Viaggio nel Sahara orientale: quando non si temeva l’immensità. Oltre il limite, si riparte dalla consapevolezza

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In questo periodo di reclusione forzata ci troviamo a viaggiare in una stanza. Ci sentiamo inermi con una spiccata attitudine alla nostalgia, abili nel rispolverare i ricordi. Un effetto comprensibile della soffocata libertà. Cerchiamo di evadere con i pensieri che ci appartengono, quelli ancorati all’immobilismo della memoria, una valida alternativa alla noia, ma allo stesso tempo dovremmo cercare dei nuovi approcci alla realtà accettando il cambiamento. Possiamo reinventarci acrobati degli imprevisti: il coronavirus ridisegna i confini dell’agire e le possibilità scendono a patti con la realtà per reinventarne una nuova. E’ sempre stato così, l’abbiamo solo dimenticato, cullati dal sonno sereno della consuetudine.

Potremmo fronteggiare questa soffocante sensazione di epilogo con un po’ di consapevolezza. Le nostre esperienze sono dei cammini, se ci voltiamo a guardare la via che abbiamo percorso finora possiamo distinguere curve morbide e tornanti. Ci accorgeremo che la strada non è stata solo tortuosa ma spesso si richiude in se stessa per poi segnare un nuovo inizio e ripartire. Una trama imperfetta, perfettamente cucita sulla nostra vita fatta di interruzioni, cambiamenti e riprese. Tutto il possibile può diventare impossibile e viceversa, bisogna scendere a patti con il tempo e accettare gli eventi cercando di essere flessibili.

La domenica è fatta per rispolverare le foto di archivio, ancor di più in quarantena. Durante questo giorno di “festa” si limita lo “smart working” per lasciare (ancora più) spazio alle passioni. C’è anche chi ha la fortuna di coniugarle, ritrovo così la mia iniziazione esotica per una narrazione di viaggio: il primo contatto con il Sahara, una meta perfetta in un periodo durante il quale l’evasione è diventata un miraggio.

Un’esperienza che risale a diversi anni fa, quando i viaggi in quelle aree non erano fortemente sconsigliati dalla Farnesina. Solo poco tempo dopo capimmo che si trattava del disgelo di un lungo inverno, quando i semi cristallizzati nelle dittature stavano per esplodere in una primavera rivoluzionaria. Solo con il senno di poi si sarebbe potuto fiutare il cambiamento, interpretare i tragitti scortati, gli innumerevoli posti di blocco e l’indifferenza guardinga delle espressioni. Ma non avremmo mai immaginato un tale stravolgimento capace di rimodellare le dinamiche geopolitiche del mondo.

Un viaggio di vecchia data per studiare la peculiarità di un territorio unico e prezioso, quello delle oasi. Nulla di turistico, forse sarebbe meglio chiamarla “spedizione”, con le valigie legate sopra un pulmino di fabbricazione sovietica, il teodolite a seguito e carte 1:500.000 e 1:5.000. Dal macro al micro perchè le vie di mezzo sono ininfluenti nelle aree desertiche. Un lungo tragitto dal Cairo al cuore dell’Egitto: le oasi del deserto Libico, quella parte del Sahara orientale limitata ad Est dal gradino orogenetico che scende nella valle del Nilo mentre ad ovest si perde nelle sabbie dell’apparente infinito.

Chilometri macinati nella polvere di un deserto roccioso, con qualche duna a tratti, a ricordare, a chi ha passato ore sui tomi di geomorfologia, che ne esistono di diversi tipi. Dopo l’entusiasmo iniziale del grande vuoto del Sahara così ricco di emozioni per chi lo vede per la prima volta, il panorama appare come un carosello monotono, sino al grande “salto”. Giungemmo ad un burrone dove la terra sembrava collassare dentro un cratere, un paesaggio dentro un altro paesaggio, una panoramica aliena di un tempo primordiale, marziana della nostra immaginazione: il Sahara orientale. 

Le oasi del Sahara orientale: Kharga, Dakhla, Farāfra e il deserto bianco

L’area di depressione desertica ha dei primati reali: l’oasi di el-Kharga, con i suoi 1.500 km² e 100.000 abitanti, è una delle più grandi del mondo che si scopre ai visitatori con i suoi perimetri ben delineati di verde. Sono quelli che segnano l’inizio delle piantagioni di palme da datteri, endemiche in questo territorio lussureggiante, una visuale che accarezza lo sguardo dopo il bagliore del deserto, e rassicura la mente con la generosità della vita.

Ad ovest di el-Kharga che significa “oasi esterna”, si trova l’oasi di Dakhla, “oasi interna”, una vivida area depressa (120 metri s.l.m.) che comprende un territorio pianeggiante a prevalenza di arenaria di 410 km2, incorniciato da alture di calcare. Anche questo atollo di vita appare come un quadro impressionista, con gli stessi esotismi cari a Gauguin: un quarto della zona è occupato da una natura lussureggiante, un susseguirsi di palmeti da dattero, banani e colture grazie ad un rudimentale ma efficiente sistema di approvvigionamento idrico dalla falda fossile sahariana. Dakhla ospita una decina di villaggi, tra i principali sono Mut e al-Qasr, dove il tempo sembra scorrere lento mentre la polvere ammanta ogni cosa incipriando la antiche costruzioni berbere e sbiadendo i colori accesi del vezzo incompiuto di alcuni palazzi in perenne costruzione.

Più a nord si trova l’Oasi di Farāfra, un eden dove sgorgano le sorgenti calde di Biʾr Sitta e il lago di al-Mufīd. Qui si trova un unico insediamento, Qaṣr Farāfra, un villaggio di beduini che rinunciano al nomadismo mantenendo salde le loro tradizioni. Un compromesso paradossale reso possibile da solide pareti di fango e sterpaglie delle loro case. Lasciando alle spalle l’oasi, si riemergere nella piatta realtà del deserto con l’impressione di rincorrere un orizzonte irraggiungibile. Nessun punto di riferimento per orientarsi se non la posizione del sole che a queste latitudini cambia velocemente e al tramonto sembra aver fretta di essere inghiottito dalla terra. Nella bellezza dell’imprevisto si cominciano a distinguere delle forme singolari in lontananza, come fossero disegnate su un piano infinito: le concrezioni del deserto bianco rompono irriverenti la monotonia. Questo luogo unico per la sua peculiarità orogenetica si trova a 45 km da Farāfra, ed è costellato da monoliti rocciosi di gesso formate dall’erosione delle tempeste di sabbia di un colore che vira dal bianco candido al crema.

Nella mia memoria appaiono ancora come dei miraggi lontani, eppure realmente esistiti. Cerco di immaginarli in questo preciso istante: presenti oggi come allora nel deserto, inclini ad un inesorabile cambiamento che non vedremo mai poiché il tempo geologico è comprensibile solo nei libri di testo e nello sforzo dell’immaginazione. Eppure tutto scorre e tutto cambia, più o meno velocemente, sta a noi trovare la giusta forma di adattamento iniziando dalla consapevolezza di appartenere ad un mondo in continua trasformazione.

Immagine copertina: Sahara orientale 

Project: “From agricultural development to territorial development: lessons from the New Valley (Egypt)”. Università degli Studi di Padova.

Photo credits: Elena Bittante

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