La cultura che (non) ti aspetti

Socializzazione digitale

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Tanti sono stati quei giorni piatti e apatici, aggravati da servizi in tv sull’uso spasmodico, ossessivo e pericoloso che i giovani fanno, ad oggi, dei loro smartphone, dei loro strumenti iper tecnologici, quando per la noia del momento non c’era nient’altro di cui parlare. Scorrevano di telegiornale in telegiornale, gli studi lamentosi che imputavano ad un telefono o ad un tablet le svariate colpe di una generazione incapace di dosare con buonsenso l’utilizzo di quello o quell’altro strumento.

L’incuria della vita vera, l’indifferenza e la capacità di instaurare rapporti sociali, addirittura la postura viziata erano le possibili conseguenze per aver abusato di questi oggetti “demoniaci”. E se è vero che per buona parte di noi giovani, l’influenza di tali dispositivi tecnologici sia stata negativa, è allo stesso tempo vero che, in questo periodo di clausura, di isolamento, di prigionia, c’è stata una riscoperta dell’affetto, dell’amicizia, dei rapporti sociali veri che passano anche solo per un abbraccio.

Ri-assume valore, oggi, quello che per un momento è stato dato per scontato, e che una volta tolto, (come quando si è privati dei giochini di cui ci si è dimenticati da parecchio), si brama più di qualsiasi altra cosa. Possiamo renderci conto e ne siamo consapevoli, che alle volte avremmo potuto anche sbagliare, avremmo potuto anche esagerare, ma mai ci è passato per la mente di sostituire la realtà di tutti i giorni con quella virtuale. Nella consapevolezza, però, di quello che ci è stato tolto, e nell’intenzione forte di rivolerlo indietro, quell’altra generazione, quella dei servizi in tv, quella dei rapporti veri, quella dello scaricabarile (perché le colpe della mancanza di educazione passano anche e soprattutto per i genitori) non ci permette di rimpadronirci di noi, di risollevarci da una situazione che difficile lo è stata per tutti. L’università, centro di aggregazione sociale, di incontri tra amici, di esperienze che rimarranno impresse per sempre nella nostra mente, non ha bisogno di essere riaperta.

Che senso avrebbe? Il servizio prodotto può benissimo essere sostituito da una lezione online, da un esame via Skype. Che bisogna c’è di rischiare così tanto? Il flusso economico continua a circolare, le rette si pagano, i servizi vengono resi. Ma la nostra libertà, la nostra vita sociale vera, la nostra voglia di riscatto, quella no, quella non va avanti.
È rimasta bloccata, ferma a quel lontano inizio marzo. Nel rammarico di mesi buttati che nessuno mai ci ridarà indietro, nella voglia di non far passare neanche un secondo di più, ci ritroviamo ancora incatenati da quelli che una volta ci dicevano che bisognava uscire, stare insieme, confrontarci, vivere e che ora ci tolgono ogni possibilità di redenzione.

Nella puntata “15 million merits” della prima stagione di Black Mirror, troviamo un mondo distopico nel quale gli uomini vivono tutti davanti a degli schermi, controllati 24 ore su 24 è costretti a pedalare per guadagnare “meriti”, la valuta vigente nel sistema. Bing, il protagonista, ad un certo punto incontra una donna, Abi, e la sente cantare: è l’unica cosa naturale con cui abbia mai avuto a che fare in tutta la sua vita, si innamora. Purtroppo la situazione precipita, e alla fine Bing, al colmo della disperazione, esprime la sua frustrazione con parole tremendamente attuali:

“Il mio sogno più grande è comprare un cappello per il mio avatar, una cosa che neanche esiste! Desideriamo stronzate che neanche esistono e siamo stufi di farlo. Dovreste darci voi qualcosa di reale, ma non potete, giusto? Perché ci ucciderebbe. Siamo talmente apatici che potremmo impazzire. C’è un limite alla nostra capacità di meravigliarci, ecco perché fate a pezzi ogni cosa bella che vedete. […] Fanculo al vostro dannato spettacolo, fanculo … fanculo voi che ve ne state lì e non fate nulla per cambiare le cose. Fanculo alle vostre telecamere e i vostri maledetti canali.
E fanculo tutti per aver trattato la cosa più cara che avevo come se non valesse nulla … per averla afferrata in un oggetto, in un giocattolo, l’ennesimo orribile giocattolo in mezzo a milioni di altri. Fanculo!”

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