Dal 6 giugno da ABACO a Roma, un viaggio visivo tra realtà sospese e natura interiore. Non è una mostra fotografica. O, almeno, non nel senso convenzionale del termine. Daydreams, il nuovo progetto di Mirta Lispi, è qualcosa di più: un varco tra realtà e immaginazione, un esercizio poetico in cui la macchina fotografica diventa il tramite per evocare, più che raccontare.
Inaugura venerdì 6 giugno alle ore 18.00 negli spazi di ABACO, nell’ambito del ciclo OPEN! Le mostre di Abaco, e promette di trasportare i visitatori in un mondo rarefatto, dove natura, emozione e sogno si fondono in un equilibrio delicatissimo.
Le immagini in mostra non si limitano a immortalare la realtà: la reinventano. Scattate in pellicola e successivamente rielaborate in digitale, le opere di Lispi si fanno evanescenti, quasi liquide, simili a visioni che emergono da una memoria lontana o da un sogno lucido. Ogni fotografia è una soglia, un invito a rallentare lo sguardo e ad ascoltare ciò che normalmente sfugge: il silenzio delle piante, il respiro nascosto dei giardini urbani, l’incanto invisibile delle cose che non si muovono, ma vivono.
Dietro Daydreams c’è una figura eclettica, abituata a muoversi tra diversi mondi espressivi. Mirta Lispi, romana classe 1976, è fotografa da oltre vent’anni e firma ritratti per le più importanti testate italiane, immortalando volti noti dello spettacolo, dello sport e della cultura. Ma di notte, cambia pelle: dietro la console, come dj, esplora l’altra metà della sua sensibilità, quella più ritmica e notturna. Ne abbiamo parlato con Mirta.
“Daydreams” non è solo una mostra fotografica, ma un’esperienza visiva e sensoriale. Da dove nasce l’esigenza di trasformare lo scatto in qualcosa di più onirico ed evocativo?
Fotografare la bellezza dei paesaggi, in epoca di Iphone vari, è fin troppo usuale. Siamo circondati da immagini in ogni momento del giorno e della notte: apri Instagram e trovi qualsiasi scenario visivo. Volevo reinterpretare gli elementi ripresi a modo mio, scavando nelle sensazioni che potevano racchiudersi in me, attraverso poi la sperimentazione grafica, dopo aver camminato nella neve, o tra campi fioriti, guardando tronchi di alberi dove si “nascondono” creature antiche che ti guardano dalla corteccia. Avete mai notato, osservando un albero, o una roccia, che sembra vi siano imprigionati draghi o cavalieri?
La natura, nei tuoi lavori, non è mai uno sfondo ma un soggetto vivo, quasi spirituale. Cosa cerchi — o cosa trovi — nei suoi silenzi e nelle sue forme?
Immergermi nella natura è innanzitutto terapeutico. Fare un trekking in montagna, un giro in bicicletta in un parco, una passeggiata in campagna, aiutano a ristabilire quegli equilibri che la città e lo stress lavorativo ti tolgono. Entrare in comunione con la natura diventa uno stato emozionale indispensabile, quasi una meditazione, per riappropriarsi di se stessi. Girando a piedi in un bosco, forme, colori, piccoli dettagli esortano alla gratitudine per il creato (detto in modo assolutamente laico). Si genera una sorta di beatitudine, di distacco dal mondo dei rumori e soprattutto delle chiacchiere futili… Diciamo pure che la natura è a tutti gli effetti, per me, la mia fuga sicura.
Hai scelto di partire dalla pellicola per poi rielaborare digitalmente le immagini: che significato ha per te questo passaggio tra due mondi, quello analogico e quello digitale?
Sono sempre stata divisa in due su questo argomento. Da una parte ho abbracciato immediatamente l’innovazione e la tecnologia, non appena uscirono le prime fotocamere digitali, e mi avvalgo ovviamente della post-produzione. Dall’altra, comincio a far fatica a tollerare l’uso spasmodico del fotoritocco, con l’unico fine di abbellire (presumibilmente) una persona per puro vezzo. Da ritrattista non approvo modifiche esagerate della figura. Tra l’altro mi piacerebbe vedere un giovane fotografo che sappia utilizzare l’esposimentro, l’unico strumento che ti insegna veramente a usare la luce. Sfido inoltre gli amanti del digitale a provare il brivido dell’incertezza che si prova quando si attende lo sviluppo di un rullo. Non mi piace l’idea dell’AI che hanno in troppi, che pensano che tanto “fa tutto lei”. Non è vero, bisogna saperla usare l’intelligenza artificiale. Insomma, non basta mai avere solo gli strumenti tecnici per creare un prodotto di qualità (che sia commerciale o un’opera artistica). Discorso che vale nell’immagine e nella musica. Nella mia mostra ho usato la pellicola soprattutto per l’effetto della grana, non paragonabile alla resa data dalla post-produzione.
Di giorno fotografa, di notte dj: quanto dialogano tra loro queste due anime creative? E in che modo influenzano il tuo modo di vedere (e sentire) le immagini?
Da sempre per me foto e musica vanno di pari passo: collaborare con Mtv è stato, negli anni, il lavoro più adatto in cui poter convergere le mie due passioni; nei videoclip, come negli show live, si fondono le due arti e poter vivere così da vicino quel mondo è stata la sintesi perfetta delle mie propensioni. Ho la fortuna di suonare musica dance in club dove l’immagine è importantissima e gli show sono curatissimi, e nel contribuire alla comunicazione visiva della serata del GIAM di Roma (dove sono resident), ho ulteriormente dato spazio all’unione dei due universi, sonoro e visivo.
Nel progetto della mostra, la musica di Taylor Swift ha fatto da colonna sonora alle mie passeggiate solitarie nella natura nelle quali ho scattato le foto; soprattutto gli ultimi album evocano atmosfere che richiamano, attraverso i suoni e i testi, luoghi, racconti, metafore e ambientazioni che sposano quello che avevo in mente mentre osservavo e riprendevo paesaggi e dettagli. Anche l’opening avrà ovviamente la sua soundtrack!
Formata allo IED e cresciuta professionalmente accanto al maestro Giovanni Cozzi, Lispi ha attraversato l’epoca d’oro di MTV come fotografa ufficiale, costruendo un immaginario visivo riconoscibile e profondo. Con Daydreams, la sua ricerca si fa più intima e meditativa, un ritorno all’origine del vedere, dove ogni immagine è uno specchio dell’invisibile.