Massimiliano Di Carlo: nel viaggio dentro “Antro”

Ammettiamolo subito onde evitare di vestire i panni che non meritiamo: per approfondire un disco impegnato ed impegnativo come questo servirebbero conoscenze e palati finissimi che noi non abbiamo. Ma comunque vogliamo stare al gioco e allora resta una sola soluzione: abbandonarsi all’ascolto. Ricerca e innovazione ma anche tantissima radice antica, popolare, di confine… sono tasselli narrativi da cui non possiamo prescindere. E poi il suono che in qualche modo prende derive altre, quasi si veste di minimalismo e di avanguardia ma senza affidarsi in modo univoco alle macchine… anzi qui l’elettronica gioca ruoli quasi trasparenti. Il trombettista Massimiliano Di Carlo penso abbia reso manifesta nella sua completezza il rapporto che ha con la musica e con le radici di questa. Chiama in causa il marocchino Reda Zine (guemnbri, elettronica e voci) e il batterista Gioele Pagliaccia e sforna un lavoro magistrale come “Antro”, disco da ascoltare – appunto – con abbandono, polverizzando le abitudini ma comunque potendo risalire a momenti di sabbia e di rione, di cose umane, di piccoli rituali, di anacoreti e villaggi. Si scaccia il malocchio come si percepiscono soluzioni di jazz. È un viaggio… mettetevi comodi.

Sono gli elementi centrali che hanno ispirato le composizioni. Rapisco questa dichiarazione e parto da qui: cosa intendi di preciso?
Le composizioni di Antro si basano su una conoscenza approfondita dei modi (intesi come scale modali e cellule ritmico melodiche che identificano ogni modo) dei canti di tradizione orale dell’Appennino centrale e meridionale. Le grammatiche di questi reperti sonori sono ben diverse da quelle della musica occidentale che noi intendiamo dal XVII secolo in poi. Sono codici che appartengono a modi di intendere il suono precedenti al cosiddetto periodo tonale, le ritroviamo nei testi di filologia medievale e primo rinascimentale, li troviamo ancora applicati nelle prassi esecutive di raga e maqam in India, Turchia, Grecia, e li ritroviamo vivi e vegeti nelle prassi ancora in uso nei contesti di musica di tradizione orale in Italia. Quando parlo di musica di tradizione orale non parlo ne di gruppi folcloristici di riproposta ne di musica da sagre, bensì di rarissime persone perlopiu’ di origine agro pastorale che ancora sa trattare il suono e la poesia cantata con questo codice. Ecco dunque che su questo presupposti possiamo parlare di un ponte che riunisce Oriente e Occidente, da questa solo apparente separazione creata da un giovane iper-razionalismo Europeo e di conseguenza occidentale (Le Americhe non sono che il riflesso distorto di una colonizzazione Europea) nato da soli tre secoli.

Sono anche le terre di periferia? Sono le zone e i popoli meno conosciuti?
Certamente, in Antro c’è la voce di quelle culture che forse per il loro eccessivo carico di potenza, mistero, autonomia sono state allontanate dai riflettori. Parliamo di aree dell’ entroterra fisicamente difficili da raggiungere con il navigatore, e parliamo di aree interiori difficili da raggiungere da una mente non pronta a carpire la lentezza di quello sviluppo sottile di microtoni, quell’altalenare costante tra uno sviluppo melodico e una caduta nel vuoto della lamentazione; tutto questo e molto altro è ciò che costituisce il mistero e la complessità di questi codici arcaici a cui tanti teorici hanno cercato di avvicinarsi senza mai poterne comprendere le chiavi reali.

E il lato magico? Esiste? E che ruolo gioca?
La magia, se per magia intendiamo un’intensità della presenza che raggiunge frequenze non ordinarie rispetto a ciò a cui siamo abituati, direi di sì.. questi suoni sono da secoli legati a stati percettivi particolari, oggi spiegabili solo con complesse erudizioni neuroscientifiche o fisico-quantistiche.

E la voce in tutto questo? Spesso sembra cantilenante, a forma di litanie… sembra avere la forza di una preghiera… sbaglio?
Non si tratta di preghiera, in quanto la preghiera è un atto di richiesta che nasce da una mancanza, un desiderio inaccessibile, una delle prime forme di commercio recentemente inventate dalle religioni. Prima ancora della preghiera l’essere umano ha praticato l’invocazione alle forze della natura, mettendo in poesia la sottile altalenanza tra il sentirsi umano e il sentirsi completamente identificato con l’elemento naturale, la stella, l’acqua, la donna Angelo, il sole, la luna, l’ombra, la tempesta. In questo modo di cantare quindi siamo sul piano dell’invocazione poetica e la voce crea quell’andirivieni tra l’essere totalmente direzionata all’abbandonarsi a lamentazioni (sempre rigorosamente intonatate rispetto al contesto modale) che danno a chi ascolta la percezione che la concretezza melodica in cui si era prima si va perdendo, diventa effimera, una sorte di continua morte e rinascita nei gesti vocali. Tutto questo non l’ho inventato io, l’ ho ascoltato dai maestri che mi hanno trasmesso questi codici, quello che faccio è attualizzarlo senza un approccio di riproposta, folcloristico, bensì in una forma di espressione che per la mia dimensione e la dimensione degli altri componenti del progetto è totalmente contemporanea.

E del nostro occidente illuminato cosa resta in questo disco?
Questo disco è totalmente oltre la divisione tra oriente e occidente, una visione troppo recente rispetto all’enorme storia dell’umanità per essere presa ancora in considerazione. La visione dell’Occidente separato dall’Oriente nasce con la visione colonialista, figlia di una rivoluzione importante avvenuta otto mila anni fa nel cosiddetto inizio neolitico in cui abbiamo iniziato ad essere stanziali, coltivare ed allevare, impadronirci di terre e desiderare le terre altrui colonizzandole con la propria cultura. Ma l’essere umano ha quattro milioni di anni, dunque otto mila sono veramente l’altro ieri, e in tutto il resto della storia siamo stati nomadi, abbiamo facilmente incontrato altre culture e ci siamo mescolati. Tutto ciò è continuato a persistere fino ad oggi seppur in maniera sempre più rattrappita. Abbiamo ancora quei geni nomadi, pacifici, non colonialisti, non divisivi, perché ottomila anni sono una carezza rispetto alla danza cosmica di tutto il resto della storia

La metamorfosi è un’altra parola centrale… il cambiamento o forse più il concetto di contaminazione… di cosa parliamo?
L’Antro è un luogo mitologico con cui sono cresciuto sin da bambino, perché ascoltavo la storia di questo luogo nascosto tra i monti Sibillini, al confine tra le Marche e l’Umbria in cui viveva la Sibilla e le sue donne. In questo Antro, si racconta si poteva morire o uscirne completamente trasformati. Questo simbolo mi ha da sempre affascinato e quando ho scoperto che non era necessario recarsi fisicamente in un Antro della Sibilla per compiere le metamorfosi interiori, ma che la vita stessa è l’Antro e le Sibille ci appaiono costantemente ogni giorno, perché sono dentro di noi, ho deciso di dedicare il mio primo disco a questa mitologia che mi ha guidato verso importanti scoperte e importanti risvegli.

 

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