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POLITICA - page 2

Politica Italiana, nazionale e locale

Raggi nella bufera, la Lega chiede le dimissioni della Sindaca

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Le tracce audio pubblicate nei giorni scorsi da alcuni giornali potrebbero essere il caso per la fine anticipata del governo della Capitale, già provato in questi giorni dalla caduta del XI Municipio.

La goccia che potrebbe far traboccare il vaso della pazienza dei cittadini romani, provati dall’invasione dei rifiuti ormai incontrollabile, della mancanza di un trasporto pubblico efficace con troppe fermate della metro chiuse o con le scale mobili bloccate a causa delle indagini in corso o per la mancanza delle corrette certificazioni.

Lo certifica purtroppo anche l’Eurostat che  indica le strade e le piazze della capitale come le più sporche d’Europa.

Tutto nasce da uno scoop de L’Espresso che ha potuto visionare alcuni documenti relativi agli esposti presentati dal ex presidente  dell’AMA  Lorenzo Bagnacani, chiamato dalla Raggi il cui incarico è durato pochi mesi per essere cacciato insieme all’intero cda lo scorso Febbraio dopo un inaudito braccio di ferro attorno a un bilancio  che era stato redatto secondo le indicazioni del CdA di AMA e che la Sindaca avrebbe voluto riscrivere come testimoniano i file audio pubblicati dal settimanale.

In questo modo si scopre che la Raggi avrebbe intimato a Bagnacani di riscriverlo  sotto la dettatura di Franco Giampaoletti, il suo braccio destro, direttore generale del Campidoglio, «Se tu lo devi cambiare comunque, lo devi cambiare. Punto. Anche se loro dicono che la luna è piatta».

Su questo punto si scatena la reazione dell’opposizione e in particolare della Lega che attraverso i suoi esponenti all’assemblea Capitolina e i suoi dirigenti regionali chiede a gran voce le sue dimissioni.

“La constatazione dei danni fatti dal Sindaco, a quanto pare è diventato un appuntamento quotidiano per tutti i cittadini romani. Non ci siamo ancora ripresi dagli audio ascoltati ieri sul caso Ama che già dobbiamo fare i conti con un nuovo flop su Atac. – dichiara in una nota Maurizio Politi, capogruppo della Lega alI’assemblea capitolina – “infatti i mezzi affittati in fretta e furia provenienti da Tel Aviv, già vecchi di 8 anni, contravvengono alle direttive europee perché sono euro 5, sembra uno scherzo di pessimo gusto, ma a quanto pare il Sindaco colpisce ancora, continuando  a sperperare il denaro dei cittadini, che non solo non avranno un aumento del servizio di trasporti ma stamattina hanno dovuto apprendere la notizia che, contrariamente a quanto era stato promesso, la fermata metro di piazza di Spagna rimarrà chiusa per tutte le vacanze di Pasqua. La pazienza dei cittadini romani si è esaurita, la Raggi faccia un regalo alla Città e si dimetta”.

Anche Fabrizio Santori, dirigente della Lega denuncia l’impossibilità di continuare su questa strada e la necessità che si avvii immediatamente un percoso per tornare alle urne e cambiare il governo cittadino

“Ci aspettiamo immediata chiarezza dalla sindaca Raggi su parole che, se fossero confermate, costituirebbero la prova di un reato gravissimo”. dichiara Fabrizio Santori, “Se trovassero conferma le sue parole, ci troveremmo davanti a una posizione gravissima del primo cittadino alla quale dovrebbero immediatamente seguire le dimissioni. I romani pretendono lealtà e trasparenza da chi li rappresenta. Il M5S pretenda lo stesso dalla Raggi e la faccia dimettere per il bene della città”.

Una posizione molto forte è stata presa anche dal Leader della Lega Matteo Salvini durante il recente incontro con gli eletti di Roma al Ministero dell’Interno dove è stata discussa la linea politica per la città di Roma e la determinazione a presentare un nuovo piano per la gestione della capitale e per il suo sviluppo.

Si apre quindi una nuova stagione sul territorio richiesta a gran voce dai cittadini ormai allo stremo per le difficoltà e per le condizioni della città più bella del mondo, come veniva definita anni fa dai tanti milioni di turisti che la visitavano e che oggi versa in condizioni pietose.

Fisiologia di un partito politico: il caso del PD

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I partiti presenti oggi in parlamento, non sono quelli che composero l’Assemblea Costituente né quelli che formarono il vecchio Arco Costituzionale. Solo il Partito Radicale ha ancora la sua identità. In un sistema che non ha le condizioni per un sistema bipartitico è inevitabile che si assista ad un continuo proliferare di nuove formazioni che spesso nascono sulle emotività del momento e, come naturale, possono andare a sostituire alcune vecchie realtà.

Tranne quelle che vogliono continuare a sopravvivere contro ogni logica. L’esempio più lampante di questa discrasia del sistema, che probabilmente impedisce una reale riforma, è l’attuale PD e della sua classe dirigente che sembra non voglia prenderne atto.

Nel 1991, quando venne decretata la fine del PCI, si registrarono, come era ovvio aspettarsi, profonde divergenze tra i superstiti del granitico blocco che per oltre 70 anni aveva rappresentato il contraltare alla DC e alle destre. Un partito monolite, dove vigevano spirito di corpo, disciplina, uniformità di pensiero e linee dure che sfocavano nel centralismo democratico di matrice addirittura leninista. Falce e martello, Mao, il Che e la convinzione più assoluta che esistessero solo coloro che, sulle note di Bella Ciao, potessero salvare il mondo dal capitalismo, dall’imperialismo, dal fascismo.

Al momento dello scioglimento, le ali più estremiste, fedeli alle vecchie idee, confluirono in Rifondazione Comunista che ha poi visto le sue divisioni e suddivisioni, ma tutte legate all’idea romantica e nostalgica del vecchio partitone e dei suoi simboli e lotte ormai anacronistiche. Anche quello che fu definito “La Cosa”, il nuovo soggetto ha attraversato diverse fasi: PDS, DS, Margherita, l’Unione fino all’attuale PD. Ha anche ottenuto un’importante vittoria elettorale, ma, e questo segnale non è stato colto, il successo arrivò con un premier che proveniva dalla DC. E il primo Governo Prodi cadde quando perse l’appoggio di Rifondazione; anche i successivi Governi di Sinistra hanno avuto i maggiori problemi dalle proprie maggioranze.

Non è possibile, sostenere che il PD sia l’erede del PCI nonostante alcuni vogliano insistere in tal senso muovendo da principi o valori mai venuti meno, e comunque mai messi in discussione, ad iniziare dalla Resistenza, invocato oltre settanta anni dopo per molti come valore fondante. Sarebbe stato più logico prendere atto delle contraddizioni che, già a suo tempo, avrebbero dovuto imporre la presa d’atto dell’anacronismo di un’idea e l’illogicità del volere per forza perseguirla, perdendo di vista la realtà e i nuovi contesti, sociali e politici da affrontare, fino ai risultati oggi evidenti.

Fin dalla sua origine la formazione politica che insiste a definirsi sinistra o centrosinistra, si è posta quale portatrice di ideali popolari; istanze sociali, pacifiste contro guerre ingiuste, egalitarismo antisistema e, comunque, posizioni anticapitaliste, ecologiste. Sempre e comunque antifasciste, contro un nemico che, non più incarnato dalla DC, venne identificato prima nel Berlusconismo e oggi nel governo di Lega e Cinque Stelle. Insomma, come per il vecchio PCI, l’importante era essere “contro.” L’unico elemento caratterizzante che è rimasto costante e che, anche oggi, si rivolge contro l’attuale governo. I leader dell’epoca, per rimanere attaccati all’ideologia da cui erano nati, oltre che per il timore di perdere la base, non capirono che era il momento di fare un passo decisivo e tagliare completamente con il passato.

Dalla sua nascita, per l’attuale PD sono passati Rosy Bindi che veniva dalla DC; Franco Marini, dalla CISL, addirittura Ciriaco De Mita già Primo Ministro del pentapartito. Si è addirittura alleato con SEL, portatrice di istanze non coerenti con l’ala cattolica del partito. I passaggi attraverso altre esperienze hanno lasciato i loro segni: dalla caduta di segretari e la candidatura di Francesco Rutelli, proveniente dai Radicali; la meteora Franceschini, gli insuccessi di Veltroni, Fassino e della bicamerale di D’Alema e, il clou, il fallimento di Bersani, candidato premier che, pur ottenendo una strana maggioranza, si vide immediatamente sostituito da Enrico Letta che lasciò (o aprì la strada) a Matteo Renzi.

Renzi, viceversa, che oggi è visto come il male assoluto, responsabile dell’ennesimo fallimento, poteva essere la svolta e lo sdoganamento di un partito che aveva ormai compiuto il proprio tempo, in una direzione socialdemocratica. Europea o laburista: il Tony Blair italiano. Il partito ha fatto il possibile e l’impossibile, riuscendoci, per impedirglielo.

Quando ha avuto la possibilità di prendere le redini del paese, si è rivelato inconsistente, vittima delle sue radici e di una connaturata incapacità a gestire il Potere o, forse, è mancata una vera leadership. Può trarsi da ciò una lezione per i prossimi leader politici (non solo del PD, sempre che sopravviva), o fare finta di nulla, perché ogni colpa è, sempre e comunque, di qualcun altro. A tutta la dirigenza della sinistra, non sono mai mancati i colpevoli da esecrare e indicare al risentimento laico, democratico e antifascista. Dalla CIA a Berlusconi, da Licio Gelli a Gladio, dal CT della nazionale al barista sotto casa. Guardare la realtà e prendere atto che si è sbagliato più di qualcosa o tutto ciò che si poteva sbagliare, questo no, sarebbe roba da opportunismo di destra o deviazionismo di sinistra, come insegnava quello… sì, quello… quello coi baffi! Non D’Alema, no, lui è baffettino, quello giusto era, sì, sì: BAFFONE!!!

Qual è l’errore di fondo del PD? Su tutti quello di considerarsi infallibile come il vecchio PCI che, in quanto tale, non poteva sbagliare. Semmai solo alcuni compagni sbagliavano.  Ma anche l’errore di voler sopravvivere a tutti i costi; non capire che era il momento di staccare la spina al vecchio molosso sdentato, specialmente dopo il crollo del muro di Berlino, del blocco sovietico, del Patto di Varsavia. Semplicemente, prendere atto che il comunismo aveva fallito o forse esaurito il proprio corso. A meno che non si voglia considerare un successo la Corea del Nord.

Fuori dall’Italia i partiti si sono adattati ai nuovi scenari, proponendo figure e leader in grado di affrontare i momenti: lo stesso Trump ne è un esempio. 

I partiti politici sono figli della loro epoca, e volerli portare oltre la loro durata fisiologica in presenza di nuove situazioni per i quali non erano nati, è inutile. DC; PSI, Liberali e Repubblicani hanno chiuso. Il PD ha preteso di trasformarsi modellandosi sulla pelle del capopopolo del momento. Riuscirà il nuovo segretario del PD a imparare dagli errori del passato? Alla sua prima prova elettorale in Basilicata il risultato non è stata una vittoria e, certamente, una parte dei voti derivano dalla presa d’atto del fallimento dei Cinque Stelle, ma il percorso è lungo e Zingaretti sembra più vicino alla vecchia base del partito che non alle istanze che chiamano al cambiamento.

Oggi non esistono possibilità di sopravvivere per partiti che muovono solo su basi ideologiche o demagogiche. Possono sopravvivere una stagione, salvo adattarsi, ma voler restare attaccati a qualcosa ormai superato, è un suicidio politico che fa perdere credibilità alla sua classe dirigente.

Conseguenza di questo immobilismo è la nascita di movimenti di reazione. I Cinque Stelle e la Lega ne sono stati l’esempio. Anche il fascismo nacque su basi di reazione così come i movimenti di Masaniello e Cola di Rienzo. La loro durata dipende dalla data di scadenza del leader o dalla persistenza delle condizioni che ne avevano determinato la nascita. A meno che non sappiano cambiare. La Lega lo ha fatto e Salvini ne sta allargando la base elettorale, peraltro su basi demagogiche e populiste. Forza Italia sembra ci stia provando.

Lasciando agli storici le valutazioni del passato, prendiamo atto della fine di un partito nato e sopravvissuto senza una logica ispiratrice, se non l’illogicità di non voler morire, andando contro leggi di natura applicabili anche alla politica. Costruire impone nuove fondamenta; gli edifici nati  su basi nuove e tecnologie avanzate, e che non siano continui  restauri di costruzioni danneggiate, hanno maggiori possibilità di durare nel tempo. Il PD non lo ha fatto, e ne sta pagando le conseguenze.

Prima di chiudere, un pro memoria rivolto ai futuri ideologi: gli elettori di oggi conoscono gli immigrati di colore e ne hanno, a torto o a ragione, una paura fottuta, specialmente di quelli che vogliono radicalizzare la loro religione. Lenin non ne ha mai visto uno, e Stalin probabilmente li avrebbe trattati come migliaia di altri che fece incarcerare o deportare a causa delle loro idee o razza. E Marx avrebbe scritto oggi “Il Capitale”? O sono più utili le teorie di Milton Fridman e Thomas Sowell? In un dibattito politico ha più senso ascoltare le ragioni altrui o zittire chi la pensa diversamente pensando di risolvere il problema tacciandolo di fascismo? Proprio il non ascoltare ha condotto a questa situazione.

Gianni Dell’Aiuto

Rifiuti, l’AMA ancora nei guai

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“La Giunta Raggi continua ad inanellare un fallimento dopo l’altro.
Nonostante tutti i nostri avvertimenti sul riconoscimento dei debiti, la
Giunta ha continuato a muoversi in maniera esclusivamente ideologica
rischiando di compromettere seriamente l’assetto finanziario di AMA.” dichiara Maurizio Politi, Capogruppo Lega all’assemblea Capitolina.

Giornata di fuoco in Campidoglio per discutere la situazione dell’AMA e conseguentemente della raccolta rifiuti, una situazione ormai insostenibile per la capitale, ma si aggrava anche la situazione dal punto di vista giudiziario visti gli eventi odierni.

Tra le voci di protesta quella della Lega è sicuramente quella più forte, su tutti i territorio quotidianamente gli esponenti leghisti raccolgono dai cittadini le testimonianze dirette di una città ormai al collasso.

“Gli inquirenti hanno convocato l’’assessore Lemmetti in merito all’’inchiesta
AMA per verificare eventuali pressioni sul collegio sindacale dell’azienda
dei rifiuti da parte degli amministratori capitolini e la legittimità dei
compensi richiesti per i servizi cimiteriali – dichiara Politi – Ne consegue che mentre nella “casa” della Sindaca si festeggia per 70 autobus usati l’azienda AMA cola a picco a causa del dissesto finanziario, portando con se circa 8000 dipendenti. Intanto Roma rimane senza assessore all’ambiente e noi restiamo ad aspettare nuova forza lavoro così come promesso dalla D.G.C. n. 58 e la revisione della D.A.C n. 52 chiedendo che i pentastellati rispettino quanto promesso in campagna elettorale.”

admin
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