Enzo Cucchi Il poeta e il mago
L’artista al MAXXI con una retrospettiva

in CULTURA by

Il MAXXI ha spalancato le porte alla mostra del poliedrico artista Enzo Cucchi (Morro D’alba *1949) che permette di cogliere sguardi inediti sulla sua ricca produzione di pitture di dimensioni museali e disegni piccoli, bronzi, sculture in marmo e ceramiche.

Entrando nell’esposizione, allestita in un’unica galleria che concede una veduta dell’insieme, il visitatore è accolto da grandi quadri che pendono dal soffitto, su cui si dispiegano scenari onirici e panorami surreali, visioni di un mondo che forse è quello più intimo e nascosto dell’autore. In una di queste opere su carta, un cavallo dal segno esile appare in una grande mano che lo custodisce, come fosse una caverna, e al contempo imitando la forma di un calice che allude ad antichi rituali. In altri quadri, volti dai tratti scarni ma incisivi si avvicendano a paesaggi cosmici. Nelle grandi opere realizzate su rete in acciaio si scorgono accenni di figure dipinte che si disperdono nel mare su un’imbarcazione, che giacciono sotto un albero sospeso nell’aria o che fluttuano nello spazio. In mezzo, a scandire la prima parte espositiva, si presentano piccole sculture di marmo, dei putti ripresi da angolazioni sorprendenti, opere in bronzo e ceramica. Qualcuna, se da un lato assume le sembianze di un volto, dall’altro si disintegra diventando una cascata di piccoli teschi. Altre ancora risultano l’esito di una metamorfosi. Come un mago alchimista, Cucchi riesce a plasmare e a trasformare la materia, che, evolvendosi, concede una percezione sempre nuova nell’osservatore. Figurazioni zoomorfe si alternano con elementi mitologici, mentre da alcuni quadri emergono protuberanze in materiali ogni volta diversi, penetrando lo spazio del visitatore e donando una nuova sensazione di tattilità. A quest’ultimo si offre l’occasione di intraprendere un viaggio nei meandri dell’opus dell’artista marchigiano. Evitando un percorso cronologico, Cucchi ha ideato un allestimento ritmato da opere che attraversano i lunghi anni della sua carriera artistica, dove il movimento avanti e indietro nel tempo e la libertà dei media impiegati, illustra la dinamicità e la complessità della sua opera.


In maniera antitetica l’artista aveva approcciato la sua prestigiosa mostra personale al Guggenheim di New York nel 1986. Appena 37enne, Cucchi decise di rinunciare ad una messa in scena esemplare di una retrospettiva, esponendo solo opere create appositamente per l’occasione nel rinomato museo newyorkese. Forse quella mostra fu già un punto d’arrivo, un momento d’affermazione nell’arte contemporanea internazionale.
Solamente un decennio prima, Cucchi aveva frequentato con assiduità La Nuova Foglio Editrice di Macerata, entrando in contatto con Achille Bonito Oliva, già critico d’arte con trascorsi da poeta. Quest’ultimo, attivo e formidabile promotore di giovani artisti, aveva intuito che alcuni artisti
italiani che non seguivano le scie dei vari movimenti an-estetici come l’arte concettuale o l’arte povera, meritavano una ribalta dove esibirsi e dove mostrare la loro nuova pittura. Le correnti di quegli anni, quali la video art, la body art e simili che celebravano l’uso di un nuovo medium stavano esaurendo le loro aspirazioni. Per avviare un cambio di marcia, Achille Bonito Oliva aveva radunato un gruppo di alcuni artisti di diversa provenienza tra cui Mimmo Paladino, Francesco Clemente, Nicola De Maria (Campania), Sandro Chia (Toscana) ed Enzo Cucchi (Marche), lanciandolo come Transavanguardia italiana in un suo importante contributo sul magazine Flash Art nel 1979. Accomunati da un quasi anacronistico ritorno alla pittura, si riversavano nella grande manualità, dunque in un fare artistico, più che un pensare l’arte diffusosi in quegli anni, e si contraddistinguevano per una rinnovata perizia tecnica. Già allora, le opere facevano trapelare una riscoperta dell’individuale, l’espressione di uno stato soggettivo e intimo da fissare attraverso la materia che cambiasse ogniqualvolta, senza remore e senza paura di mancata coerenza di stile. Infatti, la coerenza era insita nella fluidità delle opere, lasciando che la pittura, il disegno si manifestasse mediante un libero flusso di impulsi creativi che rinunciasse ad una preliminare pianificazione estetica, palpabile invece, in correnti quali l’arte concettuale, l’Arte Povera ecc.


Cucchi medesimo affermava che “la pittura è una cosa calda”. Mentre gli altri del gruppo promosso da Achille Bonito Oliva negli anni ’70 avevano percorso vie di sperimentazione fotografica o d’installazioni ambientali, Enzo Cucchi aveva fatto i primi passi nell’alveo della poesia, realizzando raccolte di versi, connubi di parole ed espressioni visive, rivelando già allora una sua inclinazione lirico-neoromantica. Questo scorrere libero di parole e segni poteva riecheggiare i tentativi della écriture automatique di surrealisti come Max Ernst. Restio dal voler essere associato ad un movimento d’avanguardia, Enzo Cucchi partecipò ugualmente ad alcune mostre che hanno aperto la strada alla fortunata ascesa dei componenti del gruppo, tra cui alla Biennale di Venezia dell’80 nell’iniziativa Aperto ’80, ideata da Bonito Oliva e Harald Szeemann, e nel 1982/83 a Roma alla mostra “Avanguardia – Transavanguardia”, curata dal critico italiano.


Nel corso degli anni Ottanta, con l’avanzare della globalizzazione e con una progressiva apertura delle frontiere, accresce la competizione con l’ambito artistico straniero, come con i Neuen Wilden (Nuovi Selvaggi) in Germania e la Graffiti Art. Benché l’artista abbia deciso di operare a Roma, sua città elettiva, nell’espressione di Cucchi si avverte l’urgenza di riallacciare i rapporti con le sue radici. La sua terra d’origine, le Marche, caratterizzata dalla vita contadina, coi suoi campanili, colline, paesaggi idilliaci, le testimonianze dell’antico e delle tradizioni popolari, si rispecchia palesemente nelle sue opere. Salvaguardare le culture locali dinnanzi all’omologazione del modernismo sono le prerogative dell’esposizione “Genius Loci” che Bonito Oliva organizza nell’81 mettendo a confronto artisti americani con artisti europei. All’estero, in particolare negli Stati Uniti vengono apprezzati i linguaggi artistici che risentono di una cultura regionale, che sono la manifestazione di un’identità specifica ancora poco contaminata dal progresso economico e tecnologico, che sfuggono alla livellazione degli individui. Cucchi ha sempre affrontato i sogni e gl’incubi della sua vita, i fantasmi, l’ombra, la luce, e le fantasie legati alle sue radici antropologiche, pervasi dai connotati folkloristici e culturali, elaborandoli nella sua vasta produzione artistica.


Alla mostra al MAXXI il visitatore si può avventurare nei meandri dell’immaginario di Cucchi, popolato da forme animali e antropomorfe e da molti elementi che richiamano le sue origini paesane. Così l’ampia tela “La città incantata” (1986) si dispiega come un paesaggio dalle accese sfumature gialle al cui centro si staglia un borgo dai tenui accenni di campanili medievali, mentre alle due estremità laterali appaiono due coni neri dalle sembianze di due vulcani. Il perimetro del quadro si presenta come silhouette di un carro che poggia su ruote. Come dinnanzi ad un quadro romantico, si pensi ai paesaggi di Caspar David Friedrich in cui il protagonista visto di spalle contempla la natura, qui l’osservatore si trova al cospetto di una cittadina arroccata su una collina immersa in un infinito cromatico. Infatti, l’artista dichiarava di voler “tornare al Medioevo” con le sue contrade e divisioni, così il suo paesello rimane isolato e al contempo saldamente integrato nel suo tessuto territoriale. Rimandi a credenze popolari si trovano nei piccoli feticci appesi ad un muro nero della mostra, che si incarnano in figurine di bronzo smaltate a colori, o in raffigurazioni di volti, teschi o animali, allusioni a simboli religiosi o reliquie, che si materializzano in insoliti memento mori. Una parete
interamente ricoperta con i disegni più recenti di Cucchi permette di farsi trasportare nel suo universo permeato dai segni lirici, dalle fattezze fantasmagoriche e da un’introspezione profonda. Un’altra parete è allestita oltre che con i suoi quadri, con i libri e pubblicazioni presenti nella sua
“biblioteca d’autore”, testi letterari, cataloghi, libri con illustrazioni di animali, volumi sulla pittura, da Raffaello a Cy Twombly, da Picasso a Modigliani, fino ad arrivare ai grandi classici, Dante, Plutarco e Conrad, raccolti durante la sua vita, che in maniera rilevante possano restituire il profilo personale e il momento storico-culturale dell’artista. I libri spaziano tra argomenti, epoche e luoghi senza dettami e obblighi di ordine cronologico o di coerenza intellettuale. Come un filo conduttore questo eclettismo culturale attraversa tutta la sua produzione, che rigetta la nozione stilistica e il binomio progettazione/esecuzione, abbandonandosi ad un remixaggio di materiali e forme che mantengono pur sempre il suo legame con la tradizione e le sue espressioni.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

*