Convalescenza: spiare rettangoli di vita

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Talento, dal greco τάλαντον, letteralmente piatto della bilancia, somma di denaro, moneta, ma il talento è anche dote. Il significato più arcaico di unità di peso e importo monetario evidenzia l’importante connotazione della parola. Dal momento che la moneta stessa era un metallo prezioso, il talento era una risorsa enorme, una ricchezza senza precedenti.

Nicola Curti è un autore emergente talentuoso, nel senso letterale del termine, ricco di sfumature, di sfaccettature pronte a farti immergere in quei tratti di inchiostro puri, ameni. Scrivere poesie oggi è per pochi e, sicuramente, Nicola fa parte di questa élite. La sua poesia è un anticorpo contro il dilagare della sterilità, contro la sfiducia nella vita, come diceva Montale, uno spiraglio in grado di avvicinare l’io alla parte più intima e sensibile del sé. 

Mi piacciono le noti dolci, tristi,
le meste armonie che disegnano
sprazzi notturni. Dentro i ricordi
di luci lontane, dimesse, stridono
di bianca asprezza gli accordi
dissonanti del cosmo.
Anche
con gli orecchi si può alzare
il mento, anche con la pelle si può.
Tutto il nostro essere umani,
a volerlo spremere, si condensa
in questo: alzare il mento.

“Convalescenza”, dal latino tardo convalescentia, derivato di covalèscere: riprendere forza, ristabilirsi, ma anche acquistare valore, opera di esordio, un sogno scoperto nell’ossessione, il lettore resta inchiodato sul sedile di un’auto in accelerazione, schiacciato dall’indecisione. Una raccolta di poesia che può essere definita come il prolungamento di una carezza alla vita

Georges Ivanovič Gurdjieff ha affermato che la vita è reale solo quando io sono.

“Convalescenza” conduce il lettore in un’esplorazione dell’io. Un’esplorazione recondita e rediviva, attenta e naturalistica. Procedimento di un ostacolo e superamento dello stesso, modalità attraverso cui l’io oltrepassa sé stesso, vincendo contro la realtà reale, vincendosi di continuo. Con le sue parole, il Poeta, ha interrogato il passato, gli angoli bui della mente, unico modo per potersi specchiare nel futuro, per attingere l’inattingibile. Poesia snelle e musicali, versi asciutti, puliti, puri, una purezza che fa emergere il tema della raccolta: la malattia mentale. Parlare di malattia mentale non è mai facile, ma Nicola lo fa. Intraprendendo un viaggio catartico si fa timoniere nella tempesta, affronta con delicatezza ogni morbo, ogni diversità, scende nei marci tuguri dove si secca e fa la muffa il cuore, nonostante l’io poetico cerchi il mare. Sepolcri d’amore, specchi assassini, montagne che accolgono. Onde strane, onde brune, adagiate tra tratti neri e angoli taglienti. Onde strane, onde lucenti, adagiate tra tratti giallognoli e angoli di volta celeste. Bisogna ascoltarle, accarezzarle, farsi ammaliare, è così che si diventa pescatori di versi, lasciandosi sedurre da loro, come accadde a Ulisse con Circe.

[…]
Ci vogliono polmoni grandi
per raggiungere il mare aperto. 
Lì, dopo i frangiflutti, 
nel deserto blu, si può 
tornare a respirare.

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