne di Karyai, le originali si trovano al museo dell’Acropoli).

Museo dell’Acropoli, statue delle Cariatidi in lontananza

All’ombra del Partenone possiamo ritagliare qualche attimo per rilassarci, riflettere e scrutare il panorama della metropoli odierna, una terrazza esclusiva che si affaccia sul divenire di una capitale dai tratti caotici. Il viaggio nella cultura classica prosegue “a valle”, al Museo dell’Acropoli, situato alle pendici meridionali dell’Areopago. L’interessante polo museale si distingue per la struttura moderna in vetro e acciaio e crea un ossimoro architettonico a confronto con le pietre compatte della cittadella del mito. Il museo custodisce tutti i reperti rinvenuti nel sito e spazia dal mondo arcaico a quello romano con cimeli inestimabili come le leggiadre korai, dalle elaborate acconciature a trecce del VI secolo, e il noto giovane con vitellino del 570 a.C. Un’ altra tappa da non perdere per un continuum nella storia ellenica è l’Antica Agorà, dove Socrate elaborò le sue brachilogie, conversazioni fondate su una logica ferrea al fine di educare l’individuo e la sua anima sul fondamento della verità. Qui si erge superstite il Tempio dorico di Efesto del 449 a.C., e il grande complesso a due piani della Stoà di Attalo originario del 138 a.C., ricostruito filologicamente dalla Scuola Americana di Archeologia. Le dimensioni colossali della storia antica sono tutt’ora testimoniate anche nel sito archeologico del Tempio di Zeus Olimpio, maestose rovine di un nucleo architettonico che richiese oltre sette secoli per la costruzione. Un esempio ante litteram di “edilizia posticipata” per mancanza di fondi, l’Olympieion venne ultimato dall’imperatore Adriano nel 131 d.C.

Vista dal Museo dell’Acropoli sul Partenone
Tempio di Zeus Olimpio

Dopo un tuffo nella storia, Atene offre un’immersione nel mare plumbeo del suo caotico centro non privo di atolli meravigliosi: tra gli edifici in calcestruzzo infatti sorgono le isole verdi della città. L’eden urbano dei Giardini Reali, una visione salvifica nella congestione della metropoli vicino a Piazza Syntagma dove si trova il Parlamento. Oggi questo eden aristocratico del 1840 è diventato uno spazio pubblico condiviso da milioni di cittadini e turisti diventando il Giardino Nazionale della città di Atene. 38 acri di verde e oltre 500 specie di piante rendono questo spicchio di città un tesoro di biodiversità, avvalorato da cimeli inestimabili che ricordano l’identità di Atene, indissolubilmente legata alla storia. In città i grandi polmoni verdi sono facilmente individuabili alzando semplicemente lo sguardo verso il cielo. Spiccano le pendici boscose del Licabetto sopra il quartiere di Kolonaki, dove si rincorrono miti e leggende, e la collina di Filopappo, descritta da Plutarco per le gesta di Teseo contro le Amazzoni. Quel che fu dello scontro anima solo la leggenda lasciando spazio alla pace in quest’oasi naturale da dove ammirare un panorama privilegiato sull’Acropoli, sull’Attica e sul Golfo di Salonicco per poi spaziare sino a dove arriva l’orizzonte. Passeggiare tra i vialetti ombrosi dei parchi di Atene è l’ideale per chi desidera rilassarsi dal traffico cittadino e ritrovare le idee, fermarsi e osservare il divenire dall’alto può rivelarsi una panacea temporanea, un’occasione per riflettere sui dogmi della vita quotidiana, oggi come allora.

Il Licabetto 
Vista dalla collina di Filopappo

Immagine copertina: vista sull’Acropoli dalla collina di Filopappo.

Photo credits: Elena Bittante

Steve Hackett – Genesis Revisited tour 2019

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Teatro Brancaccio Roma 29.04.2019

Live report di Claudio Enea

Steve Hackett, ex chitarrista dei Genesis ritorna in Italia per quattro appuntamenti, il primo dei quali al Teatro Brancaccio di Roma, le date italiane fanno parte del nuovo tour europeo partito il 22 aprile e che toccherà 17 paesi, per un totale di 31 concerti.
Il  concerto è composto da due momenti ben distinti, il primo per onorare il quarantesimo anniversario di uno degli album solisti più famosi di Hackett, “Spectral Mornings”, mentre il secondo completamente incentrato sull’esecuzione dei brani tratti dall’album che rese famosi i Genesis in tutto il mondo ovvero “Selling England By The Pound” (1973), tra i dischi realizzati con Peter Gabriel quello più venduto ed arrivato fino alla terza posizione della classifica inglese.

Inutile dire che il primo grande applauso viene tributato alla fine di “Firth of Fifth”, bravi ma veramente bravi tutti i componenti della band che eseguono con estrema fedeltà l’intera opera dei Genesis, certo le voci di Gabriel o di Collins sono inimitabili quasi irraggiungibili, ma sono ormai dettagli.

La serata si conclude con un paio di brani tratti dall’album “A trick of the Tail”. Prima, Dance on a Vulcano che dovrebbe chiudere il concerto, ma nell’inevitabile bis, la band propone anche un mix Myopia/Los Endos, con il quale si congeda definitivamente dal pubblico presente, estasiato dalla grandezza di questi due/tre brani finali e ricordando ad Hackett che non dovrebbe aver comunque dimenticato, che proprio qui in Italia la band inglese ricevette il primo vero successo meritato e che proprio qui a Roma, al palazzetto dello sport fecero uno dei loro primi concerti da vera band internazionale con il Foxtrot tour.

Insomma, speriamo che con il nostro calore, sia arrivato il messaggio di amore che abbiamo da sempre nei confronti del progr dei Genesis e dei suoi ex componenti.

Steve Hackett: Guitar
Craig Blundell: Drum
Roger King:  Keyboards
Jonas Reingold: Bass & guitar
Rob Townsend: Brass & percussion
Nad Sylvan: Voice

Scaletta serata
Prima parte:

  • Every Day
  • Under the Eye of the Sun
  • Fallen Walls and Pedestals
  • The Virgin and the Gypsy
  • Tigermoth
  • Spectral Mornings
  • The Red Flower of Tachai Blooms Everywhere
  • Clocks – The Angel of Mons

Seconda parte:

  • Dancing With the Moonlit Knight
  • I Know What I like (In Your Wardrobe)
  • Firth of Fofth
  • More Fool Me
  • The Battle of Epping Forest
  • After the Ordeal
  • The Cinema Show
  • Aisle of Plenty
  • Deja Vu
  • Dance on a Volcano

Bis

  • Myopia / Los Endos

(Pregallery e gallery di Claudio Enea)



Mike Stern & Dave Weckl Band

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Cross Roads
 – Roma 12.04.2019

Live report, pregalleria e galleria fotografica di Claudio Enea

Basterebbero solo questi due nomi per riempire un palazzetto dello sport, se poi ci aggiungiamo Tom Kennedy (Al DiMeola, Frank Gambale, Steve Lukather) al basso e Bob Franceschini (Paul Simon, Willie Colónal) al sax, ne avremmo la certezza assoluta.

E se invece questo fantastico quartetto lo riunissimo in una location più intima, dove pubblico ed artisti si possano quasi toccare, l’atmosfera diventerebbe magica e l’occasione per gli amanti della jazz-fusion sarebbe quasi un’opportunità irripetibile.

Bene, è successo proprio questo al Cross Roads, locale ormai storico del panorama romano, dove sono passati fior fiori di gruppi ed artisti, nazionali ed internazionali, dove ci si può prenotare per mangiare una pizza, bere una birra e perché no sentire qualche fenomeno strimpellare.

E’ la volta di Dave Weckl, eclettico batterista (Chick Corea Elektric Band) che collabora ormai da qualche anno con Mike Stern, inutile presentare quest’ultimo, scoperto da Metheny ha collaborato con nomi quali Miles Davis, Billy Cobham e Jaco Pastorius e con cinque nominations ai Grammy Award, si è affermato come uno dei principali chitarristi e compositori jazz-fusion della sua generazione.

Un bellissimo concerto quindi, dove la band ha trasmesso entusiasmo e voglia di suonare forse aiutata, come dicevamo prima, da un ambiente non dispersivo che ha messo in contatto quasi fisico pubblico e band.

Divertimento e piccole improvvisazioni, dove spiccano la precisione martellante di Kennedy, la tecnica sopraffina di Weckl, la pulizia graffiante di Franceschini ed il virtuosismo di Stern per nulla scalfito dall’incidente subito nel 2016 e che lo vede combattere una dura lotta riabilitativa per recuperare dai problemi ai tendini della mano destra.

Insomma, una serata indimenticabile con quattro star ancora alte nel firmamento musicale mondiale.

(Pregalleria)



Maneskin – Il ballo della vita Tour 2019

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Sono stati la rivelazione del 2017 ma se andiamo a vedere i numeri, anche del 2018. Mentre il 2019 non poteva iniziare che nel migliore dei modi, innumerevoli dischi d’oro e di platino stanno accompagnando il tour dei Maneskin “IL BALLO DELLA VITA TOUR”, alla seconda tranche, anche questa, come la prima, con praticamente tutte le date sold out, persino quelle aggiunte all’ultimo momento. Ma nulla nasce dal caso, dal secondo posto inaspettato per certi versi di XFactor, che li ha visti assoluti protagonisti e che preannunciava la scoperta di una nova talentuosa band, l’ascesa è stata inarrestabile. Sono bravi e coinvolgenti questi ragazzi e danno veramente tutto sul palco, il pubblico lo capisce, non solo i teenagers che sono lo zoccolo duro tra i fan del gruppo ma anche persone più avanti con gli anni, apprezzano l’energia che i quattro sanno trasmettere e rispondo urlando, cantando e ballando per tutti i 21 brani in programma per il concerto. La si gusta tutta l’armonia instaurata tra i componenti, sembra inesauribile, ne è la prova il momento in cui a fine concerto si scambiano gli strumenti, Victoria alla chitarra, Ethan al basso, Thomas alla batteria, l’unico che non si separa dal proprio strumento, il microfono, è Damiano, ma si sa, lui è fin dall’inizio il frontman che tolti i tacchi a spillo ha il compito di far sognare il pubblico femminile e allora eccolo andare da una parte all’altra del palco a torso nudo intonando Torna a casa, prima di chiudere e congedarsi assieme agli altri con la gente di casa, a cui danno appuntamento per il tour estivo che li vedrà sempre a Roma il 23 e 24 Giugno questa volta al Cavea Auditorium Parco della Musica nell’ambito del Roma Summer Fest, quindi un arrivederci a presto Maneskin.

I brani del concerto di Roma:

  1. Are You Ready?
  2. Fear For Nobody
  3. Immortale
  4. New Song
  5. Morirò Da Re
  6. Lasciami Stare
  7. Let’s Get It Started (Black Eyed Peas cover)
  8. You Need Me, I Don’t Need You (Ed Sheeran cover)
  9. Sh*t Blvd
  10. Breezeblocks (Alt-J cover)
  11. Le Parole Lontane
  12. Pyro (Kings Of Leon cover)
  13. Niente Da Dire
  14. Recovery
  15. Vengo Dalla Luna (Caparezza cover)
  16. Beggin’ (The Four Seasons cover)
  17. Chosen
  18. L’Altra Dimensione
  19. Kiwi (Harry Styles cover)
  20. Close To The Top
  21. Torna A Casa

Gran Ballo di Primavera: si apre il sipario a Palazzo Rospigliosi annunciando “Seduzioni & Gusto Festival 2019”

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Danza, moda e gusto, una triade del piacere. Tre note del made in Italy che suonano all’unisono in una sinfonia armonica nei saloni del Palazzo Rospigliosi. “Seduzioni & Gusto Festival 2019”, la partenza di un grand tour della bellezza che parte dal cuore di Roma per addentrarsi nel Bel Paese: prossima tappa nel borgo di Buonvicino, un gioiello incastonato nelle verdi montagne di Calabria che guarda il blu del suo mare.

Durante la conferenza stampa di ieri 6 aprile, nella sala dei Paesaggi del prestigioso Palazzo Rospigliosi, è stata annunciata la 13.edizione del Festival che si terrà dal 12 al 14 luglio nell’incantevole paese di Buonvicino in provincia di Cosenza, uno tra i borghi più belli d’Italia. Moderatore Nino Graziano Luca, presidente della Compagnia di Danza Storica, presenti il Presidente della Pro Loco Antonella Biondi, il Sindaco di Buonvicino Ciriaco Biondi, il Direttore Artistico di Moda Movie Sante Orrico, l’On. Mauro D’Acri Consigliere Regione Calabria con delega all’Agricoltura e il Presidente dell’Associazione dei Borghi più Belli d’Italia per la regione Calabria Bruno Cortese.

Una proposta vincente che rilancia la grande bellezza di una piccola realtà ricordandoci le potenzialità innate dell’Italia, un intreccio di natura e cultura unico al mondo. L’evento curato dalla Pro Loco Buonvicino è stato ideato per valorizzare il territorio e coniugherà il piacere della buona tavola, la seduzione dell’alta moda e il fascino della danza storica nella piazza principale di Buonvicino, salotto urbano dell’incantevole borgo. La stessa formula magica che ha animato i saloni del Palazzo Rospigliosi: il défilé delle creazioni sposa e haute couture di Massimiliano Giangrossi, incantatore di stile, l’omaggio alla cucina calabra con le delizie dello Chef Giuseppe Garozzo Zannini Quirini, “Il Conte” di Master Chef Italia 4, condite con la sua immancabile spontanea simpatia, e la magia senza tempo della Compagnia Nazionale di Danza Storica che ha aperto il sipario del Gran Ballo di Primavera.

Il Presidente della Compagnia di Danza Storica Nino Graziano Luca e l’attrice Giorgia Ferrero 

Sale da ballo e tavole imbandite con i prodotti dell’eccellenza enogastronomica forniti dai partner di “Seduzione & Gusto Festival 2019”. Quadriglie, valzer, polche e mazurche, passi di danza per celebrare il trattato Cucina Teorico Pratica di Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino. Il luculliano banchetto organizzato e cucinato da “Il Conte” Giuseppe Garozzo Zannini Quirini, è stato ispirato proprio dal celebre trattato, pietra miliare della culinaria italiana datato 1837. Pagine che racchiudono tutto il gusto e la tradizione della buona tavola e del sapere condiviso: le ricette descrivono le diverse classi sociali attraverso gli ingredienti e le preparazioni. Dalle più semplici alle più articolate, tutte con lo stesso comune denominatore, la genuinità dei prodotti di una terra generosa, quella italiana.

Sala dei Paesaggi di Palazzo Rospigliosi

Una splendida festa nella prestigiosa cornice del palazzo capitolino, tra il Salone delle Statue vegliato dalle sculture del Bernini, la Sala del Pergolato ammantata dagli affreschi di Guido Reni e Paul Bril e la Sala dei Paesaggi, un racconto per immagini della campagna romana del ‘600. Una serata animata dai suoi organizzatori, da ospiti illustri dello spettacolo, l’elegante attrice Giorgia Ferrero diretta da Paolo Sorrentino ne “La Grande Bellezza”, e il frizzante attore Luca Avallone protagonista dei film “Le grida del silenzio” di Sasha Alessandra Carlesi nonché parte del cast di “All The Money In The World” di Ridley Scott. Presenti anche il Marchese Ferrajoli e il Principe Guglielmo Marconi Giovanelli, il Direttore Generale dell’Universita’ di Cassino Antonello Capparelli, il Conte Antonio Palazzi e le indossatrici Daria De Vincenzi e Giulia Mascellino. Immancabili e instancabili quasi 100 danzatori che hanno reso possibile questa magica serata tra volteggi e pliè con i loro sontuosi abiti in stile ‘800.

Creazione sposa di Massimiliano Giangrossi, salone delle Statue con le sculture del Bernini

Moda, danza e gusto, mondi che si incontrano e combaciano alla perfezione nell’affinità di una tradizione tutta italiana. La tappa romana è stato il primo appuntamento e lascia nel sogno l’aspettativa di una nuova grande festa in uno scrigno di Calabria tutto da scoprire, oltre gli stereotipi e i preconcetti che attanagliano il suo territorio. La cultura si rilancia con stile, a ritmo di valzer e con gusto, in tutti i sensi.

Bratislava, la capitale per una passeggiata nel cuore d’Europa

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Bratislava, affacciata sul fiume della musica e dei romanzi, legata ad un passato di contese. Oggi è una capitale orgogliosa che guarda dinamica al futuro e accoglie i viaggiatori in un’atmosfera gioiosa a dispetto dello stereotipo post sovietico: gli slovacchi alzano i boccali grondanti di birra dorata e brindano ad una nuova primavera europea.

Una capitale a misura d’uomo, tutta da scoprire, dal maestoso castello che la sorveglia dall’alto, al curioso Cumil, la statua più famosa della città che vigila il passaggio dei turisti dal basso (meglio conosciuta come “il guardone” per lo sguardo malandrino che punta spudorato alle sottane delle signore). Città che pulsa nel cuore d’Europa, meno inflazionata della magica Praga, dell’elegante Budapest e della regale Vienna (quest’ultima dista solo 60 km, vale una trasferta in giornata in macchina, treno, bus oppure in battello durante la bella stagione). Bratislava è ben collegata a diverse città italiane da voli low cost in partenza da numerosi aeroporti, una meta perfetta da visitare durante il weekend. Il suo fascino si concentra nella Stare Mesto, la città vecchia, e nel Bratislavský hrad, il grande castello ma non mancano satelliti d’interesse poco distante, come la surreale chiesa azzurra o il moderno Ufo del Nový Most, il ponte nuovo sul Danubio.

Panorama dal castello: la Stare Mesto e la città nuova in lontananza
Cumil, la statua più famosa di Bratislava
Stare Mesto

Il Bratislavský hrad, il castello di Bratislava, è il simbolo della capitale slovacca, dal 1961 monumento storico nazionale. Sin dall’antichità domina la città dall’alto di una collina; durante il IV secolo a.C. venne abitato dai Celti per poi essere conquistato dai Romani ma l’aspetto attuale risale alle ricostruzioni del XV e il XVII secolo, un mix tra stile rinascimentale e barocco, dalla caratteristica forma quadrangolare che lo rende simile a un “tavolo rovesciato”. Deve infatti a questa similitudine l’originale appellativo. La vera rinascita del castello si deve a Maria Teresa d’Asburgo che lo scelse come residenza estiva: è proprio durante il suo regno che ebbe inizio l’epoca d’oro per il maniero e per tutta la città di Bratislava, al tempo nota come Presburgo. Un’eredità asburgica che tutt’oggi testimonia nelle sue forme la trasformazione da cupa fortezza ad elegante dimora. Alla fine dell’700 diventò un seminario per poi cadere in rovina dopo il rovinoso incendio del 1811. Solo nel 1953 ebbero inizio i lavori di ristrutturazione e dal 1993 è sede rappresentativa del Parlamento slovacco, anno che sanciva la separazione dalla Cecoslovacchia. All’ingresso la statua equestre di Svatopluk I, sovrano di Moravia del IX secolo, attende orgogliosa i numerosi turisti che sostano qualche minuto sul belvedere: un’incantevole puzzle di tetti color ocra della città vecchia in antitesi con il ponte nuovo che attraversa le acque rilassate del Danubio. Le sale del castello ospitano il Museo Nazionale Slovacco con interessanti raccolte di manufatti e antiquariato locale, e il Museo della Musica, uno scorcio sulla storia e sulle tradizioni del paese.

Statua equestre di Svatopluk I

Dopo la visita al castello si scende verso il centro storico seguendo i passaggi pedonali che attraversano la superstrada, un’audace infrastruttura che taglia la vecchia trama urbana recidendo il continuum storico tra le due attrattive principali della città. Una pianificazione del territorio opinabile ma che collega strategicamente le due rive della città affacciate sul Danubio: la viabilità è la stessa che attraversa il ponte nuovo, il Nový Most. Affacciata al nastro di asfalto è impossibile non ammirare la “Bella sul Danubio”, l’imponente chiesa di San Martino recentemente rimaneggiata. La cattedrale svetta quasi in bilico sulla superstrada nonostante la struttura maestosa dell’originario impianto gotico. Una tappa cittadina da ammirare all’esterno e all’interno dove è custodita una copia della corona imperiale ungherese ricoperta d’oro dal peso di 300 kg. Dopo il trafficato dardo di catrame è tutta un’altra storia, ci si addentra nella città vecchia percorrendo le viette lastricate che si snodano dalla chiesa e conducono al cuore della Stare Mesto. Le mete principali sono Michalská brána, la Porta di San Michele dove sulla cima vegliano le statue di San Michele e il Drago, e Hlavnè namestie, la piazza principale dal XIII secolo cuore pulsante della città dove spicca l’imponente municipio, Stara Radnica, collage architettonico che riassume cinque secoli. Un piccolo centro ricco di fascino, un susseguirsi di scorci suggestivi nell’area pedonale di Korzo. Un dedalo di stradine e di edifici medievali alternati ai postumi asburgici come il Palazzo del Primate distinguibile dalla raffinata facciata simile ad un ricamo delicato.

La bellezza di Bratislava si concentra nel centro storico ma poco fuori la Stare Mesto si trova il gioiello architettonico di Modry Kostolik nella città nuova, la famosa chiesa azzurra (chiesa di Sant’Elisabetta) che nelle belle giornate di sole si confonde con il cielo. Questo edificio art nouveau del 1907, progettato dall’architetto Ödön Lechner, spicca per la sua tonalità brillante in un quartiere dove ancora prevale un’edilizia post sovietica.

Modry Kostolik, la chiesa azzurra

Prima di lasciare questa piccola e graziosa capitale ricordiamola con una vista panoramica dall’alto: uno scorcio indimenticabile dall’Ufo, la moderna torre del ponte nuovo sul Danubio. Una cartolina dove spuntano il maestoso castello e i pinnacoli ossidati delle chiese dal mare di tetti rossi della Stare Mesto. Questa struttura a navicella, così chiamata dagli abitanti per le sembianze aliene, si rivela una tappa interessante nonché un’occasione per sorseggiare una rinfrescante birra chiara ammirando il belvedere dalla piattaforma panoramica.

Ufo del Nový Most

Immagine copertina:  Bratislavský hrad, il castello di Bratislava

Photo credits: Elena Bittante

Elena Bittante
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