The Thing di John Carpenter
USA 25 giugno 1982, la guerra fredda è ancora in corso edesce nelle sale cinematografiche una delle punte di diamantedel cinema horror fantascientifico: parliamo del cult “La Cosa (The Thing)”, diretto dal grande maestro dell’horror John Carpenter. Il film, uscito in Italia appena in novembre dello stesso anno ma vietato ai minori di anni 18, è stato proiettato in edizione restaurata al Politeama Rossetti di Trieste nel giorno di Ognissanti, come lungometraggio di apertura della 22^ edizione del Science+Fiction Festival, l’ormai celebre festival cinematografico triestino, nato nel 2000. Inserito nella sezione Sci-Fi Classix, il film non illustra le linee guida di quello che era il genere fantascientifico dell’epoca, rappresentato invece da quella produzione hollywoodiana che l’ha gettato letteralmente nell’ombra, lo spielberghiano “E.T. l’extraterrestre” bensì ne rappresenta l’antitesi.
“La Cosa”riesce subito a distinguersi per il messaggio parecchio all’avanguardia per l’epoca, relativo allo spaesamento generato dalla crisi d’identità dell’individuo rispetto al mondo che lo circonda; è un film che risulterà essere molto al di là rispetto alle ideologie di allora e per tale motivo ha fatto storcere il naso a parecchi, come spesso accade, soprattutto alla critica. Liberamente tratto da un racconto lungo di fantascienza dal titolo: “La cosa da un altro mondo (Who Goes There)” dell’autore statunitense John W. Campbell, quello di Carpenter non è il primo film che ne è stato tratto: nel 1951, Christian Nyby e un non accreditato Howard Hawks avevano deciso di produrre un primo film omonimo;John Carpenter decide però di portare sullo schermo una trama decisamente più cruda e dalle tinte più forti. In aperturaassistiamo alla visione quasi paradisiaca dei monti ghiacciati dell’Antartide. Una visione che viene spezzata dal frastuono e dall’arrivo di un elicottero che insegue un fuggitivo husky. Il cane corre ansimando nella neve alta mentre qualcunodall’elicottero tenta di centrarlo, sparandogli con un fucile di precisione. È l’inizio di una lenta fine. Un attore fantastico il cane dal nome Jed, in fase di realizzazione non guarda mai in macchina, facendo risparmiare metri di costosa pellicola, non guarda neppure gli attori né il regista ma svolge alla perfezione tutto il suo ruolo. Ritornando alle prime inquadrature del capolavoro carpenteriano, vediamo Jed che continua a scappare dai suoi cacciatori in elicottero fino a quanto riesce finalmente a salvarsi grazie ad un gruppo di ricercatori americani di un centro di rilevazione antartico, guidato dall’attore Kurt Russell. Gli sventurati scopriranno presto che in quell’animale, apparentemente così innocuo e dagli occhioni dolci, si cela un alieno mutaforma in grado di assumere le sembianze delle sue vittime, digerendole. Non sempre questa trasformazione riesce bene, il più delle volte assistiamo alla comparsa di esseri disgustosi e sanguinolenti, con più teste e di forme indefinite. Soprannominato appunto the thing, tutti i presenti lo temono e nessuno si sente più al sicuro in quelle sperdute latitudini: quello che inizialmente viene presentato come un bel gruppo coeso entra ben presto in crisi ed ogni singolo elemento cade in contrasto con gli altri, in una lotta intestina per la sopravvivenza: tutti contro tutti per potersi salvare. Il tema musicale principale del film, realizzato da Ennio Morricone, imperversa già dai primi frame, offrendo l’idea cupa di una tensione al limite. Una colonna sonora che, ricordiamo, spettava inizialmente a Jerry Goldsmith, e che invece è arrivata poi nelle mani del grande Maestro italiano. La “cosa” ironica è che le sue musiche non piacquero per niente a Carpenter fin da subito, e a ragione, poiché pare che vinsero addirittura un Razzie Award come peggior colonna sonora di quegli anni, nonostante oggi sono da considerarsiiconiche. Il film di John Carpenter ci vuole svelare i sentimenti umani forse più reconditi, in una situazione di pericolo e paura continui, quando la fiducia sparisce e ognuno è incline a pensare solamente a se stesso. Normalmente si dice che l’unione fa la forza, ma in certi casi estremi accade l’esatto contrario, e Carpenter lo sa benissimo ed è quello che vuole evidenziare. Se non ci si può fidare del proprio gruppo, la natura porta l’uomo ad isolarsi per poter sopravvivere; l’isolamento però non è la condizione naturale dell’essere umano, animale sociale; ci si isola nella speranza di riuscire a resistere per rimanere vivi ma questo può portare facilmente all’estinzione e alla morte, nonostante in quel momento ci appaia come l’unica vera salvezza. In questo contesto, ecco che il clima del film ci ricorda esattamente quello della guerra fredda, situazione stressante oggi ritornata più che mai attuale. In effetti, il paragone tra la società di allora e di quella odiernanon sembra essere casuale per gli ideatori della programmazione dell’edizione 22 di questo festival. “La Cosa” è chiamata così non certo per puro caso. E’ un essere deforme senza un’identità propria ma pronto ed attrezzato a succhiare e a far sua quella di altri esseri indifesi per riprodursi e diffondersi, senza soluzione di continuità. Forse è un paragone macabro al male che non ha un volto definito ma può avere quello di tutti, in quanto vive nella profondità di ognuno di noi e salta fuori, orrendo e sanguinario, quando ci sembra che tutto volga al peggio. Di sicuro rappresenta la paura verso l’ignoto che alberga nell’animo umano e alla quale spesso non si riesce a dare un nome preciso né una forma. Altra questione: perché nel film non sono presenti figure femminili? Una domanda che non ha una vera e propria risposta, anzi, è una scelta registica discutibile che nell’America del politically correct di oggi apparirebbe quanto mai sessista. E chissà se è un caso il fatto che l’unica donna ad apparire, per così dire, nel film sia quella della voce del computer con il quale il protagonista MacReady gioca a scacchi (la voce che si sente è quella della moglie di Carpenter, l’attrice Adrienne Barbeau) e che poi verrà zittita con il lancio di un bicchiere di bevanda alcolica proprio dentro i suoi circuiti, per provocarne l’arresto (vinceva sempre lei!). Il ragionamento preciso e asettico della femmina in contrasto con l’istinto bestiale del maschio, pronto alla violenza? Potrebbe essere una chiave di lettura. Questo film, a differenza del primo che è stato realizzato da Nyby, ha un finale ed uno svolgimento nettamente più drastici. Mentre nella prima versione a vincere è la forza dell’unione, nella versione carpenteriana è esattamente il contrario. Questa visione pessimistica e il tema dell’autodistruzione umana viene poi ripresa da Carpenter in due sue opere successive: “Il signore del male” (1987) e “Il seme della follia” (1994): tre film che non sono legati dalla trama ma appunto dal tema, e che formano una trilogia concettuale. Ad oggi “The Thing” è considerato un cult, un’icona del fanta-horror. Eppure, al momento della sua uscita è stato etichettato come uno dei più dolorosi flop degli anni Ottanta. Questo perché il pubblico di allora forse non era pronto al pessimismo cruento di Carpenter, essendo invece molto più propenso ad accettare alieni simpatici e positivi come il telefono-casa di Spielberg. Anche gli effetti speciali realizzati tramite l’utilizzo di varie tecniche e sperimentazioni da parte del truccatore ed effettistaRob Bottin (che all’epoca aveva soltanto 22 anni), seppur molto all’avanguardia per l’epoca, erano stati criticati e considerati fin troppo grotteschi. Negli anni, però, la pellicola è stata, appunto, parecchio rivalutata, e la critica ha iniziato ad apprezzarne il suo lato filosofico, come del resto stiamo facendo noi, questa sera. Ancora oggi continua ad essere fonte genuina d’ispirazione per grandi film-maker del calibro di Quentin Tarantino, che la considera una delle pellicole più spaventose di sempre, non tanto per la storia quanto, piuttosto,per il suo messaggio. Nel finale, l’happy end disfemistico di Carpenter prevede che gli unici due superstiti della base scientifica Outpost 31 US Antarctica facciano saltare l’intera base, compresi loro stessi, nell’estremo tentativo di evitare che la cosa si diffonda sull’intero pianeta ed infetti tutta l’umanità: il sacrificio dei due eroi vale, molto verosimilmente, come redenzione per l’intero genere umano. Forse anche la scelta sul calendario della giornata di programmazione all’interno del festival potrebbe apparire voluta dagli imprevedibili organizzatori: tutti santi, nonostante le circostanze.