La vicenda (Pal)amara

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“La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Così recita l’articolo 101 di quel feticcio che ormai è divenuto, ahinoi, la Costituzione della Repubblica Italiana: proprio il 12 di giugno il Corriere della Sera ci informa che è stato prodotto un video, in cui vari artisti, fra i quali Pier Francesco Favino, leggono “i principali brani” della Carta.

Peccato che, paolinamente, la Costituzione in Italia sia, almeno in alcuni suoi articoli, lettera morta. L’articolo 101 sopra citato è stato infatti ripetutamente calpestato da Luca Palamara, ex membro del Consiglio Superiore di Magistratura, da Giovanni Legnini, ex vicepresidente dello stesso organo, e (almeno pare, ma gli diamo il beneficio del dubbio) David Ermini, attuale vicepresidente del Csm. Solo per citarne alcuni.

Che cosa è accaduto? Da un trojan installato sul cellulare di Luca Palamara gli inquirenti hanno intercettato alcune conversazioni (telefoniche e via sms) scottanti: oltre a quella molto nota su Salvini e la nave Diciotti, infatti, alcune conversazioni con Massimo Forciniti, a sua volta ex membro del Csm, hanno rivelato la presenza di un “cerchio magico”, guidato da Palamara, responsabile di orientare l’attività del Consiglio, nonché alcune nomine per diverse cariche istituzionali.

Ora, viene da chiedersi: perché si è fatto tanto per rendere la magistratura indipendente dalla politica (i membri del Csm, infatti, sono eletti per due terzi dagli altri magistrati e solo per un terzo dal Parlamento in seduta comune), mentre nulla è stato fatto per salvaguardare l’indipendenza di quest’ultima?

È noto da anni il problema delle cosiddette “correnti”, ossia le fazioni politiche all’interno del Csm, che rischiano di indirizzare i processi ed il potere giudiziario in toto: tale organo, infatti, ha anche il potere esclusivo di dispensare o sospendere i magistrati dal servizio nel caso lo ritenesse opportuno.

Non risolvendo tale problema, a nostro avviso, si rischierebbe di minare uno dei più celebri principi della tradizione liberale, di cui pur tanto ci fregiamo: la divisione dei poteri. Montesquieu, nel libro XI de “Lo spirito delle leggi”, ci descrive tale aspetto come necessario per l’esercizio della libertà del cittadino: qualora, infatti, il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario arrivassero ad identificarsi in un’istituzione, l’ordinamento si avvicinerebbe ad un dispotismo.

A ben vedere, in realtà, già Aristotele, nell’Etica Nicomachea, individua tale separazione quando scrive che la prudenza nel fare le leggi (nomothesia) deve essere superiore alla prudenza di chi le fa rispettare (Politiké), immaginando, addirittura nel IV secolo a.C., l’odierna forma di uno Stato di diritto.

Sono anni, ormai, che sentiamo parlare di pericolo dittatura in Italia, e che arriviamo ad identificare come potenziali dittatori buffi politicanti che non riescono a tenere in mano un telefono per fare le dirette instagram, figuriamoci cosa accadrebbe se provassero ad impugnare i pieni poteri. Non preoccupiamoci, allora, di questi agnelli che ogni tanto fanno i lupi: preoccupiamoci piuttosto dei lupi famelici che, protetti dalla Costituzione, si travestono da agnelli.

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