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Giulia Bornacin

“Luxurias” : Perdersi e Ritrovarsi

in CULTURA/European Affairs/PHOTOGALLERY/TEATRO by

Caroline Pagani conduce il pubblico in un turbinio di emozioni, analisi freudiane e “joie de vivre”

Articolo e foto di Grazia Menna

Roma, 24 novembre 2024

Con un’interpretazione brillante e incisiva, Caroline Pagani conquista il pubblico presente a Teatrosophia di Roma, nella serata del 24 novembre scorso.  Uno spettacolo firmato a due mani dalla stessa Caroline Pagani e Filippo Bruschi, che combina ironia e riflessione ed affronta con toni pungenti e burleschi il tema del desiderio femminile e delle sue implicazioni sociali.

La pièce intreccia la vicenda di una donna contemporanea, in crisi esistenziale e sentimentale, con le voci di figure femminili del passato che riemergono nei suoi sogni, nei suoi pensieri; si compone così  un affascinante mosaico narrativo che ha  al centro della scena, una sedia vuota con una colomba appoggiata sullo schienale simboleggiante la figura del terapeuta. Una scenografia essenziale che include solo un letto rosso, simbolo di sensualità, e fogli sparsi, metafora di memorie e scritti senza tempo, libri dai quali nei tempi andati si apprendeva l’arte dell’amare.

Attraverso una seduta di ipnosi, la protagonista compie un viaggio a ritroso nelle reminiscenze di vite anteriori, che la portano a incarnare Francesca da Rimini, celebre figura del Canto V dell’Inferno dantesco. Con ironia e passione, Francesca si ribella al poeta, accusandolo di averla condannata tra i lussuriosi per il semplice fatto di aver amato. Ma non è il solo Dante ad essere investito dal ciclone dei ricordi e delle figure lussuriose, c’è spazio anche per il Boccaccio con le sue monache del Decameron.

E così, scorrono davanti agli occhi degli spettatori le figure tratteggiate e narrate dalla protagonista, donne considerate emblemi del desiderio, spesso etichettate come peccatrici: dalla carismatica Moana Pozzi, a Cleopatra, Didone, la regina di Babilonia Semiramide, la drammatica Eleonora Duse per la quale il Vate , nel 1901 scrisse la tragedia Francesca da Rimini.

Lo spettacolo si presenta come un inno alla libertà del desiderio femminile, frequentemente considerato un tabù o una debolezza. Pagani eccelle nell’alternare ironia e profondità, costruendo un monologo che passa con maestria da intime confessioni a momenti di grande teatralità. I cambi d’abito della protagonista, in scena, riflettono le sue metamorfosi: dal rosso intenso della donna moderna, al candore di Francesca, fino all’audacia di Moana, evidenziando il continuo contrasto tra la libertà di desiderare e il giudizio sociale.

La performance di Caroline Pagani trascina il pubblico in un viaggio emozionale intenso, come una montagna russa, sostenuto dall’abilità di modulare la voce, dall’uso del dialetto in alcuni momenti recitativi e dall’alternanza di toni acuti e profondi richiesti dalla narrazione. Il risultato è un coinvolgimento totale degli spettatori, immersi in un vortice di emozioni arricchito anche da momenti di ilarità.

Lo spazio recitativo è impreziosito dalla scelta musicale che combina, in apertura, brani di Marlene Dietrich e Stan Getz e nell’esecuzione di Orietta Berti, in chiusura di spettacolo, con Romagna mia, così da tornare al punto di inizio di questa storia, Rimini e la Romagna. Ed alla parte performativa e musicale va affiancato anche un sapiente gioco di luci ed ombre che offre spessore ai momenti salienti della narrazione.

Il messaggio veicolato dallo spettacolo è una denuncia della disparità che persiste: mentre agli uomini è concessa la libertà di vivere il desiderio senza stigma, le donne che scelgono di amare e desiderare sono spesso vittime di stereotipi o condanne morali; ma è anche la denuncia e la stigmatizzazione della violenza di genere, affermando che il desiderio è espressione di vita e non può essere represso o punito.

Perdersi nella narrazione, ritrovarsi nell’invito che Caroline Pagani rivolge agli spettatori, che siano stati presenti o che di bocca in bocca racconteranno questa rappresentazione: considerare con maggiore apertura mentale e consapevolezza questioni, purtroppo sempre attuali quale il femminicidio perpetrato da maschi italiani su donne italiane, celebrando il coraggio di amare e la bellezza dell’essere donne, contro ogni pregiudizio.

Si ringrazia Caroline Pagani, l’Ufficio Stampa nella persona di Andrea Cavazzini e Teatrosophia per aver consentito questo racconto per immagini

Luxuriàs

di Caroline Pagani e Filippo Bruschi

Interpretato e diretto da Carolina Pagani

Luci: Giulia Bornacin  

Teatrosophia 23 e 24 novembre 2024

Guardare oltre l’apparenza e l’assenza

in ARTE/CULTURA/European Affairs/PHOTOGALLERY/TEATRO by
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A Teatrosophia con Storygram si declinano nuove storie dietro immagini simboli di un’epoca 

Roma 10 ottobre 2024

Articolo e Foto di Grazia Menna

Con le immagini si viaggia, vicino, lontano, in paesi nuovi, in sentimenti nostri e altrui, in fatti o eventi che hanno cambiato noi ed il nostro modo di essere.

Teatrosophia inizia la sua nuova stagione 2024/2025, il suo viaggio, con lo spettacolo Storygram, portato in scena dal Collettivo Socrates, che propone allo spettatore l’esercizio di indagare più a fondo, di andare oltre a quel che appare da una semplice fotografia, sia essa in bianco e nero oppure a colori.

Giulia Bornacin e Simone Martino hanno ideato ed accompagnato il pubblico in degli “Esercizi di Stile” alla R. Queneau, dove alcune immagini iconiche della nostra epoca, vengono lette e raccontate da molteplici punti di vista, attraverso le storie, vere o presunte, che si celano dietro quegli scatti.

Scatti di un tempo in cui la fotografia, appannaggio di pochi, era un’arte lenta e preziosa, fermi-immagine limitati e irripetibili, con l’uso delle lastre prima e dei rullini poi. Quella fotografia non assimilabile al “mordi e fuggi” degli smartphone moderni, richiedeva l’applicazione di regole precise di composizione e bilanciamenti, ben sapendo dell’esiguità degli scatti utilizzabili e, pertanto, non sprecabili.

L’immagine con cui ha inizio lo spettacolo è di un maestro della fotografia moderna, Luigi Ghirri, con l’opera Formigine Modena – Ingresso casa colonica del 1985. Da questa immagine si parte ed a questa immagine si ritornerà a fine spettacolo; tutto ruota intorno a ciò che nell’opera fotografica si vede o non si vede, ciò che è accaduto prima, dopo e durante lo scatto di quel fotogramma immortale, quell’attimo esatto e non un altro che Ghirri, scattando, ha scelto di destinare al futuro.  

Si passa quindi alla celebre fotografia del bacio a Times Square, scattata a New York alla fine della Seconda Guerra Mondiale da Eisenstaedt, altro mostro sacro della fotografia. Un marinaio e un’infermiera che si abbracciano, apparentemente innamorati, in un gesto che sembra suggellare un “per sempre felici e contenti”. Ma è davvero così? Forse dietro quell’immagine non tutto è chiaro, bello e romantico come appare, come ci viene raccontato, come la nostra mente cerca di immaginare per dar forma a quell’idea di favola , di “happy end” che ci accompagna fin dall’infanzia. Guardate bene quell’immagine ed analizzate gli attori principali della foto, la loro postura e scoprirete che dietro la storia che ci hanno raccontato se ne potrebbero celare una o centomila diverse e pur sempre veritiere. E via così raccontando altre storie e punti di vista, legati alle immagini che Giulia Bornacin, dal suo vissuto , ha selezionato e sceglie di proporre al pubblico.  

Nella performance teatrale, la lettura delle immagini e delle storie dietro ognuna di esse viene declinata sia con la proiezione sul grande schermo delle foto, sia con dei passaggi recitativi dove, Giulia e Simone, quest’ultimo autore delle musiche eseguite dal vivo con la chitarra, interpretano le nuove chiavi di lettura delle foto, ad esempio, in stile leopardiano recitando come se stessero leggendo un raffinato poemetto dello stesso Leopardi. I due protagonisti in scena, deliziano e riescono a coinvolgere maggiormente il pubblico presente con una vis comica ben dosata.

Durante lo spettacolo, oltre alla proiezione di immagini e alla recitazione, Giulia Bornacin sorprende il pubblico con l’esecuzione di brani musicali da lei accuratamente selezionati. Questi pezzi non solo alleggeriscono l’analisi e l’introspezione richieste agli spettatori, ma sono anche in perfetta sintonia con il ‘mood’ evocato dalle fotografie. Si tratta di brani scelti per la loro capacità di rompere con i cliché, evitando il già sentito, che potrebbe far risuonare nello spettatore emozioni familiari. Al contrario, l’obiettivo di Giulia è quello di immergere il pubblico nelle emozioni suscitate dalle immagini appena viste, libere da condizionamenti pregressi. Tra le canzoni eseguite, che hanno intervallato le proiezioni e le riflessioni, spiccano L’equilibrio è un miracolo di Patrizia Laquidara, Mangialuomo di Cristina Donà, Leather di Tori Amos e Je Veux di Zaz.

Si può dunque affermare, senza ombra di smentita, che quanto portato in scena dal Collettivo Socrates non vuol essere un’indagine scientifica rigorosa, né una lista dettagliata di fatti e immagini, ma un percorso che invita a riflettere su ciò che potrebbe esserci davvero nascosto dietro scatti memorabili o anche solo familiari, dietro scelte di inquadrature o tagli alle foto proposte.

La prossima volta che guarderete una immagine, non accontentatevi del “primo sguardo”, di una interpretazioni semplicistica ed inevitabilmente più facile !

Fermatevi solo un attimo in più, per leggerla “alla vostra maniera”.

Si ringrazia l’Ufficio stampa nella persona di Andrea Cavazzini

Storygram 

Testi: Collettivo Socrates

Ideazione Scenica: Alberto Bellandi, Giulia Bornacin, Emanuele Di Giacomo

Voci e Percussioni: Giulia Bornacin

Voci e Strumenti: Simone Martino

Teatrosophia , Roma

 

Grazia Menna
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