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EDITORIALE - page 2

Donald, The Trump

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Donald Trump è uomo con indubbie qualità. Ha dimostrato di essere un imprenditore furbo e capace di fare soldi, ha condotto con successo un programma televisivo ed ha sedotto, da outsider, milioni di americani con un gradimento che, nonostante feroci attacchi di stampa e oppositori, sembra essere costantemente in ascesa.  Purtroppo, è difficile riconoscergli anche la caratteristica di essere uomo di buona cultura. Non ho dati precisi su quali siano i suoi risultati scolastici ma, a qualunque livello si sia posizionato, è difficile immaginarlo come un solerte studioso. Poco importa, se è vero che molti uomini dimostratisi in seguito dei veri geni siano stati studenti svogliati o magari soltanto autodidatti. Per chi ricopre incarichi pubblici di quella rilevanza non sarebbe però male avere un po’ di cognizioni, almeno in merito alla storia mondiale.

Se poi ci si trova a essere il Presidente del più potente Stato del mondo, sarebbe probabilmente utile anche avere qualche cognizione di politica internazionale. O di politica tout-court. Se Trump conoscesse la storia del suo Paese dell’ultimo secolo probabilmente eviterebbe alcuni dei passi falsi che sta compiendo. In quanto imprenditore arrivato a incarico politico in età avanzata, gli è certo culturalmente difficile interiorizzare il concetto che dirigere un’azienda e governare un Paese siano cose molto diverse.  Nel primo caso si ha a che fare con concorrenti, clienti, fornitori e dipendenti e con loro è sufficiente avere una buona posizione contrattuale di partenza e una marcata capacità di negoziazione. I concorrenti sono sempre e comunque avversari e, salvo che non si crei un “cartello” (cosa per altro vietata dalle leggi nelle economie di mercato), tali restano. I dipendenti di una qualunque impresa potrebbero anche costituire solo un piccolo problema perché, nel peggiore dei casi, li si può licenziare. Per quanto riguarda i clienti, l’obiettivo di un’azienda è conquistare nuove quote o mantenere quelle acquisite e per far ciò è indispensabile una buona gestione del marketing.

Ben diversa è la realtà del governo di uno Stato. In questo caso, perfino nelle dittature, non si è mai il solo “padrone”. In politica non esistono dipendenti o ricattabili fornitori e ogni attore è contemporaneamente nemico, concorrente o potenziale alleato. Ciò vale sia per la politica internazionale sia per quella interna.  Perfino i compagni di partito sono spesso l’uno e l’altro e l’altro ancora, figuriamoci gli oppositori. 

Date queste differenze, è evidente che anche l’approccio dovrebbe essere diverso. Soprattutto in un Paese democratico come gli Stati Uniti, non è sufficiente nemmeno il consenso popolare, mutevole per definizione, per essere certi di governare fino a realizzare gli obiettivi promessi durante la campagna elettorale, fossero essi stati annunciati in buona o cattiva fede.  Se Trump conoscesse la storia americana del secolo scorso ricorderebbe, tra le tante cose che gli sarebbero utili, cosa successe al predecessore Woodrow Wilson. Costui, nonostante uscisse vittorioso da una guerra mondale che portò agli USA una posizione di supremazia tra le nazioni e riuscisse a convincere la maggior parte degli altri Stati a dar vita alla Società delle Nazioni, fu sconfessato dai suoi stessi parlamentari.  Fu, infatti, un paradosso che lui, capace di convincere amici e nemici all’estero, fosse poi messo in minoranza proprio da chi gli era più vicino. La societè delle Nazioni fu costituita ma gli Stati Uniti non aderirono.  Ciò che Trump sembra ogni tanto dimenticare è che nel suo Paese esiste un sistema vero di “balance of power”, metodo che, come ben lasciò scritto Popper, resta il sistema politico migliore per garantire la libertà dei cittadini in un sistema democratico.

Visto i freni che già molte volte la magistratura e il Congresso gli hanno imposto, l’ex magnate dovrebbe già essersene accorto ma pensare di poter continuare a comandare solo licenziando ogni tanto un nuovo ministro non lo porterà molto lontano.

All’estero qualcuno lo critica per il suo slogan “America first” ma non sta lì il problema: una certa dose di nazionalismo è quello che ogni cittadino si aspetta dai propri governanti. La difficoltà sta nel come realizzare l’obiettivo. Se tra le sue letture ci fosse stato il libro “L’arte della guerra” del leggendario generale cinese Sun Tzu, avrebbe compreso che una delle condizioni per la battaglia vittoriosa è quella di affrontare i nemici uno per volta e mai tutti insieme. Se gli fosse capitato in mano un libro di Max Weber sulle caratteristiche di un “comandante”, avrebbe letto che troppe contraddizioni e il frequente e ravvicinato alternarsi di “ bastone e carota” toglie credibilità e autorevolezza a ogni aspirante leader.

Se quelle letture gli fossero risultate troppo complicate, avrebbe forse potuto limitarsi a un piccolo manuale che negli USA avrebbe trovato perfino nella più piccola libreria: “Il venditore meraviglioso”. Gli sarebbe allora stato chiaro che prima di affrontare un qualunque potenziale interlocutore occorrerebbe cercare di conoscerlo dall’interno, saperne gli obiettivi, valutarne le esigenze. In altre parole: non sparare alla cieca.

Purtroppo, il buon Donald  non ha certamente avuto nella sua vita di imprenditore il tempo per dedicarsi a “frivole” letture e trarne conseguenti riflessioni. Diventato Presidente, ha quindi deciso di dichiarare contemporaneamente guerra a tutti coloro che gli sono sembrati, forse comprensibilmente, troppo aggressivi verso l’economia del suo Paese. Confidando nel potere economico e militare che gli USA possono mettere sul tavolo, si è messo a lanciare insulti a chicchessia, alleati o competitor poco importa, a volte alternandoli a blandizie. Ha lanciato un bluff dopo l‘altro ed ha promesso, con eguale enfasi, minacce e premi.

Sul breve termine, proprio il peso militare ed economico degli Stati Uniti ha obbligato qualche Stato a chinare la testa (o fingere di farlo in attesa di tempi migliori) e fare buon viso a cattiva sorte. Poiché, però, nel mondo “ nisciuno è fesso”, riesce facile immaginare che tutti quelli che oggi accettano le umiliazioni si lanceranno, appena possibile, a cercare tutte le alternative praticabili per evitare di trovarsi ancora nella stessa situazione in futuro. Esistono, però, anche quelli che la testa non la chineranno e particolarmente con loro gli è mancato proprio l’approccio umile del buon “venditore” che cerca di conoscere in anticipo quale sia la “linea rossa” del suo interlocutore.  Esempi di entrambe queste situazioni sono facilmente identificabili nei suoi rapporti con l’Europa, con l’Iran e perfino con la Corea del Nord. Ha un bel dire ora che tra lui e Kim è nato l’”amore”: per intanto si tratta solo di parole e staremo a vedere come finirà.  Nel frattempo, aumentano gli Stati che ridurranno al minimo l’impiego del dollaro nelle loro transazioni bilaterali e la Cina sta raccogliendo attorno a sé (anche grazie ai suoi interessati – e spesso benvenuti- investimenti) crescenti consensi tra Paesi gia’ alleati degli USA.

I presidenti americani degli ultimi cinquant’anni non sono sempre stati saggi o scevri da errori e anch’essi si sono fatti forti della potenza del proprio Paese per dettare le loro condizioni. Tuttavia, hanno sempre cercato di accompagnare la propria indiscussa dominanza con un soft power che addolcisse il proprio comandare. Certo, hanno anche accettato dei compromessi non sempre a loro del tutto favorevoli ma, anche grazie a quei compromessi, l’egemonia americana sul mondo restava garantita.

Forse i tempi sono cambiati e ha ragione Donald a comportarsi da sbruffone prepotente e dire ad alta voce che perfino l’Europa è un nemico. Lo pensavano, probabilmente, anche i sui predecessori (e infatti hanno sempre fatto di tutto per impedire una sua vera unificazione) ma non l’hanno mai detto pubblicamente e sostenevano a gran voce il contrario.

Staremo a vedere nell’immediato futuro chi sarà stato il più saggio.

Internet  E Il Mito Della Caverna

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Immaginiamo delle persone prigioniere, legate o incatenate ad una sedia; un po’ come Vittorio Alfieri. Membra, testa, collo sono bloccati; possono fissare un unico punto davanti ai loro occhi, ma non hanno di fronte un muro, bensì il monitor di un computer. Chiedo scusa a Platone e alla filosofia, ma rileggere “La Repubblica” e il mito della caverna in una chiave applicata alla realtà attuale, offre alcuni punti di riflessione. E allora continuiamo a immaginare questa scena e diamo ai nostri prigionieri una tastiera e la possibilità di interagire tra loro mediante il computer, comunicare e confrontarsi su ciò che appare sui loro schermi. Possono accedere a tutto quanto è conoscibile, e oggi sappiamo che il flusso di informazioni quotidianamente inserite in rete, è potenzialmente infinito. Ma i nostri prigionieri oltre all’impossibilità di confrontarsi con la realtà non virtuale, possono parlare solo tra di loro, e si scambiano le informazioni che sono, ovviamente quelle cui ciascuno decide di accedere. All’inizio apprezzano sempre più il confronto e si sentono gratificati da questo modo di interagire. Pian piano, sia a causa dell’eccesso di dati che giungono, sia a causa delle loro scelte, i prigionieri si focalizzano e fossilizzano però solo su alcuni dati. Ciascuno sceglie la categoria a sé più consona e sviluppa solo quei determinati argomenti, disinteressandosi via via degli altri. Quindi inizia a parlare di più solo con chi è interessato alle stesse categorie e, pian piano, diminuisce le interazioni con gli altri. Sarà quindi ogni singolo prigioniero ad aumentare determinati flussi di dati e diminuirne altri.

Ciascuno si formerà le proprie convinzioni che saranno, ovviamente, quelle dei soli dati cui decide di accedere e, logica conseguenza, inizierà a rifiutare affermazioni contrarie o discordanti; vuoi per difficoltà di comprenderle, vuoi per una sempre più marcata mancanza di confronto, ciascuno rafforzerà le proprie convinzioni. Quando il flusso di informazioni sarà difficile da seguire per l’enorme quantità di dati, specialmente se saranno diversi da quelli immagazzinati fino a quel momento e, magari, completamente diversi da quelli ricevuti fino a quel momento, i prigionieri saranno in un primo momento sconcertati; poi alcuni pian piano iniziano a valutare i nuovi dati e a confrontarsi con coloro che continuano a seguire lo stesso argomento. Qualcuno può cambiare opinione, ma altri resistono tenacemente al nuovo fino a formarsi una vera e propria corazza repellente ad ogni e qualsiasi novità. Ecco quindi che, per resistere, interiorizzano sempre più i vecchi concetti fino a farli diventare veri e propri dogma.

Ma adesso qualcosa accade e, quasi come nella versione originale, i prigionieri vengono a sapere che è possibile liberarsi dai loro lacci e catene che erano solo poggiati. Nello stesso momento giunge a tutti loro non solo il messaggio che possono muoversi anche fisicamente e interagire di persona, ma su tutti i loro schermi facciamo giungere il messaggio che da quel momento i loro computer sono ancora più potenti e possono accedere ad ancora più dati e informazioni.

Si alzeranno dalle loro postazioni? Apriranno la loro mente, oltre che i propri computer al nuovo? Saranno in grado di recepire i nuovi messaggi? Di confrontarli con quanto in loro possesso? Di valutare se le informazioni siano corrette o sbagliate, quali le migliori per loro, quali i dati inutili. C’è chi lo farà, e magari si alzerà dalla postazione, ma altri no e resisteranno. Resisteranno fino all’ultimo, magari anche a quelli che tra loro cercherebbero di liberarli, di dar loro una nuova luce e una prospettiva diversa, nella paura di perdere le loro certezze, uscire dalla comfort zone che si sono creati. Temono di essere derisi da coloro con cui avevano fino a quel momento condiviso tutto; di essere allontanati da quel gruppo; forse addirittura essere uccisi. Aloro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell’accecamento e la fatica del cambiamento per andare ad ammirare le cose descritte da chi vuole liberarli. Meglio tornare in un piccolo mondo, fatto di certezze, di relazioni sicure, di autocompiacimento dove potersi mettere in mostra e confrontare con chi condivide le stesse idee, lo stesso modo di pensare, lo stesso modo di affrontare ogni aspetto della vita.

Siamo sicuri sia tutto frutto di fantasia?

In uno strano Grande Fratello alla rovescia quelli che per Platone erano veri e propri prigionieri, oggi sembrano essere volontari che soggiacciono ad un esperimento di controllo della mente. Già in passato si registravano casi in cui qualcuno restava completamente preso e affascinato dalla televisione, rimanendo ore in stato catatonico fino al termine delle trasmissioni. Fino verso la fine degli anni settanta.Poi la TV si è evoluta, è aumentato il numero dei canali e oggi abbiamo centinaia di programmi dove poter scegliere nell’arco delle ventiquattr’ore, ma internet ha permesso di andare oltre, consentendo di poter interagire con lo schermo che non è più un semplice elemento destinato soltanto a dare immagini, informazioni e suoni, ma un alter ego con cui interagire fino a farlo diventare un doppione dell’individuo che, tramite la tastiera, lo usa solo per creare un altro se stesso che diventa un clone proiettato nella rete.

Può essere fatto in maniera positiva, quando si può prenotare un viaggio, noleggiare una macchina o ordinare un prodotto che viene dall’altra parte del mondo e di cui in passato forse neppure sospettavamo l’esistenza o avremmo pensato poterlo avere. La rete ha creato posti di lavoro non solo per gli operatori e i tecnici, ma pensiamo alla categoria degli Youtuber. Ma lo strumento informatico consente anche un utilizzo non sempre positivo. E non occorre spingersi a ricordare il cyberbullismo, i reati commessi on line, l’uso che viene fatto della rete per attività criminali o terrorismo. Basti pensare a quanti usanola rete creando false personalità per interagire, dando un’immagine di sé che non potrà andare oltre lo schermo, perché falsa e adatta solo alla realtà virtuale nella quale si muove.

Insomma il nostro non prigioniero davanti allo schermo si proietta in quella che è la seconda dimensione cui tutti noi siamo comunque destinati da quando, andando oltre i desiderata di Bill Gates, abbiamo non più un solo computer in ogni casa e viviamo ogni giorno in rete.

Non è tutto ciò voler rimpiangere tempi andati, in cui se telefonavi a qualcuno per dargli il buongiorno era una scelta voluta, mirata, apprezzata che nulla ha a che vedere con i buongiornissimi collettivi lanciati in maniera impersonale sui social e sugli strumenti di messaggistica. Si tratta di prendere atto di un cambiamento forse neppure troppo annunciato ma troppo rapido per molti aspetti, ormai inevitabile e irreversibile con cui convivere, da affrontare per non farsi travolgere.

A Roma la percezione dell illegalità’ è quotidiana.

LETTERE by

Egregio direttore

A Roma la percezione dell illegalità’ è quotidiana. Tutti i giorni, in particolare il lunedi e giovedì, davanti alla sede del Dipartimento Urbanistica di Roma Capitale, i parcheggiatori abusivi chiedono il pizzo pure sulle strusce blu.Tra via Pico della Mirandola e via Benedetto Croce, dietro la sede dell’ottavo Municipio, si allestisce lungo il marciapiede un mercatino abusivo di rifiuti estratti e selezionati dai cassonetti.Piccole cose, sicuramente banali ma indicative del mancato cotrollo del territorio da parte delle Istituzioni.

Non c’entra l’immigrazione, almeno questi esempi riguardano immigrati comunitari dell’ est europa, sono aspetti di banale illegalita che alimenta un clima di impunita generale.

Di certo non si tratta di un problema solo romano, dati del comando di polizia locale di Napoli hanno descritto e valutato,con esito preoccupante, il problema del racket dei parcheggiatori abusivi , un fenomeno che frutta alla criminalita almeno 100 milioni  di euro l’anno.

Situazione in apparente contrasto con i dati del Viminale che descrivono una riduzione dei reati di microcriminalita, verosimilmente giustificabile con una progressiva riduzione delle denunce per tali reati.

Per rendersi conto della situazione romana basta prendere la metropolitana: utenti che saltano i tornelli, neonati sfruttati per accattonaggio, scippi e rapine a danno di turisti e cittadini malcapitati. Anche scendendo dalla metro, la situazione non migliora: oltre ai ristoranti del centro in mano alla camorra, le vie del centro sono terreno di furti e rapine.

Tutti reati minori per i quali spesso non è prevista la carcerazione, la Polizia locale combina ai parcheggiatori abusivi le sanzioni previste che ovviamente non vengono mai pagate dai parcheggiatori nullatenenti.

E opportuno riformare il codice penale, prevedendo per i reati cosiddetti minori almeno 12 mesi di lavori pesanti socialmente utili e non retribuiti: quali la pulizia delle strade, lo spalamento rifiuti, il giardinaggio ecc. Pene semplici, certe e faticose da scontare sarebbero un certo deterrente per i reati minori, metodo di sicura validita’ per la rieducazione dei colpevoli. Una riforma condivisibile da tutti gli schieramenti, utile per tutti i cittadini onesti.

Luca Gugliotta

Un anno al servizio del paese, un idea romantica, come il servire la Patria

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Sale la polemica sulla proposta del Vice Premier Salvini di ripristinare la leva militare e più in generale un anno di servizio al Paese.

Il ministro della Difesa Trenta definisce la proposta “romantica e non al passo dei tempi” ricordando che le missioni internazionali richiedono formazione e professionalità che non potrebbero essere date ad un giovane in 12 mesi.

Dimentica pero la stessa ministro Trenta che già oggi i volontari in ferma prolungata per un anno sono esclusi dalle missioni all’estero alle quali possono partecipare solo i militari in servizio effettivo e i Volontari in ferma prolungata di 4 anni.

Quindi la domanda sorge spontanea, ma solo a chi non conosce bene gli impegni delle Forze Armate, a cosa sino dedicati i volontari VFP1 ? Alla sorveglianza dei siti strategici, all’operazione strade sicure, alla sorveglianza e gestione logistico amministrativa delle strutture in patria, ma guarda un po, quello che facevano i militari di leva.

Quindi l’impegno annuale di un giovane non e assolutamente incompatibile con con l’esercito professionale perché e già cosi solo che i VFP1 sono pagati e utilizzano questo canale per accedere a corsie preferenziali nei concordi interni per alle forze armate, per il famoso posto fisso, sperando magari di avvicinarsi a casa nella caserma più vicina, come fosse un ufficio postale. In questo senso la selezione diventa più difficile e tra le maglie larghe di questo sistema può capitare di arruolare personale non in linea con le difficolta che un militare deve sopportare.

A chi propone invece di arruolare i migranti per svolgere un servizio utile all’integrazione rispondo che la pensione fa male agli uomini d’azione che farebbero meglio a godersi quel meritato riposo giovanile di cui godono.

Tra l’altro il tema del ripristino della leva obbligatoria in Europa e molto acceso e in paesi come la Germania, l’austria, la Svezia, la Finlandia, e’ già realtà mentre la Francia sta discutendo su come coinvolgere i giovani in un servizio obbligatorio al paese magari non solo nelle forze armate.

Esiste poi un tema molto importate nel nuovo quadro della difesa professionale che e quello della riserva selezionata, un soluzione proposta per rispondere alle esigenze specifiche di personale altamente qualificato come potrebbero essere chirurghi in ambito medico, ma anche. Avvocati, agronomi, ingegneri, giornalisti che dopo poco piu di due settimane di corso in accademia sono pronti per essere schierati nelle missioni internazionali alla faccia della preparazione e della formazione.

Tra questi naturalmente ne ho conosciuti negli anni alcuni che hanno preso particolarmente a cuore la preparazione militare addestrandosi anche quando non in servizio per mantenere alto lo standard operativo, di altri invece devi dire che nonostante la laurea in economia e commercio non gli avrei dato neanche l’amministrazione di un condominio.

la Riserva selezionatabandrebbe rivista sul modello americano, attingendo alla riserva di completamento e facendo lavorare sul territorio nazionale quegli ufficiali di complementeo che possono dare molto in termini di addestramento e gestione delle strutture alternando il proprio lvoro civile ad un inpgeno in caserma e in addestramento.

Per questo la proposta del Vice premier Salvini e invece degna di considerazione perche questo impegno avrà valore anche quando viene considerato una perdita di tempo dai molti che preferiscono stare sotto l’ala delle proprie madri amorevoli fini a quarant’anni invece di mettersi alla prova e a chi dice perché sarebbe meglio fare un anno di volontariato nelle periferie dico SI va bene anche questo perché le periferie hanno bisogno dei più volenterosi per vedere che ce un mondo diverso da quello di Gomorra.

Un’idea romantica la definisce il Ministro Trenta. Forse perché e il punto di vista di una madre che vorrebbe i propri figli sempre sotto la sua ala, secondo me e romantica perché oggi dare alla patria senza ricevere e assolutamente raro.

Il giallo delle biciclette gialle

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Sono il simbolo della share economy romana, del bike sharing in particolare, le puoi trovare quasi ovunque, puoi parcheggiarle dove vuoi usarle per un tratto o per un giorno intero pagando e sbloccandola con una app sul telefono, sono le biciclette gialle di obike.

La societa di bike sharing, presente in 40 città sparse per 26 nazioni, ha distribuito per le strade della capitale fino a 1.700 bici dotate di un geolocalizzatore.

Una idea non nuova, adottata in altre capitali europee con grande successo dalla stessa società, perché permette a chiunque di muoversi liberamente in città, ragazzi e diversamente giovani, tutti sul due ruote, una rivoluzione per la capitale d’Italia che nel tempo aveva provato diverse soluzioni con esiti negativi.

Una idea rivoluzionaria se non si fosse scontrata in primis con l’incivilta di certi cittadini che le hanno distrutte, depredate, gettate nel fiume senza nessun motivo se non quello di postare la bravata sui social.

Delle tante biciclette distribuite sul territorio la percentuale di quelle danneggiate ci sembra altissima tanto da chiederci se l’esperimento ha avuto successo o meno.

Un altra domanda che però viene spontanea è relativa a chi paga questi danni, il servizio è redditizio o no? Le perdite chi le paga?

Una domanda lecita se si pensa che l’autorizzazione e stata data in gran fretta sembra senza comunicare ai consiglieri comunali i termini della concessione, costi, durata e altri necessari a valutare la bontà de servizio che come tante cose diventa un fattore di valutazione dei servizi turistici della città a livello mondiale, non dimentichiamo che nel 2017 sono stati 24 milioni i turisti in città, un numero non insignificante.

Gli esperimenti di bike sharing del comune di Roma sembrano essere arrivato ad un punto morto, nello scorso novembre 2017 una altra società di bike sharing la Gobee.bike si era affacciata sul mercato romano con 400 biciclette distribute nel primo e nono municipio di roma ma solo pochi mesi dopo ha gettato la spugna per l’alto numero di biciclette vandalizzate.

A resistere nonostante le evidenti prove di danneggiamenti e di aumento del degrado urbano con le biciclette nel fiume o parcheggiate nelle più improbabili posizioni tanto che ci si chiede chi paghi per tutto questo visto l’affido senza gara del servizio alla Obike da parte del comune di Roma.

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