“Rose scarlatte” e un vermiglio, acerbo amore nel gioco del tango argentino. Intervista a Laura Mancini.

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E’ col Salone del Libro di Torino 2022 che Laura Mancini, autrice del libro “Rose scarlatte” – il primo della collana SenzaBarcode di Sheyla Bobba nato dalla collaborazione con CTL Editore Livorno – conclude il suo tour di promozione del romanzo occasione in cui abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistarla di persona.

“Il mio mondo è quello del teatro, ambiente di cui sono intensamente appassionata. Anche durante il mio percorso di studi di tipo giornalistico avevo deciso di orientare la mia specializzazione verso la critica teatrale. Rose Scarlatte non è il primo libro che pubblico, ma tramite questo ho risposto finalmente al bisogno di rendere omaggio al mondo del palcoscenico” – ci racconta l’Autrice.

Quando si va in scena, qual è la linea di demarcazione tra realtà e finzione? Qual è l’istante in cui il sipario può dirsi davvero alzato, quando invece, chiuso? Finzione, balli, piroette, maschere e passioni: saturnalia continui che, rispetto alla tradizionale festività dell’antico mondo latino che permetteva un singolo giorno di distensione prima che si ritornasse al tradizionale assetto sociale, possono riversare effetti imprevedibili e durevoli sulla vita personale di chi vi opera all’interno. Nessuno ne è esente: la travolgente intensità emotiva e passionale del teatro che coinvolge in prima persona i professionisti, non lascia spazio, a volte, alla razionalità. Ed è così che il mondo reale si mescola con quello immaginario dando vita a confusioni, litigi, amori, dissapori o incomprensioni che aleggiano e gravano, invisibili, quando una compagnia decide di mettere in scena uno spettacolo.

Dafne e Andrea, i protagonisti del romanzo, vivono una relazione d’amore new age tra il sipario e le danze focose del tango argentino per mettere in scena la commedia “Due dozzine di rose scarlatte” di Aldo De Benedetti. Due ventenni romani già irreversibilmente incanalati nelle logiche del palcoscenico e con l’estro dei veri artisti: difficile a dirsi o a intuirsi, infatti, quando l’uno o l’altro non assuma un ruolo o non utilizzi una strategia nel corso degli eventi.

“Si tratta di una relazione d’amore post-adolescenziale che ha preso spunto da un piccolo episodio della mia vita ma, lo dico fin da subito, non si tratta di un’autobiografia”- ci spiega Laura Mancini- “e la motivazione è molto semplice: io quella storia d’amore lì, in realtà, non l’ho mai vissuta . In ogni caso, c’è un pezzetto di me in Dafne, che ho scelto di chiamare così perché è un nome che deriva dal greco Laura; Andrea invece, dal greco ἀνήρ <<aner>>, uomo, rappresenta il maschio per eccellenza, il disillusore”.

Un diario personale. Sono state le sue pagine dimenticate dagli anni che piene di appunti e di fantasia hanno riavvolto il rullino della vita della nostra autrice la quale, allora ancora ventenne, amava trasporre su carta tutto il proprio sentire, tutti i suoi sogni, tutte le sue speranze. E quanto lascia di incompiuto un passato indefinito di domande mai risolte nella nostra vita da adulti, solo Dio o chi per lui lo sa. Gli psicologi della scuola tedesca dei primi del novecento avevano intuito che quando le gestalt rimangono aperte restano nella nostra psiche, nel nostro animo e nella nostra mente. Un fenomeno che accomunava talmente tanti pazienti da spingere gli studiosi a creare una vera e propria corrente autonoma di casi di studio e di analisi, la psicologia della forma.  Solo il tempo, per quanto non possa portarci a rinnegare le gestalt che hanno stravolto il nostro vissuto, ci permette di vederle secondo altre prospettive, col sussidio della maturità che poi viene acquisita nel corso degli anni.

“C’era tutto il sentire della giovane Laura in quel taccuino ma solo a distanza di anni ho avuto il giusto distacco da quell’esperienza, sviluppando la capacità di cucirle addosso tutte le cose che ho imparato diventando donna”.

L’uomo, logicamente, ama la chiusura del cerchio, la circonferenza perfetta, il risultato esatto, l’angolatura armoniosa perché tutti questi elementi contribuiscono al suo senso di benessere e di adeguatezza, di pace, e allontana la minaccia dell’indefinito da cui ha sempre sentito la necessità di schermarsi…ma emotivamente è l’incompiutezza che fa esplodere nella natura umana il vero pathos. E’ il dubbio, sono gli interrogativi senza risposta che nell’insensatezza alimentano ancora di più immagini di fantasie mai realizzate, di speranze mai concretizzate, del sogno infranto che è sempre lì a ricordarci di quell’occasione mai inverata. E’ cibo di vuoto col vuoto, è l’inesistente che si alimenta dell’inconcretezza, di una realtà che si voleva propria e che fagocita eventi, frasi, suoni colori.

E all’interno del romanzo, a insaporire ancora di più quella passione di un’acerba giovane età e la pretesa, forse, di sentirsi adulti e padroni dei propri strumenti, ci si mette anche Roma, la città più romantica della nostra Italia.

“Ho deciso di ambientare il mio romanzo a Roma perché è la mia città natale e dunque ne conosco ogni vicolo, ogni pietra: spazi a cui sono affezionata e in cui ho deciso di far muovere Dafne e Andrea. Non solo teatro, ma anche molta realtà cittadina. Entrambi si perdono continuamente non solo tra le scenografie, ma anche tra le arterie dell’Urbe”.

Due giovani che si incontrano ma che non hanno il coraggio di conoscersi davvero distratti dalla tendenza auto-sabotante di proiettare l’uno nell’altro aspettative e desideri che avevano molto a che fare con loro stessi in prima persona più che con l’oggetto di desiderio. Nella paura di mostrarsi sinceramente nell’essenza di ciò che erano, questo amore illusorio si manifesta nella ritrosia dell’aprirsi all’altro.

“Un imprinting nato in teatro quando entrambi, da ballerini, si ritrovano a dover interpretare un appassionato tango argentino che, però, sfuma sul palcoscenico: tornati a casa i due finiscono col scriversi dei semplici messaggini”.

Una storia moderna che attraversa le dinamiche complesse del mondo relazionale di oggi in cui tutto è filtrato da uno strumento tecnologico che non permette di relazionarsi agli altri in modo completo anche se gli attori sociali in questione fanno parte del nostro entourage quotidiano. Ci si incontra ma poi, inspiegabilmente, la relazione continua rincasando con la transenna di un viedoschermo. Tutto tra Andrea e Dafne, infatti, è condizionato da un botta e risposta a suon di brevi messaggi pensati e gestiti attraverso strategie e artifici: cosa scrivo? Come lo scrivo? Non rispondo subito… aspetterò. Tutto è bugia, finzione nella realtà, auto-costrizione e tedio, cosa insolita per la loro giovane età. E a causa di questa, forse, facilmente plasmabile e influenzabile, anche le incursioni esterne hanno contribuito ad accrescere quel senso di confusione riguardo la veridicità del sentimento che provavano, tra chi diceva loro che il duo sarebbe stato perfetto e chi, invece, li invogliava a desistere.

“Entrambi, in realtà, credono al possibile concretizzarsi di questo amore con motivazioni e intenti anche molto forti, ma la paura riesce comunque a sovrastarli. La storia ruota attorno ad un problema di comunicazione, che di questi tempi, vuole essere forse anche un po’ sociologica.– Ci indica l’Autrice come chiave di lettura- I messaggi che si scrivono i due, seguono una logica che rimane indefinita e sono di matrice estrosa, poetica e spettacolarizzante che, a pensarci bene, si lega conformemente alla personalità teatrale e artistica di entrambi. E’ una messaggistica costruita e insolita che rende quindi non usuale anche il loro modo di utilizzare gli strumenti telematici nell’interazione”.

Non si parla di una rottura di scena perché entrambi finiscono con l’indossare una maschera anche al di fuori dalla vita del teatro. Ma questa recita ha una fine e sarà nel momento in cui il sipario verrà calato giù, perché il tempo della finzione ha sempre una scadenza prestabilita: la maschera crolla e improvvisamente avviene la rottura della magia e i due sperimentano un improvviso distacco, netto e irreversibile.

Questo l’epilogo di un amore mai iniziato, della disillusa attesa di poter raggiungere un punto di svolta in una relazione che, fin da subito, non aveva avuto alcun equilibrio. Un viavai di idee, di momenti, di immagini vissute che impallidiscono a poco a poco con il passare di un tempo autocrate che decide con la supremazia del suo magistero di spazzare via ogni cosa, stabilendo, con nostro benestare o meno, quali situazioni vadano bene per noi e quali no.

“La mia scommessa è stata quella di partire dalla fine e di dire subito quale fosse l’epilogo della storia e nonostante questo cercare di catturare l’attenzione del lettore e mantenerla viva fino all’ultima pagina. Volevo che fosse chiaro fin da subito che non si tratta di una storia d’amore ma di una storia di non amore, di quello mancato, mai compiuto o concretizzato”.

Ma, in tutto questo, chi sono le Rose Scarlatte? L’autrice ci spiega che questi fiori rosso velluto, rosso vermiglio d’amore sono proprio i due protagonisti. Fiori di mirabile bellezza che però, travolti dal vortice della passione della danza, del teatro e della finzione sfioriscono, e si riducono ad essere uno stelo senza petali.

“La mia non è voglia di insegnare a qualcuno la vita, o di fornire la ricetta per gestire al meglio una relazione. Il mio desiderio è stato quello di trasporre una presa d’atto della realtà che passa tra il realismo e l’amarezza, perché la mia storia non è a lieto fine. Il punto è che, per quanto ci si provi, se non ci si apre e non ci si mostra all’altro per ciò che si è, a carte scoperte e senza stratagemmi, non si arriverà mai ad una vera conoscenza dell’altro. Giocare ad assumere un ruolo nelle relazioni non è la risposta e i miei protagonisti, ancora, non sono abbastanza adulti per capirlo”.

Ché mostrarsi porta comunque ad un finale: sia in positivo che in negativo. Mostrarsi significa anche incastrarsi nella responsabilità di dover fare una scelta. Di dire un sì o un no e di dimostrarsi sicuri nell’uno o nell’altro senso. Cosa ormai rara in un mondo vago, fluido, “liquido” per parafrasare lo psicologo Bauman, in cui tutto – anche le relazioni- viene lasciato in bilico, in stand-by, in stallo per avere sempre la possibilità di evadere o di ritornare.

<<Rose scarlatte>> vi aspetta, insieme al previsto sequel del romanzo in cui rivedremo Dafne e Andrea più adulti e sotto vesti nuove che fanno focus, questa volta, sul punto di vista del personaggio maschile della vicenda.

“Dopo alcune vicissitudini che non mancherò di raccontare, il romanzo ripartirà da un viaggio a Buenos Aires”- ci sorride entusiasta Laura Mancini.

di Ginevra Lupo

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