I drammi di Roma

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In occasione del compleanno dell’Urbe eterna, vorremmo riscoprire la storia di questa città a modo nostro, partendo dagli eventi catastrofici che ne hanno segnato il corso cercando invano di affossarla, rendendola inconsapevolmente più forte e resistente di quanto non lo fosse stata prima.

Numerosi sono stati i suoi saccheggiamenti, tra i primi su tutti quello ad opera dei Visigoti che nel 410 depredarono letteralmente la città delle sue bellezze artistiche, facendo razzia di donne e anziani, fino ad arrivare agli ultimi, ma non in grado di importanza, come il bombardamento del luglio del 1943, ad opera degli americani, che rase al suolo gran parte della città, facendo circa 3000 vittime tra i civili.

Ma non tutti sanno che quella “operazione”, secondo uno studio rilevato presso gli archivi dell’aeronautica militare statunitense, aveva sì in teoria l’obiettivo di colpire un’area militarmente strategica, quella della stazione Tiburtina, ma prevedeva anche che “le bombe non fossero limitate ad essa”.

Fu così che per un tragico e banale errore (o forse no) di 500 metri ad ovest e 300 a nord della zona individuata, lo sgancio delle bombe provocò la distruzione di quasi tutto il quadrante di San Lorenzo, e con esso quello del Tuscolano, Nomentano, Tiburtino, Prenestino e Labicano.

Dovremmo allora forse farci tutti quanti una domanda: perché mai, nel nostro immaginario storico collettivo, figurano, come nemici storici dell’Urbe, popoli resisi fautori di atrocità perpetrate secoli fa, come Vandali, Visigoti e Lanzichenecchi, ma non figurano quasi mai i nostri “amici” d’oltreoceano, che con la loro azione compiuta in tempi molto più recenti non furono sicuramente da meno rispetto ai loro predecessori?

La Storia è il teatro delle vicende umane, ed un’interpretazione che segua il criterio del buono/cattivo non risulta efficace: a nostro avviso, sarebbe più fruttuoso un approccio totale, che non rimuova quanto di sbagliato abbiano fatto i vincitori, pur tenendo ferme le atrocità commesse da ogni nazione e parte in causa.

Vorremmo, insomma, un criterio unico, che valga per oggi, per ieri, e per secoli e secoli fa.

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