“Panni sporchi”, una sosta nell’autostrada della vita. Intervista a Marco Paoli.

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Attore, regista e operatore culturale fiorentino, Marco Paoli è un professionista nel mondo del palcoscenico in attività dal 1989. Attualmente è direttore artistico del Teatro Microscena di Firenze, dell’Associazione culturale Live Art, del Festival “Live art…in villa 3”, di “Boccascena”, il festival delle finzioni e del festival “Luna Note e parole”.

<<Panni sporchi>> è il suo ultimo spettacolo teatrale pubblicato per la prima volta su stampato come testo teatrale nel 2018 dalla casa editrice “La Mongolfiera”.

“Ma l’idea nasce, in realtà, da molto lontano…” inizia a raccontarci Marco Paoli. “Nel 2005 ero in tournée a Milano con un altro attore, ai tempi in cui per andare lì bisognava organizzarsi per almeno un mese di permanenza. Avevamo preso in affitto un appartamento che sotto casa aveva una lavanderia a gettoni, un luogo che non ero abituato a frequentare in cui incontrai persone parecchio curiose”.

Nel fare una delle attività più frequenti ed intime del nostro quotidiano, Marco Paoli non si sbagliò quando capì che in un luogo del genere le persone sarebbero state spoglie di quello scudo emotivo che ci si costruisce per affrontare il mondo di fuori. In una stanza essenziale ed anonima delimitata da piccole mura, costretti ad aspettare i <<tempi della lavatrice>> coi suoi programmi e centrifughe infinite, è proprio quella struttura fisicamente raccolta che spesso induce uomini e donne a parlare tra loro. E visto che i panni sono accessori strettamente personali che spesso rivelano i colori della nostra anima e delle nostre attitudini, non è difficile sentirsi “nudi”, scoperti, anche di fronte a perfetti sconosciuti.

<<Panni Sporchi>> è andato in scena per la prima volta a Cosenza nel 2020 e ha visto susseguirsi numerosi appuntamenti in questi due anni, non ultimo, il più recente del 14 maggio a Castel Gandolfo con la regia di Simone Precoma che ha visto sul palco gli attori Emanuele Pica, Francesca Olivi, Giorgia Fabiani e Marta Marino come personaggi principali. La vicenda si conclude in due tempi: il primo atto si svolge idealmente a settembre, il secondo, invece, il 23 dicembre e non necessariamente con un lieto fine o con una chiusa definitiva riguardante le storie dei personaggi.

Il 23 dicembre si prefigura come una data simbolica chiave in quanto possibile ultima estensione del fenomeno astrologico del solstizio d’inverno – il giorno in cui il buio rende più fuggevole il giorno- e allo stesso tempo il ponte di sospensione, il termine di quell’apnea febbricitante che accompagna l’approssimarsi del Natale, rinascita dalle tenebre votata alla luce.

“I personaggi hanno preso concretezza dall’ispirazione che mi ha coinvolto dopo quei momenti di condivisione.  Lorenzo, il protagonista principale, è molto bizzarro: non lascerebbe mai quella lavanderia. Anche se avesse voluto, non si sarebbe potuto allontanare comunque perché la sua lavatrice, inceppata, aveva bisogno della manutenzione dei tecnici che ovviamente tardavano ad arrivare. Ha anche un maglioncino da lavare della sua ragazza, Amanda, donna con la quale il rapporto stava irreversibilmente per chiudersi”.

E in quella situazione di stasi in cui Lorenzo si ritrova ad interagire con uomini e donne del tutto inaspettati incontra il barbone Vasco, finito, da uomo benestante occupato in un’attività vitivinicola, a condurre una vita da clochard dopo un divorzio devastante. In questo caso, però, non si tratta di un errabondo. L’uomo infatti sembra sostare lì in pianta stabile da quando riceve un compenso dal proprietario della lavanderia per fare da guardia.

“C’è anche Antonella , la <<monaca bianca>> votata e devota all’amore per Vasco, che invece, a causa di insistenze esterne ha sposato quell’altra donna che l’ha rovinato”.

Lei, sicuramente, più errabonda di lui, che ha condannato l’anima a girovagare in attesa di un solo uomo.

“La donna va in lavanderia periodicamente nei pochi momenti in cui lui non è presente, lasciandogli dei soldi, dei vestiti, un monopattino –anche quello con tutta la sua storia- per aiutarlo nel silenzio del segreto. L’uomo non ha idea di nulla, e rimane convinto del fatto che siano le persone, compassionevoli e ormai affezionate, a lasciargli quei <<doni>> come una sorta di buonamano”.

Non manca Valentina, che anela al lavoro editoriale guadagnandosi da vivere come spogliarellista e non manca Amanda, la ex di Lorenzo che <<alla fine dei giochi>> torna da lui solo per ribadire la chiusura definitiva del loro rapporto.

Ma in una vita come un’autostrada in cui non conta tanto il viavai, quanto la capacità di sapere cogliere e di osservare, rimangono sempre gesti, parole e silenzi. A volte le omissioni, i piccoli sospiri, le pause o le risate. Chi sa osservare si nutre di ogni piccolo momento, assaporando la varietà di quel piccolo grande mistero che è l’uomo in tutta la sua individualità e con tutte le sue stranezze. Stranezze che spesso emergono proprio nel compenso esistenziale dei non luoghi, nella sospensione delle apparenze, quando si chiude il sipario e la rigidezza lascia spazio anche alla fragilità.

“Per un solitario come me il <<non luogo>> è un po’ ovunque. Oltre all’atto pratico in sé –per me graditissimo!- amavo mangiare spesso da solo e sceglievo volutamente ristoranti anche non troppo rinomati, ricchi di veracità, in cui mi ritrovavo a osservare parecchi tipi di persone. Semplici lavoratori, camionisti… Guardavo la gente, sentivo storie, cercavo di dedurne altre e le ho create di mio. Una cosa che, a dirla tutta, ultimamente si sta perdendo” continua Marco Paoli “Si sta un po’ perdendo con questa continua tendenza di estraniarsi dal mondo tenendo le orecchie impegnate dalle cuffiette”.

Un altro <<non luogo>> potrebbe essere il passaggio in auto ormai spesso regolato anche da modernissime app, ci segnala Paoli che afferma “La macchina è uno spazio troppo ristretto per non ritrovarsi a parlare. Certo, è possibile anche che salga a bordo qualcuno <<con le cuffiette>> ma io ho trovato così tante amicizie che coltivo ancora oggi. Ci sta alla base una mutua prova di coraggio: ce ne vuole tanto sia per decidere di dare passaggi a degli sconosciuti, o per salire in macchina con uno di loro”.

Lì scatta il sodalizio e la voglia di conoscersi. Se i panni sporchi non si lavano più in casa, chi va a lavarli in una lavanderia a gettoni non solo con tutta probabilità gli è necessario, ma deve avere il coraggio di farlo in pubblico. Qui si apre la contraddizione delle credenze e dei pregiudizi dei più <<saggi>> che, da sempre, hanno consigliato di lavare i panni sporchi in casa sottintendendo un monito sottile, che implica calorosamente di non aprirsi agli altri raccontando i propri problemi.

Ma il fine ultimo è sempre l’aristotelica catarsi di un peccato, che nel caso di questa rappresentazione, è creato dalla nostra società che ha istituito il culto della vergogna del fallimento, dell’onta dell’incompletezza di intenti, di chi aveva un sogno che per forza di cose non ha raggiunto ma che in verità forse non ha nemmeno mai infranto: “Lorenzo, ad esempio” avrebbe voluto fare il ciclista, ma si è ritrovato a fare il riparatore di biciclette all’interno di un outlet, per la società, questo, potrebbe non essere considerato come un fallimento?”.

In una lavanderia in cui ogni personaggio instaura con l’altro in un’interazione senza filtri, Marco Paoli <<gioca>> ancora una volta con le sue rappresentazioni in un universo scenico che mette sul palco una microrealtà del nostro quotidiano, con un amore che va oltre ogni sofferenza e ogni sacrificio, perché se è una scelta, non c’è sacrificio. In molte parti del mondo, ci informa Marco Paoli, l’atto del recitare è reso con un verbo che significa <<giocare>>, l’Italia invece ha occultato questa semantica per sostituirla con l’espressione univerbata di <<re-citare>>, citare due volte.

“Il mio amore per il teatro nasce dalla mia voglia di indirizzarmi da qualche parte. Sono 35 anni che faccio questo lavoro, volevo giocare e ci sono riuscito, con tutti gli impedimenti e i sacrifici del caso. Ma non ho mai fatto una rinuncia che non fosse frutto di consapevolezza quindi di fatto non ho mai rinunciato a nulla. Pur di andare avanti con la mia passione senza compromessi ho accettato qualsiasi difficoltà”.

La rappresentazione scenica riesce a rimodellare e riscoprire il valore dei più intimi rapporti umani ormai dimenticati in modo totalizzante e inclusiva, in una società sempre più individualista e competitiva che, per selezione naturale, non lascia spazio ai più deboli.

Attualmente lo spettacolo è ancora in tournée con l’organizzazione di Barbara Paparusso, la regia di Simone Precoma e gli attori Emanuele Pica, Francesca Olivi, Giorgia Fabiani e Marta Marino.

                                    Di Ginevra Lupo

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