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EUROPA

In viaggio alla scoperta del "vecchio continente"

Dublino, un inno alla spensieratezza a ritmo di reel

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Una capitale viva e identitaria, perdersi tra le sue vie è un privilegio. L’orientamento vaga in estasi dei sensi annebbiato dall’euforia della birra, dai profumi dolci e dai ritmi che si sovrappongono rimbombando soavi ad ogni angolo della città. Dublino vive di musica, ambrosia scura e gentilezza. Piccola e accogliente trasforma il quotidiano in un’avvincente “Odissea” moderna: chiunque si identifica in Leopold Bloom girovagando per le sue strade. Ci si immerge spontaneamente in una realtà autentica dove le nuove esperienze si fondono con il fluire dei propri pensieri. Diventare “Dubliner” per qualche giorno è più di un viaggio, è un’esperienza

Temple Bar

Così inizia la scoperta della capitale irlandese, coinvolti dagli innumerevoli divertimenti che la animano e dalle suggestioni letterarie che la identificano nell’immaginario collettivo. Dublino viene considerata una città della letteratura che ispirò la fantasia di grandi maestri dell’olimpo della scrittura come Oscar Wilde, Jonathan Swift, Samuel Beckett, Bram Stoker, George Bernard Shaw e James Joyceil più amato dai dubliners. L’autore giganteggia su tutte le figure letterarie irlandesi nonostante il suo amore odio indissolubile con la città. Basti pensare al capolavoro “Ulisse” che nelle sue pagine descrive Dublino sin nei minimi dettagli: “Voglio dare un’immagine così completa che se un giorno dovesse improvvisamente sparire dalla faccia della terra, potrebbe essere ricostruita sulla base del mio libro”.

Una vocazione letteraria che affonda le sue radici nella storia classificandola tra le città più “dotte” d’Europa. Già nell’antichità l’Irlanda era una terra di santi ed eruditi grazie alle università monastiche sorte in tutta l’isola per diffondere la fede cristiana e formare l’élite d’Europa. Un sapere brutalmente interrotto dalla conquista dei Vichinghi nella seconda metà dell’800 d.C. che imposero la loro cultura, intollerante al sapere riconducibile ad un unico Dio. Il germoglio letterario fiorì nuovamente alla fine del 1600 trasformando l’isola in un atollo della cultura. Durante l’epoca della Dublino georgiana, la lingua inglese si arricchì combinandosi ad alcuni termini derivanti dal gaelico, l’idioma natale irlandese. Questa simbiosi linguistica creò uno stile unico, squisitamente “irish”, il comune denominatore dei suoi autori nonostante la spiccata identità di ciascuno.

Castello di Dublino, Record Tower

La letteratura come identità, non è un caso se tra le mete principali della città spicca la prestigiosa Old Library del Trinity College, considerata una delle biblioteche più belle al mondo. Un enorme microcosmo popolato da 250.000 manoscritti antichi, ordinati alfabeticamente e per categoria in due piani di altissimi scaffali lungo tutta la struttura. Il tesoro più prezioso di questo mondo di parole è il Book of Kells, il libro miniato più famoso del pianeta. Si tratta di un codice medievale realizzato dai monaci dell’isola intorno all’800 a.C. che illustra e descrive con dovizia di particolari i quattro vangeli attraverso una scrittura magistralmente articolata e colori vividi nonostante i secoli, una gloria dell’arte celtica e dell’universale fede cristiana.

Dopo i silenzi della biblioteca che sembrano cristallizzare il tempo, la scoperta di Dublino prosegue a ritmo di reel, la tradizionale musica irlandese. Le notti scorrono veloci al Temple Bar, il quartiere del divertimento per eccellenza dal fascino bohémien. Passeggiando per le sue vie lastricate, le diverse sonorità degli artisti di strada si intrecciano fondendosi in un’insolita armonia scomposta dove spiccano solisti accompagnati dalla una fida chitarra e gruppi di percussionisti dalle reminiscenze esotiche. L’atmosfera effervescente vive anche all’interno dei locali, jubox instancabili di musica dal vivo carburati da fiumi di birra alla spina. Il più famoso è l’omonimo del quartiere, l’iconografico pub dalle imposte rosse davanti al quale tutti desiderano scattare una foto ricordo.

Un viaggio a Dublino va oltre gli stereotipi ancorati ad una realtà fuori dal tempo, offre scorci di mondanità raffinata come quella di Grafton street, il quartiere più glamour di tutta l’Irlanda, oppure gli agglomerati moderni della zona di Dockslands e del Grand Canal dove hanno sede operativa numerose multinazionali. Da terra di emigrazione a “terra promessa” per numerosi giovani irlandesi perfettamente inseriti nelle più disparate realtà lavorative e per quelli che arrivano volenterosi da tutta Europa.

St Patrick’s Cathedral

Una capitale sempre più orientata al futuro che non dimentica le proprie radici e leggende. Si narra che alla St Patrick’s Cathedral, San Patrizio battezzasse gli irlandesi convertiti nell’acqua in un pozzo senza fondo considerato la porta d’ingresso per le anime del Purgatorio. Questo luogo del credo, tra testimonianze storiche e fervida immaginazione, è stato convalidato come uno dei siti cristiani più antichi e venerati d’Europa. L’attuale struttura in stile gotico risale agli inizi del XII secolo, uno dei luoghi identitari della città da non perdere, come il castello di Dublino. Distante dalle aspettative anticipate dal suo nome, questa struttura è un insieme di palazzi nobiliari risalenti al XVIII secolo. La Record Tower è unico baluardo della struttura originale anglo-normanna risalente al XIII secolo che rimanda al concetto di castello.

Dublino racconta il presente e il passato a nord e a sud del Liffey, il fiume scuro come la sua birra che taglia in due la trama urbana valorizzata dagli spazi verdi dei suoi parchi. Dall’immenso e periferico Phoenix park dove si trova lo zoo più antico d’Europa, al centralissimo St Stephen’s Green, il più frequentato dai cittadini che amano passeggiare o rilassarsi tra le aiuole di fiori e vecchi palchi d’orchestra d’epoca vittoriana, a rivalsa di un passato sporco e misero. Alcuni alberi secolari del parco sono testimoni delle flagellazioni pubbliche, dei roghi e delle impiccagioni che si svolgevano in questo cuore verde della città. Tutt’altra narrativa quella del Marrion’s square park. Oscar Wilde nacque in un’elegante casa georgiana a poca distanza e trascorse la sua infanzia correndo sui prati e nascondendosi tra gli alberi di questo luogo identitario per gli irlandesi. Nell’angolo nord ovest del parco, la statua del dandy campeggia con espressione ironica, come un monito alla spensieratezza, inno alla vita. Gli irlandesi vivificano il suo ricordo tra musica e boccali di birra nella leggerezza degli attimi condivisi, epifanie del quotidiano come le avrebbe definite il dubliner per eccellenza, James Joyce.

 

 

Immagine copertina: Samuel Beckett Bridge, Santiago Calatrava.

Photo credits: Elena Bittante

Bruges, una favola fiamminga

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Bruges appare come una carillon di Natale, un susseguirsi di casette color pastello, chiese con snelli campanili gotici e barche che solcano le acque dei canali al posto di trenini instancabili che attraversano l’idillio. Sotto la neve d’inverno, ammantata dai virgulti in primavera e in estate, coloratissima in autunno, una cittadina di favola che si descrive in quattro capitoli diversi, tutti da vivere

Una realtà pittoresca quella del piccolo centro belga, uno spettacolo in tutte le stagioni. L’interesse dei turisti sembra gravitare principalmente attorno alla sua piazza principale, il Markt. Ammirarlo è un’esperienza a colori: incorniciato da scenografici edifici medievali variopinti con i tipici frontoni a gradoni dell’architettura fiamminga. Appaiono come un puzzle perfetto, tanti tasselli urbani in ammirazione del Belfort, il campanile simbolo di Bruges patrimonio dell’umanità UNESCO che domina maestoso il Markt.

La piazza e le vie principali sono animate da orde di turisti ma il lato più intimo della città si rivela negli angoli nascosti affacciati ai numerosi canali oppure nei vicoletti tortuosi dove si insinua il dolce profumo di waffel con cioccolato. La tradizione belga inebria i sensi, e il fiuto come una bussola vi condurrà alla più vicina pasticceria sbucando nuovamente in una strada maestra. A Bruges difficilmente si perde l’orientamento, tanto meno l’appetito. Una passeggiata per il centro è un’alternanza di quiete e brio, ci si ritrova facilmente tra vacanzieri golosi e collezionisti di foto ricordo, reporter di attimi e stacanovisti della condivisione social, ma in pochi passi ecco sbucare tra la folla una nuova via d’acqua che rasserena la vista e l’umore.

Per non essere fagocitati dalle vie del turismo di massa basta salpare in barca percorrendo le strade d’acqua oppure raggiungere Begijnhof, il “giardino” salvifico della città. Questo meraviglioso angolo di Bruges è un’eredità medievale della comunità delle beghine, donne vedove o orfane che decisero di dedicare la loro vita a Dio, una sorta di suore laiche. I beghinaggi sono strutture del XIII secolo tipiche delle Fiandre, sintesi di un’architettura religiosa e rurale in perfetto stile fiammingo. Si tratta di complessi indipendenti composti da un gruppo di case modeste ed edifici ausiliari costruiti attorno ad un giardino centrale e ad una chiesa, recintati da possenti mura con portoni d’accesso che vengono chiusi durante la notte. Atolli di pace poco distante dai centri cittadini, oggi inglobati nelle loro periferie.

 

Quello di Bruges è tra i più noti nella regione delle Fiandre e accoglie i visitatori nella sua oasi di quiete. Si accede dall’entrata principale attraversando il ponte del 1776 sopra il canale Minnewater, meglio conosciuto come “lago dell’amore”, per ritrovarsi in uno spazio fuori dal tempo dove oggi vivono le monache benedettine. Una manciata di case bianche imbiancate a calce incorniciano una “foresta” di olmi, in questa stagione ancora disadorna dall’inverno a dispetto del suo prato verde smeraldo ammantato di narcisi che annunciano l’imminente primavera.

I vialetti disegnano questo giardino naïf e riconducono tutti alla semplice chiesa del beghinaggio che racchiude il suo unico vezzo all’interno, un elaborato altare barocco con putti paffuti in adorazione. Poco distante dal luogo della fede si accede al piccolo museo ospitato nella ‘t Begijnhuisje, una tipica abitazione del XVII secolo che sembra uscita dalle favole. Nelle sue sale un racconto di vita tradizionale: una cucina rustica con maioliche di Delft bianche e blu e nel salotto un’esposizione di merletti Chantilly, creazioni tipiche della zona. Il Begijnhof è un giardino urbano che racchiude la pace nel brusio di una favola letta ad alta voce. Bruges come duplice e meravigliosa realtà, un’alternanza che ricorda l’eterna ambivalenza del Belgio, una discussione aperta tra identità fiamminga e vallona.

Per tutte le informazioni utili, visitate il sito ufficiale Visit Bruges.

 

Immagine copertina: centro cittadino di Bruges. 

Photo credits: Elena Bittante

Trinity College di Dublino: un inno alla letteratura

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La capitale dell’isola smeraldo profuma di pioggia e libri, brinda all’euforia con boccali di ambrosia scura negli accoglienti pub dalla luce soffusa e intona melodie ad ogni angolo delle sue vie. La musica è il mantra che accompagna la sua identità, una vocazione alla cultura in tutte le sue forme. Il Trinity College è un’ode al sapere e ospita una delle biblioteche più belle del mondo. A Dublino l’olfatto non è inibito dal virtuale e il profumo della carta si confonde con quello dolce della birra azzerando lo stress con romanzi e poesie, nella totale estasi dei sensi

Dublino, una città votata alla letteratura

Una capitale piccola e accogliente che trasforma il quotidiano in un’avvincente “Odissea” moderna: chiunque si identifica in Leopold Bloom girovagando per le sue vie. Ci si immerge spontaneamente in una realtà autentica dove le nuove esperienze si fondono con il fluire dei propri pensieri. Diventare “Dubliner” per qualche giorno è più di un viaggio, è un’esperienza che si ispira ai racconti di James Joyce e dei suoi personaggi che hanno fatto la storia della letteratura moderna.

Già nell’antichità l’Irlanda era una terra di santi ed eruditi grazie alle università monastiche sorte in tutta l’isola per diffondere la fede cristiana e formare l’élite d’Europa. Un sapere brutalmente interrotto dalla conquista dei Vichinghi nella seconda metà dell’800 d.C. che imposero la loro cultura, intollerante al sapere riconducibile ad un unico Dio.

Il germoglio letterario fiorì nuovamente alla fine del 1600 trasformando l’isola in un atollo della cultura. Durante l’epoca della Dublino georgiana, la lingua inglese si arricchì combinandosi ad alcuni termini derivanti dal gaelico, l’idioma natale irlandese. Questa simbiosi linguistica creò uno stile unico, squisitamente “irish”, il comune denominatore dei suoi autori nonostante la spiccata identità di ciascuno.

Il periodo che viene identificato come “letteratura moderna irlandese” segnò l’avvio di una brillante produzione. Nell’olimpo della scrittura spiccano Jonathan Swift, decano della St Patrick’s Cathedral autore dei Viaggi di Gulliver; Oscar Wilde, una delle figure più esuberanti di Dublino, genio brillante ed arguto scrisse numerose opere e un vademecum involontario del dandy perfetto; Bram Stoker, il celebre autore di Dracula che ambientò la trama nei Carpazi della Transilvania ideandola nelle fumose location della Dublino ottocentesca, alcuni sostengono che il nome del vampiro derivi proprio dall’irlandese droch fhola, “cattivo sangue”; George Bernard Shaw, drammaturgo e saggista autore di Pigmalione; Samuel Beckett che con il suo teatro dell’assurdo scardinò i preconcetti dell’etica addentrandosi in temi esistenziali e nella natura dell’io. Infine James Joyce, il più amato dai dubliners. L’autore dell’Ulisse giganteggia su tutte le figure letterarie irlandesi nonostante il suo amore odio indissolubile con la città.

I cittadini di Dublino sono voraci lettori quanto amanti del ritmo e della birra, e questa tradizione letteraria le ha valso il titolo di capitale Unesco della letteratura. Come Edimburgo, questa “dotta d’Europa” svela in ogni angolo le suggestioni dei numerosi romanzi volutamente ambientati in città e alimenta l’immaginazione attraverso i racconti dei suoi autori, desiderosi di descriverne la realtà. Basti pensare al capolavoro di James Joyce “Ulisse” che nelle sue pagine descrive Dublino sin nei minimi dettagli: “Voglio dare un’immagine così completa che se un giorno dovesse improvvisamente sparire dalla faccia della terra, potrebbe essere ricostruita sulla base del mio libro”.

Trinity College di Dublino, l’università con una biblioteca unica nel mondo

Dublino non solo stimola la fantasia ma custodisce gelosamente la memoria in luoghi del sapere davvero unici: la Long Room, l’area più nota della Old Library al Trinity College ne è uno splendido esempio e viene considerata una delle più belle al mondo. Quando i visitatori accedono alla sala principale restano stupefatti dagli spazi: un enorme microcosmo popolato da 250.000 manoscritti antichi, ordinati alfabeticamente e per categoria in due piani di altissimi scaffali lungo tutta la struttura.

La Long Room è una sala lunga 65 metri con una volta a botte, un’elegante e lineare struttura in legno progettata dall’architetto Thomas Burgh nel 1712. Uno scrigno vegliato dai busti di eminenti studiosi che sigillano la conoscenza: dai filosofi che seminarono gli albori del sapere sino agli autori dell’era moderna, un omaggio a chi fece germogliare e fiorire la cultura occidentale.

Il tesoro più prezioso di questo mondo di parole è il Book of Kells, il libro miniato più famoso sulla Terra. Si tratta di un codice medievale realizzato dai monaci dell’isola intorno all’800 a.C. che illustra e descrive con dovizia di particolari i quattro vangeli. La sua scrittura magistralmente articolata e suoi colori vividi nonostante i secoli lo rendono la gloria dell’arte celtica e dell’universale fede cristiana. Questo cimelio del credo, dell’arte e della letteratura, venne custodito al monastero di Kells fino al 1541 e venne donato dall’Arcivescovo Ussher raggiungendo il College di Dublino nel 1661.

Le biblioteche sono dei templi della memoria, galassie di mondi passati, concetti per realtà in divenire. Ciò che ci rende uomini e ci distingue dagli animali è la nostra capacità di narrare storie e miti: condividere il sapere rafforza il senso della comunità. Tutto il complesso del Trinity College avvalora questa idea. L’università venne fondata da Elisabetta I nel 1592 ed è la più antica d’Irlanda e tra le più prestigiose d’Europa. Jonathan Swift, Samuel Beckett e Oscar Wilde si formarono nelle sue aule e passeggiarono per i suoi tranquilli vialetti, oggi come allora un rifugio dal trambusto della città. Oltre alla biblioteca, la meta più ambita dai visitatori che nel fine settimana affollano completamente i 65 metri della sala, il campus svela altri luoghi suggestivi e dettagli singolari da non perdere.

Subito dopo l’entrata principale troviamo la Parliament Square, la piazza principale dominata dall’elegante campanile progettato da Edward Lanynon nel 1852. Questo alto marcatempo viene considerato dagli studenti come una sorta di sciamano in pietra: secondo una leggenda, chi attraversa la piazza quando le sue campane rintoccano non supererà l’esame. Un altro prezioso dettaglio che non si attiene a superstizioni ma ad un simbolismo raffinato è l’opera del famoso artista italiano Arnaldo Pomodoro, la “Sfera con sfera”, proprio di fronte alla Berkeley Library, biblioteca in stile brutalista capolavoro del modernismo. Si tratta effettivamente di una sfera dentro un’altra sfera, rappresentazione d’avanguardia della cristianità riproposta nella forma del globo terrestre. La scultura venne donata all’università dallo stesso artista nel 1982.

Il Trinity College di Dublino è una meta da scoprire, dove si respira l’identità autentica della capitale, dove è stata scritta la sua storia e dove le nuove generazioni scriveranno il futuro di un’isola sempre più connessa all’Europa e al mondo.

Per tutte le informazioni utili, visitate il sito ufficiale Visit Dublin.

Immagine copertina: Long Rooom, Old Library, Trinity College. 

Photo credits: Elena Bittante

Guérande: la città bretone della Loira

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La cittadina francese di Guérande si trova vicino alla foce della Loira e con i castelli della valle più famosa di Francia, condivide il fascino della storia. L’aspetto favoloso non le manca, lo descrive nella sua struttura medievale: un rosario di torri e bastioni imponenti che si susseguono lungo la circonferenza della cinta muraria, a protezione di snelli campanili gotici e casette minimali sparpagliate per i dedali delle sue vie. Il centro profuma di mare e caramello, una simbiosi dell’assurdo per questa bomboniera urbana racchiusa in una corona di mura perfettamente intatta, in barba ai secoli

Situata fra le saline Brière, ad una quindicina di chilometri da Saint Nazaire, la città fiuta il profumo dell’oceano e della sua fortuna. Sin dall’antichità prospera grazie al commercio della via del sale, quello miracoloso di Guérande, il più prezioso di tutta la Francia.

Il piccolo centro rientra amministrativamente nel Pays de la Loire ma ogni suo angolo racconta di Bretagna. Le pietre dei muri e l’ardesia dei tetti ma anche gli usi e i costumi le appartengono, come il caramello al burro salato, una variante bretone in terra di Loira da sperimentare assolutamente. La città attrae i visitatori come degli orsi golosi al miele, incantevole in lontananza appare come un dipinto: la cinta di mura perfette, gli alti bastioni e portoni fortificati custodiscono una favola da vivere anche per poche ore tra i vicoli in pavé e le antiche abitazioni. Guérande merita una tappa se siete diretti verso la costa atlantica della Francia, anche per una breve deviazione di passaggio, giusto per sorseggiare un sidro fresco innanzi alla maestosa collegiata di Saint-Aubin.

L’aspetto medievale non tradisce le sue origini architettoniche: la cinta muraria del XIV secolo con undici torri e quattro porte, due delle quali antecedenti alla sua edificazione. La porta Saillé risale al XII secolo, mentre la porta Vannetaise rivela una struttura tipica della seconda metà del XIII secolo. Passeggiando lungo queste antiche difese, spicca la torre di Saint-Jean, del XV secolo, e lo splendore del Saint-Michel costruito agli inizi del XVII secolo. Nel cuore della cittadina, a vegliare la piazza Saint-Aubin dove si svolge il mercato, l’omonima collegiata che ad ogni ora del giorno polarizza la vita sociale di Guérande, oggi come allora. Costruita nel XII secolo ostenta ai visitatori decisi elementi architettonici del XV e XVI secolo al suo esterno, mentre al suo interno svela un delicato gioco d’intarsi di vetro raffiguranti la storia di Margherita di Antiochia o di San Domenico che riceve il Rosario in un tripudio di colori.

Guérande, un affascinate viaggio nel tempo e un’accattivante proposta di sapori, ossimori di gusto che conquisteranno il vostro palato, purché in dosi contenute. Onnipresente nei negozi tipici il “Caramel au beurre salé de Guerande”. Si tratta del caramello al burro salato, una singolare proposta gastronomica nonché il must della città, guai a considerarlo uno “sbaglio”. Alla base di questo “dolce” atipico c’è un azzardo culinario che racconta un capitolo di storia del luogo, quello legato alla gabella. Sin dal Medioevo, la Bretagna era esentata dalla tassa sul sale e i suoi abitanti si potevano permettere il lusso di aggiungerlo al burro, a differenza delle altre regioni del regno di Francia che per secoli si sono dovute accontentare e assoggettare all’abitudine di insipidi panetti.

Il sale di Guérande si rivela un ingrediente più prezioso oggi di allora, non solo nella tipica delizia della città. A confermarlo la scienza che classifica “l’oro bianco”, distinguibile per le sue sfumature grigio perla, il più ricco di magnesio, potassio, calcio e oligoelementi, e con meno cloro rispetto ad altre varietà. Il commercio di questa materia prima resta la fortuna di questo piccolo centro, per i suoi negozi tipici entro le mura che lo vendono come un cimelio più di un souvenir, e negli stabilimenti di salaggio del pesce poco fuori città. E’ facile indovinare il tesoro del blu dell’Atlantico leggendo i menù dei ristorantini del centro, ripetono all’unisono il mantra della cucina locale: sardine rigorosamente in crosta di sale, il migliore di tutta la Francia.

Guérande e le saline, dove scoprire tutto il fascino bretone tra la foce della Loira e l’Atlantico. Per tutte le informazioni utili: France Voyage.

 

 

Immagine copertina:  centro storico di Guérande.

Photo credits: Elena Bittante

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La cittadina francese di Guérande si trova vicino alla foce della Loira e con i suoi castelli condivide tutto il fascino della storia. Il centro profuma di mare e caramello, una simbiosi dell’assurdo per questa bomboniera urbana racchiusa in una corona di mura perfettamente intatta, in barba ai secoli. Guérande fiuta il profumo dell’oceano e della sua fortuna: sin dall’antichità prospera grazie al commercio della via del sale, il più pregiato di tutta la Francia 💙 Nel mio articolo uno spunto per un’evasione d’oltralpe, una meta della Loira meno conosciuta tutta da scoprire: https://www.europeanaffairs.it/roma/2019/04/24/guerande-la-citta-bretone-della-loira-la-valle-dei-castelli-svela-una-preziosa-realta-salata/ 🦋 @loirevalleytourism . . . #guerande #medievaltown #medievalvillage #frencharchitecture #explorefrance #visitfrance #france_vacations #frenchstyle #visitlafrance #france #francelovers

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Oslo: il parco di Vigeland, il giardino atelier della Norvegia. Un inno alla vita

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Nella capitale meno nota della Scandinavia, si trova un luogo per gli estimatori dell’arte e i cercatori di storie: il parco di Vigeland racchiude tutte quelle del ciclo della vita. Un atelier a cielo aperto da includere nella lista dei luoghi da visitare in una piccola città che riserva inaspettate sorprese. Oslo si racconta nel pathos dell’arte, non solo nell’ “Urlo” muto di Munch

“Sinnataggen”, la  “Piccola testa calda” di Gustav Vigeland 

Oslo non è una città votata al turismo di massa, si rivela al viaggiatore come una realtà moderna e istituzionale ma non priva di angoli preziosi, come piccoli cristalli di quarzo incastonati nella pietra grezza. Il parco di Vigeland ne è l’esempio perfetto. Conosciuto anche come “parco delle sculture”, spicca per il suo rigore bizzarro: un museo a cielo aperto con più di 200 sculture di granito, bronzo e ferro battuto. Opere delineate da forme rigorose ma animate da uno stupefacente pathos che il grande artista norvegese Gustav Vigeland (1869-1943) seppe modellare. Un luogo della suggestione dove l’arte incontra la natura, elemento imprescindibile nella cultura nord europea. Questo spazio verde di 320 ettari è situato nel cuore di Oslo, all’interno del Frognerparken a poca distanza dal Palazzo Reale, una delle mete più visitate della capitale norvegese.

Il parco fu una fucina di creatività per l’artista che nei primi anni del ‘900 non solo lo adornò con le sue opere ma ne progettò l’architettura del paesaggio in ogni singolo dettaglio. Un intarsio d’arte nel verde dove spiccano le linee e i volumi decisi delle sue sculture addolcite dall’armonia della natura circostante, un impatto visivo da apprezzare come una sorta di incantesimo. La stagione più indicata per visitare il parco è la primavera e l’estate, quando tra i vialetti e le siepi fiorite spiccano a contrasto le numerose opere monocromatiche in pietra e in metallo ma si consiglia di non escludere l’autunno per i suoi mille colori e l’inverno per vivere a pieno tutto il freddo fascino avvolgente che solo il nord Europa sa regalare. Allegorie scultoree che raccontano la vita in tutte le sue emozioni, capaci di descrivere i desideri e le speranze dell’uomo nelle forme e nei volumi esaustivi della materia nonostante la freddezza dei materiali utilizzati. Tra le sculture più note del parco ormai simbolo della città, primeggia il “Sinnataggen”, la  “Piccola testa calda”. Una statua in bronzo a grandezza naturale che raffigura un bambino arrabbiato nell’atto di battere i piedi con un’espressività coinvolgente e stupefacente: un capriccio puerile non è mai stato così esaustivo nell’arte scultorea. Quest’opera appartiene alla serie di 58 raffigurazioni lungo il ponte principale del parco, una struttura imponente lunga 100 metri e larga circa 15 metri. Una protomoteca a cielo aperto che ospita statue di uomini e donne, adulti e bambini che raccontano nella loro staticità il dinamismo della vita con le sue infinite emozioni.

Un racconto dell’arte moderna per espressioni e movenze dei protagonisti che rendono una visita al parco un’esperienza sensazionale: un riscontro della vita reale attraverso la plasticità della scultura che ripropone i sentimenti più puri ma anche i desideri più arditi che tutti noi proviamo dall’infanzia sino alla vecchiaia. Vigeland ha saputo elaborare alla perfezione sia la sfera emotiva del singolo che la sinergia della famiglia e della collettività come si evince dalla splendida fontana in bronzo dove sei uomini sorreggono una grande coppa da cui sgorga l’acqua, simbolo della forza e della condivisione tra simili. Attorno a quest’opera una coreografia di 20 sculture umane intrecciate agli alberi, allegoria della vita, e 60 bassorilievi che ripercorrono il corso dell’esistenza umana. Un altro emblema del parco che ne riassume il tema è il “Livshjulet”, la “Ruota della vita”. Un monito alla ciclicità delle generazioni e allo scorrere del tempo composto da 7 figure umane, 4 adulti e 3 bambini.

Punto di riferimento del parco è l’inconfondibile “Monolitten”, l’opera emblematica nota come il “Monolite” in granito, una colonna alta 14 metri e formata da 121 figure umane raffigurate senza vita. L’interpretazione racchiude un duplice significato in apparente antitesi: rielabora il lutto e l’orrore della guerra ma nella morte rievoca anche la speranza legata alla spiritualità e alla vita ultraterrena. Questo unico blocco magistralmente modellato è una scultorea via ascensionale, metafora del desiderio dell’uomo di raggiungere il paradiso. Un omaggio al valore dell’esistenza che spicca sulla sommità di una struttura a gradini a pianta ottagonale. In questa “Terrazza del Monolite” sono inoltre posizionati altri 36 gruppi scultorei che rievocano la vita con tutte le sue emozioni terrene, dall’amore alla gioia, dalla paura alla pietà, temi cari allo scultore norvegese e filo rosso di questo suo atelier sotto il cielo del nord, abbracciati dal verde della natura, dove tutto si riconduce.

Per tutte le informazioni utili, contattate Visit Oslo .

“Monolitten”, l’opera più famosa dell’artista

Immagine copertina: la “Terrazza del Monolite”.

Photo credits: Elena Bittante

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Vigeland Park: humanity into the wild. The world's largest sculpture park with more than 200 sculptures in bronze and granite in all variety of poses and situations exploring the human form and human life. Gustav Vigeland's lifework (built between 1939 and 1949) 🇳🇴 Il parco di Vigeland nel cuore di Oslo ospita opere in bronzo e in granito dell’omonimo artista. Un atelier a cielo aperto con più di 200 sculture che impersonificano i sentimenti umani. Un luogo della natura dove cogliere la magia evocativa dell’arte, capace di infrangere l’immobilismo della materia attraverso le emozioni. . . . #vigeland #vigelandsparken #norway #norge #oslo #visitnorway #ig_norway #visitoslo

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Cipro: il Parco Archeologico di Pafos, le radici dell’Occidente ai confini d’Europa

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La storia raccontata dal vento e dalla marea, solo il fragore delle onde e il bisbiglio della brezza animano il passato del Parco Archeologico di Pafos. Nell’isola del limite, ultimo avamposto d’Europa, tornano alla luce le fondamenta della nostra cultura. Il sito archeologico si trova lungo la costa nella parte occidentale di Kato Pafos, il rinomato centro turistico, e ha valso alla città di Pafos la nomina di Capitale europea 2017. Un paradiso per archeologi e viaggiatori curiosi che custodisce tesori del periodo ellenistico, di quello romano e preziose testimonianze dell’epoca bizantina. Tra la sabbia dorata e le generose piante di oleandro sorgono i resti di una città: Nea Paphos, la “Nuova Pafos”, inestimabile eredità dell’antico

 

La città risale al IV secolo a.C., al tempo capitale di Cipro; durante quel periodo l’intera isola apparteneva al regno dei Tolomei, la dinastia greco-macedone che governava l’Egitto. Il suo porto era facilmente raggiungibile da Alessandria favorendone gli scambi e le comunicazioni, grazie alla posizione strategica divenne inoltre un centro nevralgico che collegava le rotte del Mare nostrum. Il suo faro orientò le fortune per secoli, divenne un crocevia di beni e saperi. Artigiani e commercianti giungevano da ogni angolo del Mediterraneo per affacciarsi al vicino Medio Oriente sino al declino nel VII secolo d.C. a seguito delle incursioni arabe che vi imposero la propria egemonia.

Quante storie e quanti miti transitarono a Nea Paphos, lo testimonia la collezione di mosaici nota come I mosaici di Pafos, cimeli ornamentali che decoravano i pavimenti delle grandi ville di epoca romana. Scoperti per caso nel 1962 da un contadino che stava arando i suoi campi, queste inestimabili opere sono considerate il tesoro più prezioso del sito. Miriadi di tasselli policromi narrano ancora le gesta degli dei e degli eroi: l’amore di Priamo a Tisbe, la lotta di Teseo col Minotauro e i piaceri di Dionisio, così terreni da avvicinare il dio greco del vino ai comuni mortali di tutte le epoche. Il Parco Archeologico di Pafos rivela i racconti più suggestivi, quelli della vita privata nelle residenze altolocate, e le testimonianze della vita pubblica nel cuore della città. Tra la fine del II e gli inizi del III sec. d. C Nea Paphos raggiunse la massima floridezza. L’Agorà, l’Asklepeion, il santuario della medicina dedicato ad Asclepio che fungeva anche da ospedale, e l’Odeion, un teatro ellenistico romano, risalgono a questo periodo d’oro. Resti tra le polveri che confermano la ciclicità della vita nelle ere, quella della condivisione, del culto e dei piaceri, oggi come allora.

I mosaici di Pafos

La prosperità di questo periodo non venne eclissata da guerre o conquiste ma dall’imprevedibilità della natura. Agli inizi del IV sec. d. C la città venne rasa al suolo da un terribile terremoto. Recuperò la sua gloria nel periodo bizantino, dopo lo scisma dell’impero romano l’intera isola passò sotto l’influenza di Costantinopoli.  Reduce di quel periodo la Fortezza di Saranta Kolones, che oggi si presenta con pochi resti ma con un significativo arco che lascia immaginare l’armonia delle sue forme, e la Basilica cristiana di Chrysopolitissa del IV secolo, uno degli edifici religiosi più grandi della città, reduce dell’invasione araba del VII secolo che oscurò lo splendore di Nea Paphos.

Arco della Fortezza di Saranta Kolones
Basilica cristiana di Chrysopolitissa del IV secolo

A due chilometri dal sito archeologico di Kato Pafos si trovano le Tombe dei Re risalenti al periodo ellenistico e romano. Questo patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO è immerso nelle polveri di un’area semidesertica a ridosso del mare. In questo luogo suggestivo la luce schietta del giorno si insinua tra i pertugi risvegliando i bisbigli del passato: il sito è puntellato da una serie di camere sotterranee dove vennero sepolti aristocratici e funzionari di Nea Paphos. Alcune si presentano come semplici cavità scavate nel terreno, altre rivelano architetture ben definite ma a dispetto del nome non vennero mai sepolti reali. Una tomba in particolare svela un cortile sotto il livello del suolo circondato da colonne da dove si diramano numerose stanze sotterranee. Solo l’immaginazione accompagnata dal suono della natura rianima gli usi e costumi dei secoli passati, i rituali di un tempo assopiti nell’oscurità. Tutte queste cavità simboleggiano il potere nonostante le terra scarna e la polvere, le radici dell’Occidente si concentrano in una città che ha aperto le porte alla cultura e alla condivisione nonostante i limiti del suo stato. Pafos ricorda gli avi ad un passo dal mare dove soffia il vento dell’Africa e del Medio Oriente.

Le Tombe dei Re, sito archeologico di Kato Pafos

Immagine copertina: Le Tombe dei Re, sito archeologico di Kato Pafos

Photo credits: Elena Bittante

Porto, la città di fiume marittima nel cuore

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Porto, una bellezza decadente affacciata sul fiume Douro, una città dall’atmosfera mediterranea che fiuta l’aria dell’Atlantico. Un susseguirsi di scorci pittoreschi rivelano l’anima popolare e mercantile nascosta dietro la ricercata facciata turistica degli ultimi anni: gli edifici scrostati si alternano a quelli più fotogenici ammantati da azulejos, piastrelle in ceramica nei toni del bianco e dell’azzurro come almanacchi della storia portoghese. E’ un binomio di colori ad introdurci nella seconda città del Portogallo, accompagnato dall’ebbrezza del suo vino

Appollaiata sulle alture che lambiscono il corso del Douro, questa città di fiume è marittima nel cuore: la sua storia e le sue atmosfere rimandano al vicino Atlantico anticipando quelle delle spiagge della vicina FozPorto ha mantenuto nei secoli la grande tradizione del commercio e della costruzione navale. Ricoprì un ruolo importante durante le spedizioni portoghesi del XV secolo, fu una protagonista nel commercio del Porto dal XVIII secolo, il tipico vino dolce e liquoroso della valle del Duoro.

Igreja do Carmo

Porto è una città aperta al turismo ma al contempo gelosa della sua identità, la sintesi di questa ambivalenza è il quartiere della Ribeira affacciato sul corso del Douro, Sito Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Gli angoli più fotografati del “quartiere sul fiume” sono stati tirati a lucido per i turisti negli ultimi anni ma la Ribeira si rivela ancorata alla sua identità nei vicoli secondari, tra le pareti scrostate delle case e le fronde di biancheria stesa su liane di spago. In quest’area della città si concentrano gran parte delle mete da visitare a Porto. Si può iniziare il tour da un punto di arrivo, la Stazione ferroviaria di São Bento, la prova inconfutabile che un luogo di transito può rivelarsi un’esperienza. Un tramite come stato in luogo dove soffermarsi ed ammirare i grandi pannelli di azulejos degli anni ’30 ad opera di Jorge Colaço: più di 20.000 piastrelle bianche e azzurre tappezzano il grande atrio della stazione illustrando battaglie storiche e scene di vita quotidiana.

Si prosegue alla scoperta del quartiere facendo tappa nel luogo del credo simbolo della città, il . L’imponente cattedrale del XII secolo spicca severa nei toni freddi del granito grigio tra il colore acceso delle case. La facciata si presenta lineare con un grande rosone centrale e due torri gemelle con cupole ai lati ma al suo interno la chiesa è ammantata dall’opulenza barocca del XVIII e lascia solo intravedere la purezza dello stile romanico delle sue origini. Degno di nota il chiostro, un abbraccio stilistico ritmato dalle geometriche arcate gotiche e dalle ricche decorazioni delle azulejos. Un racconto dettagliato in bianco e azzurro che rappresenta il Cantico dei Cantici di Salomone e la Vita della Vergine.

Le azulejos del chiostro del Sé

La Cattedrale non è solo un simbolo di Porto, è anche un punto di riferimento e di “vedetta” grazie alla posizione più alta rispetto alle altre zone della città: dal Terreiro da Sé, lo spazio davanti alla chiesa, si ammira una splendida visuale sulla Ribeira, sul Douro e spazia sulla cittadina di Vila Nova de Gaiaappollaiata sull’altra sponda del fiume.

Il barocco è uno stile ricorrente in città, “rimodernò” numerose chiese e palazzi nel XVIII secolo. L’apoteosi dell’eccentrico si trova sempre nel quartiere, la Igreja de São Francisco interamente decorata con la particolare tecnica della talha dourada, intarsi in legno dorato. Sulle pareti della chiesa si anima un paradiso ligneo di cherubini, animali e grappoli d’uva, personaggi e fronzoli che transitarono in purgatorio durante la fine del XVIII secolo: questi decori vennero considerati eccessivi dai membri del clero tanto da sospendere le funzioni religiose per un lungo periodo.

Nel denso tessuto urbano della Ribeira spicca la Torre dos Clérigos dell’omonima chiesa, anch’essa edificio dell’epoca barocca concepito da Nicola Nasoni, architetto di origine italiana. Vale la visita la faticosa salita sino alla sua cima per poi rituffarsi nel labirinto di stradine del quartiere sino a giungere nella sua parte bassa dove parte il ponte in ferro Dom Luis I. Questa mirabile infrastruttura venne progettata nel 1881 da Téophile Seyrig, allievo di Gustave Eiffel. La forma leggiadra dell’arcata centrale ricorda l’iconica torre francese, elemento stilistico e strutturale del ponte che collega Porto alla cittadina gemella Vila Nova de Gaia dove poter visitare numerose cantine e degustare dell’ottimo Porto. Questo centro è rinomato in tutto il mondo per la migliore produzione di tutto il Portogallo di questo particolare vino. Il Dom Luis I è un’opera ingegneristica scenografica, soprattutto se ammirata da sotto o da un barcos rabelos. Si tratta delle tipiche imbarcazioni che transitano lungo il fiume, un tempo adibite al trasporto delle botti di porto, oggi utilizzate per le gite turistiche, un’esperienza da provare per ammirare la città da un’altra prospettiva.

Il ponte in ferro Dom Luis I, 1881

Porto è famosa per il suo vino ma è anche un viaggio nel gusto. Il Mercado do Bolhão è il più famoso e qui è possibile trovare tutte le specialità del posto. Le osterie collocate nella parte centrale del mercato sono la meta ideale per fare uno spuntino, deliziatevi con la triade del gusto di Porto: la trippa, il baccalà, cucinato in 100 modi diversi, e la franchesina, un toast inventato negli anni ’60 e oggi il piatto veloce per eccellenza. Il mercato è un’occasione per degustare le specialità tipiche ma anche per conoscere gli usi e costumi degli abitanti della città, un affaccio sulla quotidianità.

Porto si distingue anche per un altro cibo, alcuni lo definiscono “per la mente”, i libri. Prima delle degustazioni alcoliche fate una tappa alla libreria di Lello e Irmão, da tanti considerata la più bella del mondo. Ideata dall’ingegnere e politico portoghese Francisco Xavier Esteves a fine ‘800, questo luogo è una perfetta fusione di stile gotico e liberty, un’atmosfera da favola. Non è un caso se venne scelta dagli scenografi di Harry Potter come set per alcune riprese. Tra gli scaffali ricolmi di volumi spicca sinuosa una grande scala in legno a forma di otto o di infinito, quasi un richiamo a perdersi in uno dei tanti mondi racchiusi nei libri o nel fascino di questo luogo suggestivo.

Porto, la città cartolina dai colori sbiaditi, un puzzle imperfetto dove nei pezzi mancanti sono incastonati gioielli barocchi. Porto è come il profumo del suo vino, ebrezza rilassata che si affaccia sul placido scorrere del Douro. Un tuffo nella storia e nelle tradizioni ma allo stesso tempo un percorso esperienziale, da scoprire a ritmo lento.

Immagine di copertina: panorama della Ribeira, a sinistra la cattedrale del Sé, a destra la Torre dos Clérigos

Photo credits: Elena Bittante

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Porto, una città di fiume marittima nel cuore. Un puzzle imperfetto dove nei pezzi mancanti sono incastonati gioielli barocchi ammantati di azulejos, le piastrelle in ceramica bianche e azzurre almanacchi della storia portoghese. Porto è come il profumo del suo vino, ebrezza rilassata che si affaccia sul placido scorrere del Douro. Un tuffo nella storia e nelle tradizioni alla scoperta delle opulente chiese, dei raffinati caffè, delle librerie da favola e dei vicoli secondari, tra le pareti scrostate delle case e le fronde di biancheria stesa su liane di spago❣️ Il mio articolo dedicato a questa città dall’atmosfera mediterranea che fiuta l’aria dell’Atlantico: https://www.europeanaffairs.it/roma/2019/08/10/porto-la-citta-di-fiume-marittima-nel-cuore/ 🇵🇹 . . . #porto #oporto #oportolovers #visitporto #portugal #portogallo #travelingportugal #discoverportugal #portoportugal #winetourism #travelandlife #traveldiaries #culture #cultureheritage #culturetrip #naturelandscape #europetravel #livingeurope #livetravelchannel #europe_vacations #traveljournalist

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Vienna: Hundertwasser House, l’edilizia popolare come opera d’arte

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La città dell’eleganza innata, dei walzer sognanti e della storia imperiale si racconta anche nella trasgressione architettonica del ‘900: la Hundertwasser House spicca tra i delicati toni pastello di Vienna inebriandola con i suoi colori vibranti. Il rigore asburgico cambia linguaggio e si racconta con ironia

Un sognatore razionale Friedensreich Hundertwasser, pioniere dell’architettura sostenibile che sin da tempi non sospetti realizzò numerosi edifici ispirati alla natura e alle sue forme con progetti virtuosi per l’ambiente. La sua tecnica spaziò nelle più sfrenate fantasie creative, in costante bilico tra fisica e metafisica teorizzando concetti a tratti surreali come “I diritti delle finestre”, convinto sostenitore che gli edifici non fossero costruiti da pareti murarie ma proprio dalle finestre, per l’artista, occhi attraverso i quali guardare il mondo nell’intimità della propria casa. Architetto visionario ed esponente dell’architettura organica, descrisse la sua ricerca con linee irregolari e forme ispirate alla natura più che alla ragione. La Hundertwasser House ne è l’esempio perfetto nonché la sua opera architettonica più famosa che stacca dalla trama urbana viennese catalizzando migliaia di visitatori curiosi.

Un edificio d’avanguardia stilistica ma anche un progetto virtuoso e morale. La Hundertwasser House nasce infatti come social housing, un complesso residenziale creato nel 1985 per i meno abbienti. Ospita 50 appartamenti, 16 terrazze private e 3 comuni, alcuni negozi, un ristorante, un parco giochi per bambini e una palestra. Vere e proprie case popolari con vezzo creativo e struttura innovativa. L’architetto desiderava rompere con lo stile dell’edilizia moderna, da lui ritenuta istituzionale, fredda e spesso banale, ideò così un’alternativa unica e originale che potesse rispondere anche ai canoni della sostenibilità ambientale, sensibilità molto meno diffusa a quel tempo. L’edificio venne infatti costruito con materiali ecologici di origine naturale: spesse murature in argilla per la coibentazione, legno per gli infissi, ceramica per i pavimenti, vernici e colle di origine naturale e piante ed alberi come elementi architettonici. La vegetazione è un elemento imprescindibile per Hundertwasser e nella House viennese ammanta il tetto, le terrazze e i loggiati. Le strutture sono state progettate con fogli anti–radice per la protezione dei solai e pannelli isolanti, presentano inoltre strati di pomice e ghiaia per drenare l’acqua e apposite griglie di acciaio inossidabile per contenere le radici. La Hundertwasser House ospita dei veri e propri giardini pensili, microcosmi naturali nella dimensione urbana che si sostentano grazie ad un sistema di irrigazione che veicola l’acqua piovana raccolta da una cisterna.

Questo atipico complesso residenziale unico nel suo genere si presenta come un elemento di rottura nell’edilizia di Weissgerber, composto quartiere nel centro della capitale austriaca. Spicca tra gli edifici dalle linee brutaliste e nostalgici condomini in stile ottocentesco, un paese dei balocchi nel rigore viennese. Le sue forme singolari e i suoi colori vividi appaiono come un miraggio urbano, simile ad un set cinematografico più che ad un complesso di case popolari, capace di catturare anche l’attenzione dei passanti più distratti ed attrarre orde di turisti che aspettano il loro turno per scattare una foto ricordo con sfondo multicolor, spesso ignorando l’entità del progetto. Gli appartamenti si distinguono per le diverse tonalità, una caratteristica che i veneziani possono riconoscere facilmente associando la Hundertwasser House alle case variopinte dell’isola di Burano, il concetto è il medesimo ma sviluppato in altezza. Un rincorrersi di finestre irregolari e un menabò di ceramiche di recupero volutamente diverse nelle forme, un puzzle scomposto che si rivela nell’armonia totalizzante di un incastro perfetto. Hundertwasser concepì questo progetto secondo una tecnica conosciuta come “transautomatismo”, la capacità dell’artista di attingere al suo subconscio e trasferire le sue emozioni su tela facendo dei movimenti automatici. Una sfida vinta quella dell’eclettico architetto che ha saputo tradurre in tecnica strutturale lo slancio emozionale, una progettazione che coniuga l’istinto alla razionalità ispirandosi alla natura. La Vienna sognante non vive solo nelle storie dei reali ma anche ai piani bassi della società dove ribolle una creatività capace di trasformare delle case popolari in un’opera d’arte.

 

Nota di viaggio

Dopo il complesso residenziale non perdete una visita al Museo Hundertwasser dove ammirare i dipinti, i disegni e i progetti architettonici di Freidrich Hundertwasser.

Immagine copertina: Hundertwasser House, Weissgerber, Vienna.

Photo credits: Elena Bittante

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La città dell’eleganza innata, dei walzer sognanti e della storia imperiale si racconta anche nella trasgressione architettonica del ‘900: la Hundertwasser House spicca tra i delicati toni pastello di Vienna inebriandola con i suoi colori vibranti. Il rigore asburgico cambia linguaggio e si racconta con ironia. 🌈 Il mio articolo racconta un tassello di questa città sognante che non vive solo di favole imperiali ma anche di tante storie ai piani bassi della società dove ribolle una creatività capace di trasformare delle case popolari in un’opera d’arte: https://www.europeanaffairs.it/roma/2019/03/05/hundertwasser-house-ledilizia-popolare-come-opera-darte/ ✨ . . . #hundertwasserhaus #hundertwasser #vienna_city #vienna_go #wienliebe #visitvienna #österreich #organicarchitecture #ecodesign #ecoarchitecture #designdistrict #surrealart #colorfullife

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Bratislava, la capitale per una passeggiata nel cuore d’Europa

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Bratislava, affacciata sul fiume della musica e dei romanzi, legata ad un passato di contese. Oggi è una capitale orgogliosa che guarda dinamica al futuro e accoglie i viaggiatori in un’atmosfera gioiosa a dispetto dello stereotipo post sovietico: gli slovacchi alzano i boccali grondanti di birra dorata e brindano ad una nuova primavera europea

Panorama dal castello: la Stare Mesto e la città nuova in lontananza

Una capitale a misura d’uomo, tutta da scoprire, dal maestoso castello che la sorveglia dall’alto, al curioso Cumil, la statua più famosa della città che vigila il passaggio dei turisti dal basso (meglio conosciuta come “il guardone” per lo sguardo malandrino che punta spudorato alle sottane delle signore). Città che pulsa nel cuore d’Europa, meno inflazionata della magica Praga, dell’elegante Budapest e della regale Vienna (quest’ultima dista solo 60 km, vale una trasferta in giornata in macchina, treno, bus oppure in battello durante la bella stagione). Bratislava è ben collegata a diverse città italiane da voli low cost in partenza da numerosi aeroporti, una meta perfetta da visitare durante il weekend. Il suo fascino si concentra nella Stare Mesto, la città vecchia, e nel Bratislavský hrad, il grande castello ma non mancano satelliti d’interesse poco distante, come la surreale chiesa azzurra o il moderno Ufo del Nový Most, il ponte nuovo sul Danubio.

Cumil, la statua più famosa di Bratislava
Stare Mesto

Il Bratislavský hrad, il castello di Bratislava, è il simbolo della capitale slovacca, dal 1961 monumento storico nazionale. Sin dall’antichità domina la città dall’alto di una collina; durante il IV secolo a.C. venne abitato dai Celti per poi essere conquistato dai Romani ma l’aspetto attuale risale alle ricostruzioni del XV e il XVII secolo, un mix tra stile rinascimentale e barocco, dalla caratteristica forma quadrangolare che lo rende simile a un “tavolo rovesciato”. Deve infatti a questa similitudine l’originale appellativo. La vera rinascita del castello si deve a Maria Teresa d’Asburgo che lo scelse come residenza estiva: è proprio durante il suo regno che ebbe inizio l’epoca d’oro per il maniero e per tutta la città di Bratislava, al tempo nota come Presburgo. Un’eredità asburgica che tutt’oggi testimonia nelle sue forme la trasformazione da cupa fortezza ad elegante dimora. Alla fine dell’700 diventò un seminario per poi cadere in rovina dopo il rovinoso incendio del 1811. Solo nel 1953 ebbero inizio i lavori di ristrutturazione e dal 1993 è sede rappresentativa del Parlamento slovacco, anno che sanciva la separazione dalla Cecoslovacchia. All’ingresso la statua equestre di Svatopluk I, sovrano di Moravia del IX secolo, attende orgogliosa i numerosi turisti che sostano qualche minuto sul belvedere: un’incantevole puzzle di tetti color ocra della città vecchia in antitesi con il ponte nuovo che attraversa le acque rilassate del Danubio. Le sale del castello ospitano il Museo Nazionale Slovacco con interessanti raccolte di manufatti e antiquariato locale, e il Museo della Musica, uno scorcio sulla storia e sulle tradizioni del paese.

Statua equestre di Svatopluk I, Bratislavský hrad

Dopo la visita al castello si scende verso il centro storico seguendo i passaggi pedonali che attraversano la superstrada, un’audace infrastruttura che taglia la vecchia trama urbana recidendo il continuum storico tra le due attrattive principali della città. Una pianificazione del territorio opinabile ma che collega strategicamente le due rive della città affacciate sul Danubio: la viabilità è la stessa che attraversa il ponte nuovo, il Nový Most. Affacciata al nastro di asfalto è impossibile non ammirare la “Bella sul Danubio”, l’imponente chiesa di San Martino recentemente rimaneggiata. La cattedrale svetta quasi in bilico sulla superstrada nonostante la struttura maestosa dell’originario impianto gotico. Una tappa cittadina da ammirare all’esterno e all’interno dove è custodita una copia della corona imperiale ungherese ricoperta d’oro dal peso di 300 kg. Dopo il trafficato dardo di catrame è tutta un’altra storia, ci si addentra nella città vecchia percorrendo le viette lastricate che si snodano dalla chiesa e conducono al cuore della Stare Mesto. Le mete principali sono Michalská brána, la Porta di San Michele dove sulla cima vegliano le statue di San Michele e il Drago, e Hlavnè namestie, la piazza principale dal XIII secolo cuore pulsante della città dove spicca l’imponente municipio, Stara Radnica, collage architettonico che riassume cinque secoli. Un piccolo centro ricco di fascino, un susseguirsi di scorci suggestivi nell’area pedonale di Korzo. Un dedalo di stradine e di edifici medievali alternati ai postumi asburgici come il Palazzo del Primate distinguibile dalla raffinata facciata simile ad un ricamo delicato.

La bellezza di Bratislava si concentra nel centro storico ma poco fuori la Stare Mesto si trova il gioiello architettonico di Modry Kostolik nella città nuova, la famosa chiesa azzurra (chiesa di Sant’Elisabetta) che nelle belle giornate di sole si confonde con il cielo. Questo edificio art nouveau del 1907, progettato dall’architetto Ödön Lechner, spicca per la sua tonalità brillante in un quartiere dove ancora prevale un’edilizia post sovietica.

Prima di lasciare questa piccola e graziosa capitale ricordiamola con una vista panoramica dall’alto: uno scorcio indimenticabile dall’Ufo, la moderna torre del ponte nuovo sul Danubio. Una cartolina dove spuntano il maestoso castello e i pinnacoli ossidati delle chiese dal mare di tetti rossi della Stare Mesto. Questa struttura a navicella, così chiamata dagli abitanti per le sembianze aliene, si rivela una tappa interessante nonché un’occasione per sorseggiare una rinfrescante birra chiara ammirando il belvedere dalla piattaforma panoramica.

Modry Kostolik, la chiesa azzurra
Ufo del Nový Most

Immagine copertina:  Bratislavský hrad, il castello di Bratislava

Photo credits: Elena Bittante

 

Atene, le origini della storia occidentale tra pace e caos

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Frammenti di mito e pezzi di intonaco, una capitale votata al passato, dagli albori della civiltà al racconto dell’ultimo decennio trascorso. Tutto sembra vissuto, a tratti usurato, Atene non è la classica “bella città” ma gioca bene le sue carte con la complicità delle atmosfere suggestive e la luce avvolgente del Mediterraneo. Sorprende inaspettatamente chi si addentra nel dedalo del centro tra palazzi scrostati, gallerie d’arte e scorci sulla storia: da qualsiasi angolo si scorge l’Acropoli, fondamenta della cultura occidentale. Il Partenone, unico e immortale, veglia la città arroccato su un promontorio roccioso sovrastando la valle dell’Ilissos dalla fine del VII secolo a.C.

Il Partenone

Un viaggio alla scoperta delle nostre origini, un tuffo nella creatività e nella serenità che contraddistinguono la tradizione greca. Atene è storia e smussa il peso della sua eredità nella leggerezza della quotidianità rivelandosi una metropoli viva e originale che bypassa le ombre della crisi a ritmo di sirtaki e spunti creativi. L’incontro nelle grandi piazze, la vivacità rilassata della gente, il profumo di basilico fresco dei piatti tradizionali e l’estro degli artisti moderni che omaggiano il glorioso passato sono solo alcuni spunti per viverla a pieno. E’ dalle radici che inizia un viaggio nella culla della civiltà occidentale, per poi divagare in una realtà pittoresca al passo con i tempi.

La prima tappa è l’Acropoli. Lì dove tutto ebbe inizio spiccano gli archetipi dell’architettura classica come eredità inestimabile. Il sito archeologico patrimonio UNESCO dal 1987, racconta la nascita della democrazia evocando suggestioni e riflessioni. Sulla collina dell’Areopago sorgono il Partenone, i Propilei, l’Eretteo e il Tempio di Atena Nike, circondati dalla possente cinta muraria di Temistocle. Il Partenone incorona il sito con candida magnificenza; progettato da Ictino e Callicrate, venne edificato tra il 447 e il 438 a.C. e consacrato alla dea Atena. La costruzione in marmo pentelico bianco scintilla sotto il sole, otto colonne dei lati corti e diciassette su quelli lunghi in stile dorico ingegnosamente inclinate per creare un effetto illusorio. Un tempo l’edificio era ricoperto di fregi e sculture, oggi si aggrappano ai frontoni occidentali e orientali i superstiti delle ere: Helios e il suo destriero raccontano la nascita di Atena dalla testa del padre e la lotta di Atena con Poseidone per il possesso dell’Attica. Lungo il perimetro del tempio spiccano le metope modellate da Fidia, le formelle quadrate con funzione narrativa scolpite ad altorilievo. Oggi come allora i Propilei si trovano all’entrata dell’Acropoli accogliendo da millenni i visitatori. Realizzati per volere di Pericle spiccano allineati con il Partenone in un gioco di geometrie perfette, con le facciate anteriori più basse di quelle posteriori per seguire il dislivello del terreno. Catturano l’attenzione la solennità del Tempio di Atena Nike dedicato alla dea della vittoria nel 425 a.C., e l’Eretteo che deve il suo nome al mitico re di Atene. Questo capolavoro dell’architettura ionica, costruito tra il 421 e il 406 a.C., ostenta le protagoniste dell’architettura classica nel suo portico: le Cariatidi, intente a sorreggere il peso della storia e della cultura (le statue esposte sono una riproduzione delle donne di Karyai, le originali si trovano al museo dell’Acropoli).

Propileo all’entrata dell’Acropoli
Eretteo e loggetta della Cariatidi

All’ombra del Partenone possiamo ritagliare qualche attimo per rilassarci, riflettere e scrutare il panorama della metropoli odierna, una terrazza esclusiva che si affaccia sul divenire di una capitale dai tratti caotici. Il viaggio nella cultura classica prosegue “a valle”, al Museo dell’Acropoli, situato alle pendici meridionali dell’Areopago. L’interessante polo museale si distingue per la struttura moderna in vetro e acciaio e crea un ossimoro architettonico a confronto con le pietre compatte della cittadella del mito. Il museo custodisce tutti i reperti rinvenuti nel sito e spazia dal mondo arcaico a quello romano con cimeli inestimabili come le leggiadre korai, dalle elaborate acconciature a trecce del VI secolo, e il noto giovane con vitellino del 570 a.C. Un’ altra tappa da non perdere per un continuum nella storia ellenica è l’Antica Agorà, dove Socrate elaborò le sue brachilogie, conversazioni fondate su una logica ferrea al fine di educare l’individuo e la sua anima sul fondamento della verità. Qui si erge superstite il Tempio dorico di Efesto del 449 a.C., e il grande complesso a due piani della Stoà di Attalo originario del 138 a.C., ricostruito filologicamente dalla Scuola Americana di Archeologia. Le dimensioni colossali della storia antica sono tutt’ora testimoniate anche nel sito archeologico del Tempio di Zeus Olimpio, maestose rovine di un nucleo architettonico che richiese oltre sette secoli per la costruzione. Un esempio ante litteram di “edilizia posticipata” per mancanza di fondi, l’Olympieion venne ultimato dall’imperatore Adriano nel 131 d.C.

Museo dell’Acropoli

Dopo un tuffo nella storia, Atene offre un’immersione nel mare plumbeo del suo caotico centro non privo di atolli meravigliosi: tra gli edifici in calcestruzzo infatti sorgono le isole verdi della città. L’eden urbano dei Giardini Reali, una visione salvifica nella congestione della metropoli vicino a Piazza Syntagma dove si trova il Parlamento. Oggi questo eden aristocratico del 1840 è diventato uno spazio pubblico condiviso da milioni di cittadini e turisti diventando il Giardino Nazionale della città di Atene. 38 acri di verde e oltre 500 specie di piante rendono questo spicchio di città un tesoro di biodiversità, avvalorato da cimeli inestimabili che ricordano l’identità di Atene, indissolubilmente legata alla storia. In città i grandi polmoni verdi sono facilmente individuabili alzando semplicemente lo sguardo verso il cielo. Spiccano le pendici boscose del Licabetto sopra il quartiere di Kolonaki, dove si rincorrono miti e leggende, e la collina di Filopappo, descritta da Plutarco per le gesta di Teseo contro le Amazzoni. Quel che fu dello scontro anima solo la leggenda lasciando spazio alla pace in quest’oasi naturale da dove ammirare un panorama privilegiato sull’Acropoli, sull’Attica e sul Golfo di Salonicco per poi spaziare sino a dove arriva l’orizzonte. Passeggiare tra i vialetti ombrosi dei parchi di Atene è l’ideale per chi desidera rilassarsi dal traffico cittadino e ritrovare le idee, fermarsi e osservare il divenire dall’alto può rivelarsi una panacea temporanea, un’occasione per riflettere sui dogmi della vita quotidiana, oggi come allora.

Dopo un tuffo nella storia, Atene offre un’immersione nel mare plumbeo del suo caotico centro non privo di atolli meravigliosi: tra gli edifici in calcestruzzo infatti sorgono le isole verdi della città. L’eden urbano dei Giardini Reali, una visione salvifica nella congestione della metropoli vicino a Piazza Syntagma dove si trova il Parlamento. Oggi questo eden aristocratico del 1840 è diventato uno spazio pubblico condiviso da milioni di cittadini e turisti diventando il Giardino Nazionale della città di Atene. 38 acri di verde e oltre 500 specie di piante rendono questo spicchio di città un tesoro di biodiversità, avvalorato da cimeli inestimabili che ricordano l’identità di Atene, indissolubilmente legata alla storia. In città i grandi polmoni verdi sono facilmente individuabili alzando semplicemente lo sguardo verso il cielo. Spiccano le pendici boscose del Licabetto sopra il quartiere di Kolonaki, dove si rincorrono miti e leggende, e la collina di Filopappo, descritta da Plutarco per le gesta di Teseo contro le Amazzoni. Quel che fu dello scontro anima solo la leggenda lasciando spazio alla pace in quest’oasi naturale da dove ammirare un panorama privilegiato sull’Acropoli, sull’Attica e sul Golfo di Salonicco per poi spaziare sino a dove arriva l’orizzonte. Passeggiare tra i vialetti ombrosi dei parchi di Atene è l’ideale per chi desidera rilassarsi dal traffico cittadino e ritrovare le idee, fermarsi e osservare il divenire dall’alto può rivelarsi una panacea temporanea, un’occasione per riflettere sui dogmi della vita quotidiana, oggi come allora.

Atelier nel quartiere di Monastiraki
Il Licabetto
Vista dalla collina di Filopappo

Immagine copertina: vista sull’Acropoli dalla collina di Filopappo.

Photo credits: Elena Bittante

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Frammenti di mito e pezzi di intonaco, Atene è votata al passato, dagli albori della civiltà al racconto dell’ultimo decennio trascorso. Tutto sembra vissuto, a tratti usurato, non è la classica “bella città” ma gioca bene le sue carte con la complicità delle atmosfere suggestive e la luce avvolgente del Mediterraneo. Sorprende inaspettatamente chi si addentra nel dedalo del centro tra palazzi scrostati, gallerie d’arte e scorci sulla storia: da qualsiasi angolo si scorge l’Acropoli, fondamenta della cultura occidentale 🇬🇷 Atene è storia e smussa il peso della sua eredità nella leggerezza della quotidianità rivelandosi una metropoli viva e originale che bypassa le ombre della crisi a ritmo di sirtaki e spunti creativi. L’incontro nelle grandi piazze, la vivacità rilassata della gente, il profumo di basilico fresco dei piatti tradizionali e l’estro degli artisti moderni che omaggiano il glorioso passato sono solo alcuni spunti per viverla a pieno. E’ dalle radici che inizia un viaggio nella culla della civiltà occidentale, per poi divagare in una realtà pittoresca al passo con i tempi 🌺 Il mio articolo dedicato alla città dove tutto ebbe inizio: https://www.europeanaffairs.it/roma/2019/05/19/atene-le-origini-della-storia-occidentale-tra-pace-e-caos/ 🌺 . . . #athens #acropolis #greece #syntagma #ig_athens #athens_city #athensvoice #life_greece #in_athens #eyeofathens #athensview #visitathens #loveathens #greekhistory #travelandlife #traveldiaries #culturetrip #traveljournalist

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Elena Bittante
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