“Rigenerare il Bel Paese” e il triste patrimonio trascurato che macchia l’Italia. Intervista all’Autore Alessandro Bianchi.

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Barcamenata in una continua lotta tra luci e ombre, è l’Italia che fa spesso fatica a cogliere la possibilità di una rinascita dalle ceneri. Un paese sognato, ammirato e desiderato che si disperde nell’insensatezza di contraddizioni irrisolte e mai recuperate, a volte sconosciute. Non si parla solo di storia o di errori che affondano radici antiche, ma dell’attualità che ne è il risultato. Pensiamo spesso che i problemi siano legati alla politica, ai conflitti con l’esterno, ad una società che fatica a recuperare un benessere economico ormai dimenticato…

Ma la storia non è solo quel marcatore temporale che segnala eventi e che ricorda del passaggio in questo mondo di personaggi degni di menzione. La trama delle vicende dell’uomo si rinviene anche volgendo lo sguardo alla sua evoluzione, al suo adattamento all’ambiente circostante e alla sua conseguente abilità di trasformare il territorio intorno a sé per normalizzarlo secondo la propria concezione e le proprie esigenze.

L’urbanistica è l’ambito di ricerca di Alessandro Bianchi, esperto del settore, e autore insieme a Bruno Placidi del libro “Rigenerare il Bel Paese. La cura di un patrimonio dismesso e sconosciuto”, edito nel 2021 da Rubbettino Editore per la collana “Immagini di città” e rappresentato da SBS Comunicazione in quanto agenzia di promozione letteraria in occasione di numerosi appuntamenti estivi. Attualmente Alessandro Bianchi è Direttore della “Scuola di Rigenerazione Urbana SostenibileLaFeniceUrbana” e autore di numerosi saggi relativi alle “questioni calde” che riguardano le installazioni cittadine, l’ambiente e il territorio. Un distretto di studi che approfondisce il percorso e la maturazione degli insediamenti realizzati dall’uomo in un progresso che non manca di dimenticanze, di lavori lasciati a metà, di abbandoni o di rinunce.

“La Scuola di Rigenerazione Urbana Sostenibile- LaFeniceUrbana propone corsi di alta formazione post lauream con l’obiettivo di approfondire un ventaglio di possibilità volte ad ottenere progetti utili per rigenerare le città in modo sostenibile. La denominazione La Fenice Urbana, annessa dal 2020, richiama dal mondo metaforico – archetipico il complesso che vede susseguirsi dannazione e risoluzione, morte e rinascita rappresentato dalla Fenice rossa come fuoco, che arde e muore e poi rinasce e si rinnova-, ci spiega Bianchi.

Non a caso nella copertina del libro è riportata l’immagine mosaicata di un’Araba Fenice che vola in prossimità di una città lugubre e anonima, dismessa e senza luci ma con un arcobaleno in lontananza che si fa simbolo multicolore di un ritorno all’equilibrio dopo gli sconvolgimenti della pioggia.

“Il libro nasce perché, a mio parere, c’è una grande occasione che il Paese non sta utilizzando” – continua l’Autore. “Da cinquant’anni a questa parte stiamo continuando a espandere le nostre città consumando nuovo suolo e ulteriori risorse. Per invertire questa tendenza la proposta è quella di rimettere in gioco il grande patrimonio immobiliare già presente nel nostro Paese che è stato dismesso, abbandonato o che si trova in stato di degrado. Questo patrimonio potrebbe essere risorsa per continuare a far fronte alle esigenze delle nostre città”.

Residui di un panorama fondiario che sembra essere destinato a rimanere impraticabile e improduttivo…sterile. Si tratta di un’esortazione al lavoro interiore volgendo lo sguardo ad una ricchezza che l’Italia ha già e di cui non usufruisce come dovrebbe. Il disegno che il Alessandro Bianchi prospetta si fonda sulla base di un semplice ragionamento: nel caso in cui fosse necessario costruire un nuovo teatro o una nuova scuola perché non farlo rigenerando le macerie di edifici già esistenti ma dismessi dalla loro funzione originaria?

“Le aree industriali dismesse in questo paese coprono una superficie di 9000km quadrati, stiamo parlando di un’estensione che raggiungerebbe le dimensioni di una regione grande quanto la Basilicata. Parlo di chiese, caserme, impianti sportivi, industrie…”.

Eppure il tema della rigenerazione urbana non porta con sé un’immediata definizione nozionistica che ne identifichi l’efficacia o gli interventi concreti per realizzarla. L’Autore, come emerge dalle pagine del libro, ha sentito l’esigenza di determinare esattamente cosa voglia dire il termine tecnico <<rigenerazione>> nell’ambito delle discipline urbanistiche e dei provvedimenti progettati ad hoc per concretizzarla:

“Ancora oggi c’è molta confusione tra la <<rigenerazione>> e altre pratiche come la ristrutturazione, il ripristino, il risanamento o il recupero. Quando si decide di riqualificare una piazza i provvedimenti sono mirati a restituire ad essa le stesse qualità che aveva, rimanendo essa sempre una piazza. Se ristrutturo faccio un’operazione utile di certo, ma quell’edificio rimarrà sempre tale mantenendo tutte le funzioni e le caratteristiche a cui era stato destinato. Se rigenero, invece, i caratteri costitutivi, distintivi e peculiari di quella struttura saranno diversi da quelli iniziali: la destinazione finale cambia, si trasforma”.

Se viene rigenerato uno stabilimento industriale in un complesso polifunzionale come il Lingotto di Torino o se viene trasformata una centrale elettrica in un Museo dell’Arte Romana com’è avvenuto con la centrale Montemartini di Roma significa che un edificio dismesso è stato recuperato e ha ricevuto nuova vita fornendo vantaggi non solo al territorio, ma anche alla comunità che vive adiacente ad esso. Casi studio esemplari, che dovrebbero essere presi a modello per designare proposte future.

Servono delle regole precise per fare rigenerazione e un progetto completo che preveda la disponibilità di risorse economiche dedicate. Esiste attualmente in Italia il Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile che ha stanziato più di tre miliardi agli interventi di rigenerazione urbana, insieme a due leggi regionali del Lazio e della Lombardia che definiscono bene il concetto di rigenerazione. Ma basta inoltrarsi nella lettura fino al momento in cui vengono definite le norme di sostegno finanziario per capire che qualcosa non va e che il quadro inizia ad incrinarsi. I fondi stanziati previsti, secondo legge, possono essere destinati non solo alla rigenerazione ma anche ad altri interventi di tipo urbanistico come il ripristino, la riqualificazione…che hanno finalità diverse. E’ così che si perde il focus ed è così che il concetto stesso di rigenerazione urbana si arena con un lascito di dubbi e contraddizioni.

Abbiamo un’Italia ancora sanguinante, con una moltitudine di <<ferite aperte>> in attesa di essere cicatrizzate e rivestite di nuova pelle come il quartiere Bagnoli di Napoli a cui non è stata data ancora una soluzione dignitosa nonostante si tratti di un’area molto estesa della città. Realtà che deturpano il paesaggio e che corrompono una sua auspicata, sperata armonia.

“Gli interlocutori che immagino sono molti: parlo di rappresentanti politici, governanti, imprenditori, studiosi e di cittadini comuni. Tuttavia, la vera prima mossa spetterebbe all’Amministrazione che dovrebbe elaborare un piano per destinare risorse concrete per inverare i piani di lavoro, dare regole e incrementare la conoscenza di questo patrimonio sconosciuto che andrebbe ben inventariato con dati certi e con banche dati ben realizzate, che siano il risultato di un censimento accurato. Il fine sarebbe quello di rendere le istituzioni abili nel definire progetti d’intervento concreti, affidabili, mirati e soprattutto sostenibili”.

Ed è qui che Bianchi ci rende consapevoli del fatto che la rigenerazione urbana non è un intervento <<buono di per sé>>, ma una risoluzione che acquisisce un senso soltanto nel momento in cui vengano contemplate anche regole che, ad oggi, non si possono non rispettare. E’ fondamentale, al fine di adempiere al rinnovo di un territorio che si vuole sano ed ecosostenibile, seguire un vademecum volto alla compatibilità ambientale, al risparmio energetico e al riuso dei materiali.

“La comunità che vive a ridosso di questo <<oggetto rigenerato>> ne ha dei vantaggi, alla fine? Quello dell’utilità sociale è un elemento che va assicurato. La sostenibilità è sia ambientale, che energetica che sociale: se i consociati non traggono beneficio dalla rigenerazione di un immobile presente nell’area in cui vivono, allora non si tratta di un buon intervento. Senza tralasciare la sostenibilità economica, un aspetto su cui mostrare particolare oculatezza, è proprio quello di garantire sicurezza e fruibilità della struttura risorta dalla fatiscenza”.

Non si tratta di raggiungere un utopico immaginario italiano privo di storture, ma di recuperare le disiecta membra di un patrimonio sconosciuto che potenzialmente avrebbe ancora tanto da dare non solo al Paese ma anche ai cittadini. Alessandro Bianchi non presenta formule magiche o proposte di eroiche imprese prive di logica o di fattibilità. Il libro è un insieme di nozioni, tavole, schede informative, e casi studio che illustrano nella pratica la crisi urbanistica del nostro Paese, che lo tiene incagliato in una condizione che ancora non prevede concreti punti di svolta. Rigenerare è un invito a fare di più e a guardare al nuovo riutilizzando risorse già presenti sul territorio. Dal nuovo all’incompiuto o al decaduto, per riavvolgere la direzione dello sguardo all’interno e focalizzarci su ciò che c’è già per rinnovare il territorio e conferirgli una veste nuova senza ulteriori sprechi e senza lasciare rovine anonime in un Paese che merita di essere florido, fruttuoso e di essere validato al massimo del suo valore.

                              Di Ginevra Lupo

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